È il 18 agosto del 1946, la prima estate dopo la Seconda Guerra Mondiale. Era un periodo ancora caldissimo: la guerra fredda era appena iniziata, l’astio tra mondo occidentale e mondo comunista si stava esacerbando. In più, la sorte di milioni di persone dipendeva dalle scelte della Conferenza di Parigi, in cui le superpotenze vincitrici si stavano spartendo il mondo. Insomma, le spiagge erano tornate a popolarsi, ma era tutto fortemente in bilico. La sorte di Pola, forse, era già scritta, ma i suoi cittadini non si arrendevano: Pola voleva essere italiana e i tentativi di convincere la Conferenza durarono tutta l’estate. In quei mesi, tutta l’Istria era stata annessa alla Jugoslavia dopo l’arrivo delle truppe titine e la pulizia etnica voluta dal dittatore. Pola soltanto era riuscita a restare italiana, gestita in quei giorni dagli Alleati. Tuttavia, le rivendicazioni jugoslave sulla città si facevano sentire, e si fecero sentire soprattutto quell’estate.
In quel 18 agosto 1946, Claudio Bronzin era uno dei tanti bambini polesi giunti sulla spiaggia di Vergarolla per assistere alle tradizionali gare natatorie: un momento con il quale gli organizzatori speravano di rafforzare la propria vicinanza al resto d’Italia tramite uno sprazzo di orgoglio e di normalità. Quel giorno, il triste fatto: intorno alle 14 furono detonati degli ordigni che provocarono una violentissima esplosione e una grande colonna di fumo. “Ho sentito come un colpo di pistola, e alzando gli occhi ho visto un’immensa colonna di fuoco alzarsi, fumo, sassi, pietre…”: questa la testimonianza di Bronzin, che da quel vile attacco riuscì a fuggire. Ieri a Cinque Minuti su Rai1 l’esule è finalmente riuscito a raccontare al Servizio pubblico le vicende della più grande strage post-bellica italiana. Tra gli italiani, quel giorno, si distinse il chirurgo Geppino Micheletti che, nonostante avesse perso entrambi i figli nella strage, restò in trincea a soccorrere chi ne aveva bisogno per due giorni consecutivi.
Ancora oggi, tuttavia, nulla è certo: i morti oscillano intorno al centinaio, solo 65 furono identificati, impossibile riconoscere gli altri perché letteralmente polverizzati dall’esplosione. Anche sugli ordigni c’è ancora incertezza: si parla di circa nove tonnellate di esplosivo, messi in sicurezza già nei giorni precedenti, secondo un’inchiesta britannica, in modo tale che solo l’intervento umano avrebbe potuto provocarne lo scoppio. Da quella triste vicenda, forse i polesi italiani ebbero maggiore consapevolezza su quale sarebbe stata la loro sorte, relegati a merce di scambio tra le superpotenze. Tra la lentezza delle indagini degli Alleati e le reazioni della stampa in Patria (l’Unità incolpava gli americani di cattiva manutenzione, mentre in generale gli altri quotidiani non andarono oltre qualche quesito retorico) le Istituzioni avevano lasciato a loro stessi gli abitanti di Pola, il cui orgoglio patriottico non venne mai meno: i funerali raccolsero tutta la cittadinanza, tanto che fu necessario organizzare due distinti cortei funebri.
Altra testimonianza di quelle triste vicende è stata data ancora a Cinque Minuti da Franco Luxardo. Esule dalmata, aveva 7 anni quando fu firmato l’Armistizio dell’8 settembre 1943. Un giorno a partire dal quale la sua natia Zara, capoluogo dalmata, sarebbe totalmente cambiata: dall’arrivo degli Alleati, infatti, la città fu bersaglio di ben 54 attacchi aerei ordinati ancora una volta da Tito in linea con la sua volontà di pulizia etnica. Il numero dei morti è ancora incerto: oscillano tra i 2000 e i 4000, il 10% di tutta la popolazione italiana della città. Franco Luxardo è figlio di Giorgio, l’unico dei tre fratelli alla guida di una storica distilleria di Zara risparmiato dai titini. Gli altri due fratelli invece furono uccisi dalle truppe comuniste. Ai familiari fu raccontato che i due furono fatti annegati, ma a distanza di anni è venuta a galla la verità: “Per 80 anni – ha detto Luxardo – abbiamo creduto fossero stati annegati, ma solo pochi anni fa, grazie a uno studioso croato dell’Università di Zara, abbiamo scoperto che invece erano stati fucilati a Zara pochi giorni dopo l’arrivo dei partigiani insieme all’OZNA, la polizia politica jugoslava”. I suoi zii non erano fascisti, ma appartenevano al mondo delle professioni: uno era Presidente della Camera di Commercio, mentre l’altro era consigliere della Banca d’Italia. Nonostante ciò, non furono risparmiati dall’odio razziale che spinse Tito e le sue truppe all’epurazione etnica di quelle terre. Nel 2001, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concesse alla città di Zara la Medaglia d’Oro al Valor Militare: una medaglia concessa ma mai consegnata a causa di alcune divergenze con la Croazia. Oggi, ha chiosato Bruno Vespa, “forse è arrivato il momento di consegnarla…”.
