Della morte di Santam Singh, il bracciante indiano morto in provincia di Latina a 31 anni, si è già detto tanto. O meglio, non si parlerà, probabilmente, mai abbastanza di come un uomo possa trovare la morte in un modo così disumano, con un braccio amputato e lasciato agonizzante nel bel mezza della campagna. Anche il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in apertura dell’ultimo Consiglio dei Ministri, ha voluto sottolineare che questi “sono atti disumani che non appartengono al popolo italiano, e mi auguro – ha poi aggiunto – che questa barbarie venga duramente punita”.
Da Bellanova a Soumahoro, i fallimenti della sinistra
Ovviamente parole al vento, dal momento che la sinistra, a sole poche ore dall’accaduto, è riuscita a strumentalizzare anche questo fatto, facendovi uno sciacallaggio che non rispetta, in primis, il defunto Singh, né tantomeno il Governo, subito accusato di essere il primo, vero e unico colpevole del disfatto. “Abbiamo chiesto una stretta sul caporalato. Purtroppo, ancora non abbiamo ricevuto risposta. Ci siamo rivolti alla premier per lavorare insieme su questa priorità, la sicurezza sul lavoro, che vuol dire investire più risorse per avere più controlli. Serve una scossa civile di tutto il Paese”. Lo ha dichiarato, immancabilmente, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e il succo del discorso è chiaro. Ma, prima di giudicare un governo che, a differenza di quanto raccontato, si sta impegnando anche su questo tema, la sinistra dovrebbe chiedersi quanto si siano impegnati i suoi esponenti per combattere la piaga del caporalato. Non serve un’ottima memoria per ricordare, ad esempio, il ministro per l’Agricoltura del Governo Conte II, in quota Italia Viva, Teresa Bellanova. La quale, con un passato da sindacalista, si commosse a favore di telecamere, sostenendo che il nuovo decreto da lei varato avrebbe posto fine al caporalato, nella ricorrente ed erronea concezione tutta sinistra e statalista secondo la quale i problemi si risolvono a colpi di regolamentazioni. Dopo la Bellanova, a proposito di lacrime, è arrivato Aboubakar Soumahoro, quello che era stato già proclamato il simbolo della nuova sinistra, l’uomo che avrebbe dovuto portare i progressisti a un nuovo splendore, riavvicinandoli alle questioni concrete delle fasce meno abbienti, come storicamente funzionava. E invece, si è scoperto che Soumahoro si trovava bene in quel mondo radical-chic. Lui e soprattutto la moglie, privata dalla magistratura del suo “diritto all’eleganza” a causa delle condizioni di vita ignobili in cui riversavano i braccianti della sua cooperativa.
Fermare gli ingressi irregolari
Parlano di caporalato, incolpano il governo, ma farebbero meglio a guardarsi le spalle. Perché, per quanto ci si possa spendere contro il sistema del caporalato, ci sono dei meccanismi che inevitabilmente lo favoriscono. E finché non si combatte alla radice il problema, questo non verrà mai risolto. Si gira sempre intorno alla questione, senza mai affrontarla. Anche se il vero problema è che la questione non vuole essere risolta, perché c’è qualcuno che ci lucra, ci guadagna, vede ingrandirsi il proprio portafoglio. Un po’ come per la famiglia Soumahoro: il diritto all’eleganza era solo per Liliane Murekatete, e non certamente per i braccianti che vivevano nelle sue coop. La questione è semplice: se mai si fermerà l’immigrazione illegale, sarà sempre difficile combattere il caporalato. Masse di disperati in cerca di fortuna, costretti a vivere in condizioni pietose e a lavorare con stipendi da fame. E questo valga anche per quel sistema di sfruttamento dell’immigrazione legale che contenente a extracomunitari di entrare in Italia dietro lauto compenso anche in assenza di una vera proposta di lavoro. Insomma, quei sistemi mai realmente combattuti dalla sinistra nei quali qualcuno (più di qualcuno) ci ha visto l’occasione giusta per “arrotondare”. Fermare l’immigrazione illegale, quindi, è forse il modo più efficace per azzerare le morti nel Mediterraneo, per arginare i guadagni delle criminalità nel traffico di esseri umani, per combattere lo sfruttamento sul lavoro