Ricordate la sinistra dei grandi comunisti, dei pugni chiusi, della falce e del martello? La sinistra che si rifaceva ai suoi pensatori di riferimento, a Marx, a Togliatti? La sinistra che idolatrava le grandi dittature del passato, che apprezzava l’ordine e la produzione della Cina di Mao, la redistribuzione dei salari dell’Urss di Stalin, la rivoluzione del Che Guevara? La sinistra fatta di sogni utopici quali la statalizzazione dei mezzi di produzione e la dittatura del proletariato? Inutile dire che quella sinistra, oggi, non esiste più. Non c’è più la sinistra che lotta per gli operai e la loro autodeterminazione, tanto che la stessa classe operaia si è spostata verso destra e risulta dai dati che il 30% degli operai vota per Fratelli d’Italia. Questo, per molti, è un bene: era ora che la sinistra si liberasse da quel pesante macigno che si portava sulle spalle. Un’ambiguità bella e buona: come fa a dichiararsi democratico uno che non ha mai rigettato le dittature del passato?
Il problema è che la sinistra odierna, pur essendosi allontanata da quel mondo, non l’ha mai espressamente ripudiato, strizzando anzi l’occhio a chi se ne dichiara legittimato successore. E a quel macigno del quale, dunque, non si è disfatta, si aggiunge un’altra versione della sinistra, per molti diametralmente opposta, anche se sembra andare d’amore e d’accordo con la sua versione originaria. È la nuova sinistra woke, che sposa nuovi ideali, attraversa nuove frontiere, pur sempre nelle modalità di un tempo: indottrinamento, come quello ai danni dei minorenni scelti per il corso di drag queen promosso dall’Unione europea; monopolio della cultura, nelle televisioni, nelle scuole, nelle piattaforme streaming, con una buona serie Tv che non può essere tale se non include al suo interno ogni singola sfaccettatura del mondo; pensiero unico, nel senso che chi la pensa diversamente non è degno di parlare. Insomma, oltre i contenuti, nulla sembra essere cambiato. È propaganda.
Così la sinistra falce e martello si è trasformata nella sinistra arcobaleno. Ha dimenticato ciò che serve veramente ai suoi elettori, non tratta più di economia, fermandosi a semplici slogan e alle stesse proposte ormai da mesi come quella del salario minimo, che chissà quante altre volte dovrà essere bocciata per essere accantonata definitivamente. Nella sua autobiografia, Elly Schlein, leader della sinistra italiana, parla di tutto, delle sue passioni, del suo amore per la lasagna e per le patate al forno, ma dimentica di chiarire come vuole cambiare una sinistra così disastrata e disorientata. “Noi – ha scritto – dobbiamo essere la forza che non soffia su quelle paure, ma prende per mano le persone e cerca di indicare una via d’uscita, fa emergere la speranza di un futuro migliore, guida le trasformazioni per evitare che si abbattano sulle fasce più fragili”. Che vuol dire tutto e non vuol dire niente. A lei dunque la sinistra sta bene così, persa, distrutta e priva della sua storica trazione economica a tutela dei più deboli. Continua con lo slogan (solo questi le sono rimasti) del “non ci hanno visti arrivare”. Il titolo del libro è “L’imprevista”, ma in Schlein non si vede nulla di nuovo: gli operai, abbandonati e rimpiazzati dai temi civili, non si fidano del Pd e in Elly vedono l’ennesimo fallimento di una sinistra dimentica delle sue storiche priorità, ma non delle sue modalità d’azione.