Immaginate un’azienda che ogni 400 giorni cambia amministratore delegato: i più bravi impiegherebbero la metà del tempo per studiare la realtà che dovranno guidare e farsi conoscere (e possibilmente apprezzare) da collaboratori, partner commerciali e fornitori.
Nei casi migliori gli altri 200 giorni potrebbero bastare per elaborare una strategia completa di obiettivi e relative azioni per raggiungerli, il tutto gestendo i processi già avviati, ordinaria amministrazione compresa.
Poi, nel momento in cui l’Ad comincia a prendere dimestichezza con la macchina, arriva il momento di scendere e lasciare il posto ad un altro che dovrà ricominciare praticamente tutto da capo.
Non serve Milton Friedman per capire che quell’azienda fallirebbe in men che non si dica.
Ecco, ora proiettate il medesimo scenario su una nazione e avrete l’Italia con i suoi 68 governi in 75 anni e tutto ciò che consegue da un’instabilità così lunga e cronicizzata: scarsa autorevolezza internazionale, bassa affidabilità agli occhi di investitori stranieri e agenzie di rating, una classe politica abituata a governare in funzione del consenso e non di ciò che è giusto, assistenzialismo, mancanza di visione e immobilismo su riforme strutturali.
Ovvero le questioni che hanno scavato l’enorme solco tra popolo e politica in merito alle cui cause sinistra, grillini e cespugli vari pur di negare l’evidenza vaneggiano le tesi più cervellotiche e disparate.
Ovvio che per loro la riforma presentata venerdì dal presidente Meloni sortisca il medesimo effetto dell’aglio sui vampiri: dalla caduta del secondo Governo Prodi (era il gennaio del 2008) a oggi hanno governato senza mai vincere un’elezione, sempre e solo grazie a giochi di palazzo che gli hanno consentito di occupare le istituzioni, a cominciare dal Presidente della Repubblica.
Per i vari Schlein, Conte, Calenda e compagnia cantante la riforma approvata dal Consiglio dei Ministri è un autentico dramma, perché li costringerà a cimentarsi in qualcosa che non hanno mai fatto prima: elaborare una proposta politica credibile, spiegarla agli italiani e, in virtù di essa, ottenerne la fiducia.
E il fascismo? E il parlamento aperto come una scatoletta di tonno? E la povertà sconfitta graduidamende? E l’intersezionalità? E il campo largo? Game over. Per la prima volta nella loro vita gli toccherà rimboccarsi le maniche, spremersi le meningi, cominciare a fare politica per qualcosa e non contro qualcuno e provare a vincere le elezioni.
È la democrazia, bellezza.
Finalmente.