Di recente, Sebastiano Cubeddu, deputato dei cinque stelle, ha espresso in un post Facebook sul Reddito di Cittadinanza delle semplificazioni populiste, di quelle utili solo a aumentare l’ego personale di personaggi pubblici sui social network, ma per comprendere meglio è fondamentale approfondire con analisi e criterio ogni singola affermazione.
Partiamo proprio dal titolo che recita (in maiuscolo che sul web significa urlare e sui social è un vero pugno nell’occhio) “IN UN PAESE DOVE IMPERVERSANO L’IPOCRISIA E GLI INTERESSI DI POCHI, I POVERI POSSONO ESSERE ABBANDONATI NELL’INDIFFERENZA”. Tale affermazione è abbastanza boriosa, crediamo che chiunque si avvicini al mondo della Res Publica non possa ignorare i cittadini più in difficoltà – che è molto riduttivo indicare come “poveri” – tra questi infatti ci sono principalmente giovani, quelli che i più esperti amano chiamare Neet Generation (not engaged in education, employment or training), ossia coloro che non sono impegnati nel ricevere un’istruzione o una formazione, non hanno un impiego né lo cercano, e non sono impegnati in altre attività assimilabili, quali ad esempio tirocini o lavori domestici.
È fondamentale conoscere bene gli aspetti sociologici ed economici strettamente collegati a questa specifica categoria, ai quali è indirizzata la manovra del Reddito di Cittadinanza.
Sicuramente è importante investire su questa categoria sociale, ma non con un semplice palliativo a scadenza di un anno. Non vogliamo un popolo di giovani beneficiari della “marchetta” dello Stato.
Infatti, se la storia ci ha insegnato qualcosa è che, al contrario di quanto ci vogliano far credere, è fondamentale investire per creare lavoro!
I giovani italiani non meritano l’elemosina dello Stato!
Occupiamoci di realizzare progetti educativi mirati allo sviluppo della cultura d’impresa soprattutto per i più giovani, solo così riusciremo a invertire un flusso che ha portato moltissimi giovani italiani all’estero.
Analizzando i dati SVIMEZ (associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) – recentemente pubblicati – scopriamo che dal 1976 al 2016 sono emigrate dal Mezzogiorno 5 milioni di persone contro 3 milioni di rientri, con una perdita netta per l’area di 2 milioni di residenti. Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 183 mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati; il 16% circa si sono trasferiti all’estero. Quasi 800 mila di essi non torna più nel Mezzogiorno.
Da valori di poco superiori a 1,5 milioni nella prima metà degli anni Duemila, le persone in povertà assoluta sono salite nel 2017 poco sopra i 5 milioni di cui quasi 2,4 milioni nel solo Mezzogiorno (8,4% e 11,4% dell’intera popolazione rispettivamente). Nello specifico, nell’area meridionale più di un quarto delle famiglie, coppie e monogenitori, con figli adulti, si collocano nel più basso quintile di reddito, per giungere addirittura a circa la metà della popolazione di riferimento se si parla di famiglie con figli minori.
Può un deputato della Repubblica pur restando alle proprie posizioni, può categorizzare chi non la pensa come lui racchiudendo tutti in un unico “comune nemico” dal nome di classe media? Qui nessuno si scandalizza per l’idea di aiutare poveri e precari ci chiediamo, però, se questa paghetta del reddito di cittadinanza sia l’unica strada percorribile, l’unica prospettiva da ipotizzare per chi si trova in queste condizioni.
Ma come diceva il premio Nobel Amartya Sen: “La povertà non è una mancanza di soldi, la povertà è una cosa più complessa. È la mancanza di libertà che deriva dalle condizioni intorno a me, e non mi consentono di raggiungere quello che vorrei essere, e potenzialmente potrei essere. La povertà nn è data dalla mancanza di soldi, ma di scuole, di intorno sociale, di sostegno alle famiglia, di cultura. La povertà è una cosa più complessa!”