Ormai il Giorno del ricordo, che si celebra ogni anno il 10 febbraio per ricordare le vittime dei massacri delle Foibe in cui migliaia di persone furono uccise e gettate nelle cavità carsiche dai partigiani comunisti di Tito, durante la complessa vicenda del confine orientale del paese, è diventato patrimonio di una memoria storica condivisa, almeno quella ufficiale, grazie alle tante commemorazioni che in Italia ogni anno vengono organizzate.
Quest’anno, poi, il Giorno del ricordo non è più una ricorrenza di serie B, non solo per la messa in onda nella tv pubblica, addirittura su RAITRE, di Red Land (Rosso Istria) un film che attraverso il racconto della tragica vicenda di Norma Cossetto ha mostrato la tragedia che si abbatté su decine di migliaia di nostri connazionali che vivevano in Istria e Dalmazia, ma anche per le parole che il Presidente Mattarella ha voluto dire durante la cerimonia ufficiale che si è svolta ieri al Quirinale.
Il Capo dello Stato, infatti, ha affermato: «Sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva così precluso perfino il conforto della memoria» ed ancora: «Per una serie di coincidenti circostanze, interne ed esterne, sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva così precluso perfino il conforto della memoria». Parole pesanti di ferma condanna che potrebbero rappresentare un atto di giustizia se accompagnate da una disponibilità del governo italiano a risarcire le famiglie degli esuli di tutto quello che persero.
Ma quello che oggi voglio affrontare è un altro aspetto di quella vicenda, non meno tragico per gli esuli che ritornarono in Patria per sfuggire alle vendette degli slavi e meno conosciuto, e cioè l’accoglienza che ricevettero in Italia. Intanto occorre dire che fu una migrazione forzata (spesso precipitosa e confusa) della popolazione italiana giuliano – dalmata e che seppure si svolse tra la seconda guerra mondiale e la metà degli anni ’50, fu un capitolo della stessa storia che si svolse in quelle regioni. Alcuni dei motivi principali della fuga, iniziata quando, alla fine della seconda guerra mondiale l’Italia firmò il trattato di pace che consegnava le terre dell’Istria e della Dalmazia alla Jugoslavia di Tito, furono un processo spinto di rimozione dell’italianità, le politiche violente e repressive nei confronti degli italiani che determinarono uno stato di continuo terrore e, soprattutto, la convinzione di essere ormai abbandonati e separati dalla madrepatria.
Sentendosi sempre più stranieri a casa loro e dovendosi piegare a nuove regole e forme che venivano date alla loro terra, in cui la cultura, religione, toponomastica e così via venivano modificati dal regime titino e resi forzatamente slavi, abbandonarono le loro case e le loro terre. Il ritorno nella amata Patria non fu, però, quello che gli esuli avevano sognato e sperato perché contro di loro il PCI scatenò una assurda campagna di diffamazione per motivi politici che alimentò un diffuso sentimento di ostilità e sospetto nei loro confronti. Il Pci, padre di quelli che oggi sostengono per ragioni “umanitarie” l’immigrazione clandestina e fuori da ogni regola, allora non conoscevano la parola “accoglienza” e nei confronti degli italiani di Pola e Fiume predicò solo odio. L’Unità, organo del partito comunista, in quei giorni, riferendosi agli esuli, titolava: “Non meritano la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci il pane”
Si racconta, anche, che a Trieste gruppi di comunisti si radunavano davanti alla mensa dei poveri dove i nostri connazionali venivano serviti di pasti caldi per accoglierli al grido di “Fuori i fascisti da Trieste”, “Viva il comunismo e la libertà” sventolando bandiere rosse e innalzando striscioni che osannavano Stalin, Tito e Togliatti. Quella che fino a pochi attimi prima era la loro Patria mostrò, attraverso le facce dei seguaci del PCI, anche un altro volto che si scagliarono con rabbia e ferocia contro quei “clandestini” che avevano avuto la colpa di lasciare il paradiso comunista. Le stime parlano di trecentocinquantamila profughi istriani e dalmati, italiani per essere chiari, che la sinistra trattò come invasori, come traditori, organizzando dei veri e propri comitati di accoglienza nei porti di Bari, Ancona e Venezia per dedicargli insulti, fischi e sputi. Vi furono anche i tristi blocchi ai profughi cui veniva proibito di scendere dai treni in sosta presso le stazioni, effettuati da militanti comunisti, addirittura a Bologna, per evitare che il treno si fermasse in stazione, i ferrovieri minacciarono uno sciopero e rovesciarono il latte raccolto per le donne e i bambini affamati.
Per chi a volte se ne dimentica bisogna dire che la sinistra è anche questo; predica l’accoglienza verso lo straniero accolto come un fratello, quando per anni ha considerato stranieri i suoi fratelli Istriani e Dalmati. “Sono comunisti. Gridano ‘fascisti’ a quella povera gente che scende dalla motonave (…). Urlano di ritornare da dove sono venuti”, ricorda Stefano Zecchi nel suo bel romanzo sugli esuli istriani “Quando ci batteva forte il cuore”, “Tornate da dove siete venuti” era lo slogan del Partito Comunista di Napolitano, Violante, D’Alema, Berlinguer e Veltroni, e non quello di Salvini. L’Unità, nell’edizione del 30 novembre 1946, esplicava meglio il pensiero dei vertici comunisti e scriveva: “Ancora si parla di ‘profughi’: altre le persone, altri i termini del dramma. Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi”.
I primi profughi, provenienti da Zara, dalla costa dalmata e da Fiume godettero dell’assistenza del Ministero dell’Assistenza Post-Bellica, che sostituì l’Alto Commissariato per l’Assistenza, e si occupava di assistere anche i profughi e i prigionieri di guerra, i reduci, i militari rientrati dall’internamento e le vittime civili. Furono ospitati in campi profughi disseminati lungo la penisola ma l’accoglienza data loro non fu mai all’altezza delle loro aspettative e più che altro la loro integrazione fu ovunque frutto della loro capacità di integrazione in un tessuto sociale che, come abbiamo visto, li ha guardati per molto tempo con sospetto. Anche questo fa parte della Giornata del ricordo ed #iononscordo.