Scusate, chiedo cortesemente venia a tutti ma mi ero dimenticato di aggiungere un’ultima cosa.
Quando riuscirono a fuggire dalle grinfie di Tito e dei suoi aguzzini serbi, montenegrini e macedoni, stranamente foraggiati sia da Stalin che dal Regno Unito contemporaneamente, la moltitudine di persone dell’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia che avevamo i cognomi non di origine italiana, una volta arrivati in Italia dovettero subire un’altra onta, questa addirittura di carattere grottesco:
A coloro che avevano cognomi e nomi marcatamente di origine slava o ungherese venne chiesto di cambiarli in versioni più italianizzate o italianizzabili.
Sai, alle volte gli impiegati delle anagrafi, che all’epoca avevano a malapena la licenza media, trovavano difficoltà nella scrittura o nella pronuncia. Oppure il Senatore italiano di turno che doveva presenziare alle commemorazioni si infastidiva nel dover riconoscere l’italianità del tale Scroffenercher o del tal’altro Kovacevic.
Alla nonna del mio amico che era fuggita da Pola con i suoi 2 figli, dopo che suo marito era stato ucciso dai titini e il suo corpo non fu mai più ritrovato, quando arrivò infine a Torino gli fu suggerito di cambiare il suo cognome da Fonovic nel “più italiano” Fono.
Da quel momento in poi la povera signora Fono (ex Fonovic…) ogni volta che si presentava da qualche parte gli veniva chiesto: “per cortesia, come si chiama Lei, Signora?”.
La Signora ovviamente rispondeva “Mi chiamo Fono !”.
Sapete cosa doveva sentirsi dire:
“Allora Lei è Sarda, Signora!”
Una povera donna, madre di 2 figli e vedova, scampata dalla guerra e dalla rivoluzione comunista, nata nell’Impero Austro-ungarico, con Franz Josef II imperatore e l’ammiraglio Hörthy capo del governo, cresciuta poi sotto il “Re” Vittorio Emanuele III e capo del governo Mussolini, scappata dalla Repubblica Socialista di Jugoslavia con Josif Broz Tito come Presidente, arr
iva nella neo Repubblica Italiana e dai suoi “nuovi compatrioti” viene ritenuta Sarda!!!!!!!
Guardate, non ci sono parole!!!
Nel mondo le schifezze le commettono persone di tutte le nazioni, lingue, religioni, culture e idee diverse, ma in questo tipo di schifezze solo noi italiani siamo i più capaci del mondo!!!!!
Ve lo dice uno fermamente di destra e fiero di essere nato in Italia, ma purtroppo queste sono le schifezze peculiari di solo noi italiani.
Tra le tante cose mai raccontate sulla storia di Istria e Dalmazia durante e dopo la seconda guerra mondiale, ce n’è anche una che nessuno, sia i difensori dell’italianità, sia gli ammiratori di Tito, hanno mai voluto raccontare:
Nel 1944, quando i titini approfittarono del caos del dopo armistizio e occuparono l’Istria, gli unici che li scacciarono e difesero le popolazioni civili inermi, italiane e non, furono i Tedeschi.
Molti dimenticano che la Venezia Giulia, Trieste, Istria e Zara vennero affidate tra il 1944 e 45 all’amministrazione del Reich Tedesco.
E non per capriccio di Hitler, ma perché per secoli quelle zone fecero parte del Ducato e Carinzia, poi dell’ Impero d’Austria e del Sacro Romano Impero e infine dell’Impero Austro-ungarico.
I Tedeschi si sentivano in un certo senso motivati nei confronti di quei territori.
Presero il nome di Adriatisches Küstenland e dipendevano direttamente da Berlino, non erano una colonia occupata.
Furono i Tedeschi che scacciarono i Titini e i Tedeschi furono i primi che si occupano di individuare le foibe e aiutare a recuperare i corpi delle persone massacrate dai Comunisti jugoslavi, che tra l’altro massacrarono anche molte persone di etnia croata, slovena, aromena e austriaca che vivevano soprattutto in Venezia Giulia, Istria e a Fiume, persone che alla fine erano la maggioranza della popolazione di quelle zone, che dovettero già subire l’ostracismo durante il Ventennio e che per i titini avevano la colpa di non essere comunisti o di essere cattolici.
Il nonno di un mio caro amico, Leon Burul si chiamava, fu torturato e massacrato vicino Pola perché era di etnia aromena e sembra che avesse simpatie per Codreanu e Horia Sima e qualcuno ( si dice fossero degli italiani comunisti….) lo accusò di essere un seguace di Ante Pavelic, comunque non aveva nulla a che fare con l’italianità, ma i titini lo massacrarono ugualmente.
Pur di scappare via, la nonna del mio amico (si chiamava Fonovic di cognome) non ebbe altro rimedio di prendere i suoi bambini e fuggire in Italia.
Così come fecero una moltitudine di Marincic, Stuparic, Messinger, Hrdlicka, Vata, Strukelj, Filcic, Radanovic, Katsovic, Hacker, Zimmerman, Betiça, Zungul, Posovic, etc , etc.
Purtroppo da fastidio a molti ammettere di avere i Tedeschi come salvatori, mentre i nostri “Alleati” Inglesi rifornivano di armi Tito.