Fase due. Ne vogliamo parlare?

Già qualche giorno fa scrissi sulla fase due proponendo che la ripresa della vita economica e sociale del nostro paese punti su un Patto sociale fondato sull’economia reale e sul primato del lavoro, sul riconoscimento del valore sociale dell’iniziativa privata quando essa concorre a garantire benessere per tutti coloro che vi partecipano, meccanismi di inclusione dei lavoratori nella gestione e nella divisione degli utili con la promozione di nuove forme cooperative e di cogestione sociale.

Oggi ritorno a parlare di fase due perché mi pare evidente che dovremo imparare a convivere con questa emergenza sanitaria ancora per molto tempo e la politica non può perdere di vista il suo ruolo che risiede soprattutto nella capacità di fare sintesi di interessi e di adottare, attraverso l’azione di governo, i provvedimenti conseguenziali. Serve coraggio. Serve visione politica. Serve comprendere che la crisi sanitaria si è trasformata, tragicamente, in una questione sociale con l’impoverimento generale della popolazione a cui il governo ha mostrato, finora, di non sapere dare risposta. Il «poderoso intervento da 400 miliardi» annunciato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si è rivelato un mero annuncio fine a se stesso che sottintendeva una misura per indebitare ulteriormente il sistema delle imprese. Un aiuto, se così vogliamo definirlo, peraltro intempestivo e legato comunque ai tempi di istruttoria dei singoli istituti bancari.

Di tutti gli altri provvedimenti annunciati gli italiani non hanno ancora visto un euro. Clamoroso il caso dei cassintegrati da “coronavirus” che non hanno incassato gli stipendi di marzo e che ancora oggi sono in attesa di ricevere la prima mensilità della cassa integrazione. Credo ormai sia chiaro a tutti che l’Europa solidale è una chimera e che da Bruxelles non arriverà nulla. Gli aiuti a fondo perduto auspicati perfino da Draghi, non ci saranno. Il blocco dei paesi del nord, guidati da Germania ed Olanda, hanno calato la maschera. Vogliono una Italia in difficoltà ed incapace di sostenere il sistema delle nostre imprese per poterci sottrarre, con i loro prodotti, importanti fette di mercato. Del resto, della assenza di una reale solidarietà tra gli stati dell’Unione ce ne siamo resi conto quando l’Olanda ha fatto da capofila contro gli eurobond, o quando alcuni paesi hanno innalzato barriere protezionistiche impedendo, in piena emergenza, che presidi sanitari raggiungessero i Paesi che ne avevano più bisogno. Una Europa che è chiaramente una unione di Stati nazionali dettata da interessi particolari e che ha rinunciato ad assumersi direttamente la responsabilità di strumenti finanziari sovranazionali perché il suo scopo non è quello di ridurre le diseguaglianze sociali.

Ormai anche il mondo produttivo, di fronte alla pochezza del Governo Conte, ha preso coscienza del fatto che dovrà ancora una volta fare da sé, in autonomia, ed è per questo che in questi giorni, a gran voce ed attraverso le loro associazioni, hanno chiesto all’esecutivo di consentire la riapertura delle attività. Non ci date i soldi, fateci almeno lavorare è il grido di dolore di tanti. Sono convinto che ormai i tempi sono maturi per un ritorno alla vita sociale e che, nel più breve tempo possibile, si devono riavviare, naturalmente definendo protocolli di estrema sicurezza, tutte le attività perché l’epidemia di coronavirus è un problema sanitario che va affrontato in quell’ambito mentre la politica, che non può essere surrogata dai cosiddetti esperti, deve assumersi le sue responsabilità e prendere le necessarie decisioni.

Anche Conte parla di «fase 2», ma anche qui registra ritardi non tollerabili. Non ha, infatti, un piano sufficientemente articolato e solo ieri 10 aprile ha nominato un Comitato di esperti in materia economica e sociale, l’ennesimo, che deve studiare tempi e modalità per la riapertura. Il Presidente del consiglio ed il suo governo mostrano, purtroppo, di navigare a vista e di non possedere alcuna strategia perché oggi, ci sarebbe stata la necessità di dare maggiori certezze al mondo del lavoro avendo affrontato si l’emergenza ma anche, contemporaneamente, già pianificato la ripresa. Rifiuto totalmente anche il metodo De Luca che, evidentemente confortato dal gradimento di alcuni, ha assunto sempre più toni da dittatore del paese delle banane vietando qualunque tipo di attività anche quando la ragionevolezza avrebbe consigliato altre scelte. E’ il caso, per esempio, di quanto accaduto questa settimana con il divieto, unica regione in Italia la Campania, perfino della consegna a domicilio per pasticcerie e ristoranti. Una esagerazione che potrebbe portare alla chiusura numerose piccole imprese. Non so a cosa sia addebitabile ma è indubbio che l’emergenza sanitaria in Campania è stata assolutamente minore e questo aspetto potrebbe anche rappresentare un vantaggio per la ripresa a patto che in tempi rapidi si allenti la morsa dei divieti che fin qui hanno intaccato pesantemente perfino le libertà personali di ognuno di noi. Questo potrebbe essere un enorme vantaggio se si considera che il fattore tempo, cioè la ripresa delle attività, potesse avvenire in tempi rapidi.

Recentemente, il 9 aprile scorso, lo Svimez ha pubblicato un nuovo rapporto che cerca di prendere in esame l’impatto sociale ed economico del coronavirus puntando a prevedere possibili futuri scenari divisi per singole realtà territoriali. Naturalmente a differenza della situazione sanitaria, per la quale auspichiamo una rapida evoluzione positiva, per il Sud si evidenzia che la fragilità del sistema economico potrebbe portare ad una chiusura di imprese che, sempre secondo lo Svimez, sarebbe quattro volte maggiore rispetto al resto del paese con una perdita di migliaia e migliaia di posti di lavoro. Se così fosse sarebbe una vera ecatombe per il meridione che ha già pagato un pesante tributo alle precedenti crisi e che non ha mai pienamente recuperato il terreno perduto a causa della recessione.

De Luca deve capire che bisogna giocare di anticipo, che il picco dell’epidemia è soprattutto un calcolo delle probabilità che assomiglia sempre più a Godot, che il nostro debole sistema delle imprese ha bisogno oggi di poter tornare a produrre. Allo stesso tempo bisogna riporre la massima attenzione affinché l’emergenza non faccia dimenticare l’esigenza di colmare le differenze territoriali tra nord e sud, anzi evitare che possa diventare l’occasione per aumentare le distanze. Il nostro paese ha bisogno di ripartire con la consapevolezza che il sistema paese reggerà soprattutto se vi saranno adeguate politiche di coesione nazionale e decisioni tempestive, se le nostre imprese potranno agire avendo al fianco lo Stato che le sostiene.

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Luigi Rispoli
Luigi Rispoli
Giornalista pubblicista, organizzatore del Premio Masaniello – Napoletani Protagonisti, fondò insieme al poeta Salvatore Barone il gruppo musicale Vento del Sud, è stato componente della Giunta Esecutiva Nazionale del Centro Sportivo Fiamma ed ha fatto parte del Comitato Regionale del CONI per l'organizzazione dei Giochi Studenteschi, è direttore editoriale di Questanapoli, periodico a distribuzione gratuita.

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