Che sollievo. Che soddisfazione. Finalmente, dopo quattro anni di tenebre, sull’Occidente è tornato a splendere il sole. Con un discorso di insediamento che sta già facendo la storia, Donald Trump ha spazzato via le nubi portate dalla sciagurata Amministrazione Biden-Harris: ideologia woke, immigrazione incontrollata, teoria gender, dittatura del politicamente corretto, follie green.
Tutto finito, game over. Certo, ci vorrà qualche tempo per smaltire le tossine, ma siamo finalmente tornati a marciare nella direzione giusta. Che è diametralmente opposta a quella in cui ci hanno spinti sinistra e globalisti, con l’intento dichiarato di cancellare la nostra identità e confinarci in una società impoverente, distruttiva e oppressiva. Pretendevano che ci sentissimo in difetto perché siamo bianchi, cristiani ed eterosessuali, ci aggredivano verbalmente se osavamo affermare che esistono due sessi – maschio e femmina – oppure che l’utero in affitto non è “un diritto”, ma un crimine che va perseguito o, ancora, che gli uomini non possono gareggiare negli sport femminili.
Hanno abbattuto statue e provato a cancellare la millenaria cultura occidentale e le nostre tradizioni per sostituirle con stereotipi devianti per inculcare il loro folle disegno nelle menti dei nostri bambini; volevano mettere in galera e “riprogrammare” chiunque osasse pubblicare o pronunciare idee difformi dalla loro narrazione; hanno messo in ginocchio le produzioni nazionali per favorire le multinazionali che delocalizzano in Cina.
Ci hanno definiti fascisti perché votiamo e sosteniamo leader come Donald Trump, Giorgia Meloni e Javier Milei che, in quanto ostili a loro, sono amici del popolo. Mentre Trump giurava, mi sentivo come ci si sente quando ci svegliamo da un incubo: ancora incredulo, ma felice. Anzi, entusiasta. E orgoglioso: vedere il nostro Presidente del Consiglio, la nostra Giorgia, lì, in quel momento, come unico leader europeo, mi ha fatto pensare che ci è arrivata guadagnandosi ogni singolo centimetro con il sudore della fronte. Subito dopo, ascoltando le parole di Trump, mi sono passati davanti agli occhi gli ultimi quattro anni: dalle elezioni del 2020 sul cui risultato ci sarebbe molto da dire, al tentativo di giustiziarlo per i fatti di Capitol Hill, che sinistra e media mainstream sono arrivati a paragonare strumentalmente all’11 settembre. Un insulto alle 3000 vittime di quel vile attentato che cambiò il corso della storia.
Poi ho pensato a tutti quelli che ci raccontavano che Trump era finito, alla foto segnaletica, all’attentato di Butler e a questo uomo che si rialza da ogni caduta più forte e determinato di prima perché, come ha detto lui stesso verso la fine del suo discorso, «sono qui davanti a voi per dimostrarvi che non bisogna mai credere che una cosa sia impossibile da fare. In America, l’impossibile è ciò che sappiamo fare meglio». Già.
Tre anni fa sembrava impossibile svegliarci dal più assurdo dei nostri incubi, ma grazie a Trump ce l’abbiamo fatta e oggi Sleepy Joe, Kamala Harris e tutto il loro armamentario woke sono già un lontano ricordo e ciò, non lo nego, oltre a rassicurarmi e a restituirmi fiducia per il futuro, è anche motivo di grandissimo godimento.