Erano autonomisti e presidenzialisti: la sinistra cambia registro se la destra è al governo

Sono stati beccati “con le mani nella marmellata”, per usare le parole del capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, che l’onorevole ha pronunciato in occasione del voto sull’autonomia, diventata legge ufficialmente ieri mattina dopo una seduta fiume durata una notte intera. Beccati con le mani nel sacco perché, proprio come per le bugie, anche l’ipocrisia viene sempre a galla, prima o poi, e rivela la doppia faccia di chi critica, pur conscio di essere in errore.

La Costituzione si può modificare

Entrambe le riforme volute dal centrodestra, tornate alla ribalta della cronaca per la loro recentissima approvazione (per il premierato, in prima lettura solo in Senato; per l’autonomia, come detto, definitiva), hanno trovato la ferma opposizione della sinistra, molto critica, erta a strenuo difensore del testo costituzionale, della sua integrità e della sua inviolabilità. Dimenticando, però, due cose abbastanza fondamentali, che bastano per smontare completamente le sue tesi. In primis, il testo costituzionale si può modificare, lo prevede la Costituzione stessa, lo vollero gli stessi Padri Costituenti di cui i dem si proclamano discendenti diretti, al fine di adattare i suoi articoli alle mutate esigenze sociali. Lo può fare la maggioranza del Paese, i 2/3 del Parlamento in seconda lettura o il 50% più uno del corpo elettorale. E se i numeri basteranno (e basteranno), non ci sarà trippa per gatti.

La sinistra è smemorata

Secondo punto: la sinistra è smemorata. O meglio, fa finta di essere tale, altrimenti non si spiegherebbe come un legame così forte con il proprio passato comunista possa aver fatto dimenticare tesi e proposte sostenute anni or sono. Quando non ci si preoccupava del ruolo del Presidente della Repubblica o dell’Italia spaccata a metà. Quando, insomma, almeno su questi temi, premierato e autonomia, non si faceva becera propaganda al solo fine di gettare fumo negli occhi delle persone. Sono rimasti tutti attoniti, nello studio Mediaset di Cartabianca, condotto da Bianca Berlinguer, quando Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, ha mostrato a favor di telecamera un libretto verde, visibilmente datato. Pagine ingiallite, invecchiate di una trentina di anni: “Programma di governo del PDS” si legge in copertina. Il sottotitolo: “Per ricostruire un’Italia più giusta, più unita, più moderna”, con tanto di prefazione di Achille Occhetto. La data è del febbraio 1994, poco più di trenta anni fa. Venne distribuito da L’Unità, all’epoca diretta da Walter Veltroni.

Volevano il premierato

Non serve tantissimo impegno per scovare, al suo interno, la proposta di modifica costituzionale del premierato, esattamente quella che oggi fa impazzire la sinistra che ha iniziato a urlare di deriva autoritaria (e che novità!). La preoccupazione di dem, grillini e compagnia cantante, è che un governo forte possa prendere il sopravvento sugli altri poteri, ma a quanto pare allora questa paura non c’era. Forse, la sinistra, dopo il caso Tangentopoli che aveva distrutto la Democrazia Cristiana e sottovalutando il peso politico di Silvio Berlusconi, allora alle prime armi in politica, desiderava garantirsi cinque anni di governo ininterrotti. Ora le cose sono cambiate, la sinistra non ha la forza di formare una coalizione pacifica al suo interno che riesca a non litigare per cinque anni e allora tenta di mandare all’aria una riforma che potrebbe cambiare il Paese. Come dire: “O governiamo noi cinque anni, o non lo deve fare nessuno. Costi all’Italia quel che costi”. Stimato, è costato circa 250 miliardi. Ma andiamo avanti, perché, a quanto pare, anche i timori riguardo la riduzione dei poteri del Capo dello Stato non preoccupavano il PDS: “Fra l’altro – ha aggiunto Belpietro – c’era una serie di altre piccole cose, come la nomina e la revoca dei ministri da parte del Presidente del Consiglio. Non si parlava dei poteri del Presidente della Repubblica: in questa riforma, nessuno si è preoccupato di togliere i poteri al Presidente della Repubblica”.

E pure l’autonomia

Ovviamente, anche sull’autonomia la sinistra ha fatto degli enormi passi indietro. Dal momento che viene citata nel suddetto programma del PDS, venne attuata con la riforma del Titolo V del 2001 voluta dal centrosinistra, venne richiesta, negli ultimi anni, da Regioni come l’Emilia-Romagna, già governata dal dem Bonaccini, e la Campania (a proposito di un Sud indebolito dalla riforma). A farne richiesta al Governo Conte nel 2019, fu proprio il governatore De Luca, il Masaniello a capo del suo esercito di amministratori locali che a febbraio “invase” Roma e le sedi istituzionali per protestare. A sbugiardarlo Foti, in Aula: “Ho una delibera del 2019 della Giunta regionale della Campania che chiede l’applicazione dell’articolo 116 comma tre della Costituzione. E negli indirizzi, c’è scritto: “La Campania costituisce una realtà matura per sperimentare forme e condizioni particolari di autonomia. L’ottenimento di spazi più ampi di intervento, come consentito dalla Costituzione, permetterebbe di rafforzare il ruolo nevralgico in ambito socio-economico, anche a beneficio dell’interesse della collettività nazionale”. Questi sono atti, non sono parole”, ha tuonato in Aula, facendo notare la trasformazione di De Luca (e di tutta la sinistra) in appena cinque anni: da autonomista a centralista. A seconda del colore politico dell’esecutivo.

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