Fra Zelensky e Trump noi scegliamo Giorgia 

Fra le pareti dello Studio Ovale è andato in scena un bruttissimo spettacolo di politica internazionale. Al di là di chi sia stato il vero responsabile di tale degenerazione trasmessa in mondovisione, cioè, il presidente americano Donald Trump e il suo vice JD Vance oppure il leader ucraino Volodymyr Zelensky, si è trattato di venti minuti pessimi per le democrazie del pianeta e il buonsenso, con lo sguardo sbigottito dei giornalisti accreditati in sala. Hanno sbagliato tutte le parti in causa e riconoscere questo non corrisponde affatto ad un atteggiamento pilatesco, bensì, equivale ad una presa d’atto assai obiettiva e realistica. È sembrato di rivivere più o meno lo stesso copione dello scontro avvenuto non molti giorni fa. Anche nello scambio di battute, sebbene a distanza, fra la “vittima della propaganda russa” Trump e il “dittatore” Zelensky, risentito per non essere stato invitato in Arabia Saudita al vertice fra delegazioni russe e americane, sono stati commessi passi falsi e sono state pronunciate frasi inopportune sia da Kiev che da Washington. L’irritazione americana è esplosa in tutta la sua forza in particolare nel momento in cui Volodymyr Zelensky ha affermato di non voler fare alcun compromesso con il “killer Putin”. Il presidente ucraino è leader di un Paese aggredito militarmente da Vladimir Putin, che dal 2022, oltre al tentativo di invasione integrale, subisce attacchi periodici e pesanti, spesso effettuati in zone residenziali, dalle forze russe, quindi, è fisiologico che il numero uno di Kiev consideri Putin come un assassino seriale. Però, se si vuole che la guerra finisca ed inizi un processo di pace bisogna pensare alla ineluttabilità di qualche cedimento, beninteso, per entrambe le parti, altrimenti, diventa complicato stilare piani e avviare dei negoziati, per gli Stati Uniti come per il Regno Unito e l’Europa. Trump, prima dell’incontro-scontro con Zelensky, aveva parlato di necessarie rinunce che devono riguardare tanto l’Ucraina quanto la Russia e che sono l’unica via di accesso alla pace. Non c’è dubbio su questo, a Trump serve sapere, per iniziare a lavorare in concreto su un piano di pace, fino a dove può arrivare Zelensky nel cedere qualcosa a favore della conclusione della guerra, ma se l’interlocutore inizia col dire di non volere compromessi, è evidente che tutto diventi molto arduo. La reazione di Trump e Vance avrebbe dovuto essere però diversa. Se il presidente USA e il suo vice, anziché essere leader politici, fossero stati due manager o dirigenti d’azienda, avremmo dovuto parlare di comportamento poco professionale. Purtroppo, hanno preso il sopravvento antipatie personali mal sopite e vecchi rancori che sono emersi quando JD Vance ha rinfacciato a Zelensky la sua eccessiva vicinanza ai democratici americani, resa ancor più palese dalla partecipazione del presidente ucraino ad un evento dem in Pennsylvania durante la campagna elettorale per le Presidenziali. È venuto fuori un astio personale che ha portato a maltrattare più l’aggredito che l’aggressore. È sembrato che il primo avesse più colpe del secondo circa la guerra. Nelle trattative internazionali e nella difesa dell’Occidente da autocrazie, terrorismi e offensive militari illegittime, occorre mettere un po’ da parte le spigolosità caratteriali e le differenti devozioni partitiche, come insegna Giorgia Meloni da quando si è insediata a Palazzo Chigi. L’unica voce di buonsenso che abbiamo ascoltato dopo la rissa nello Studio Ovale, è stata quella della nostra premier. L’unità dell’Occidente non può essere messa in pericolo da provincialismi ideologici e ripicche, che fanno il gioco di chi lavora da sempre per rimpicciolire il mondo libero, ovvero, la Russia e la Cina, che, silente, se la ride con Putin. Giorgia Meloni ha ribadito con chiarezza questi concetti a Londra, nell’incontro bilaterale con il premier britannico Keir Starmer, (il laburista Starmer e la conservatrice Meloni comprendono l’opportunità di andare oltre alle barriere partitiche per il bene superiore dell’Occidente), e poi durante il vertice a 16 con Paesi UE ed extra-UE a cui ha partecipato anche Volodymyr Zelensky. La pace giusta e duratura deve passare attraverso le garanzie di sicurezza e la tutela della sovranità per l’Ucraina. Come hanno convenuto sia Starmer che la premier Meloni, il processo di pace e la gestione del dopoguerra non possono fare a meno dell’apporto degli Stati Uniti. Trump, Vance e Zelensky hanno il dovere di ricucire e il ponte fra USA e UE, che risponde al nome di Giorgia Meloni, sta già lavorando affinché ciò avvenga al più presto. 

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

4 Commenti

  1. Sicuramente Giorgia, ma bisogna ammettere che senza Trump e il suo effetto dirompente, ancora staremmo a discutere sul come fare per far finire questa guerra odiosa. Sono convinto che se al posto di Biden ci fosse stato Trump, la guerra non sarebbe nemmeno iniziata.

  2. Non voglio fare il ping pong, ma non posso fare a meno di rinnovarti la mia stima e completa condivisione.
    E’ dal tempo di De Gasperi che in Italia non abbiamo un Primo Ministro con un uguale senso di patriottismo e statura politica, in un contesto nazionale e internazionale molto difficile e complesso.

    con affetto

    Alessandro

  3. Ciao Alessandro,
    non nego di iniziare ad avere anch’io qualche riserva su Trump e Vance, in particolare circa i dossier Ucraina e dazi, mentre non ho rimostranze da fare in merito alla loro linea ineccepibile su Israele, degenerazioni woke, gender e green, e ancora tanto altro. Ma sostengo la linea di Giorgia Meloni e pure del Regno Unito che di fatto si smarca da Trump sul riconoscimento di aggressori e aggrediti fra Russia e Ucraina, e non si allontana dall’impegno europeo pro-Kiev, tuttavia, ritiene indispensabile il prosieguo dell’asse transatlantico. Penso che un lavoro diplomatico continuo, non distruttivo eppero’ determinato, fra le piu’ importanti Nazioni dell’Occidente, come e’ avvenuto al vertice a 16 di Londra fra Paesi UE, extra-UE, Canada, Regno Unito e Ucraina, possa servire a regolare alcune asprezze trumpiane. Mi posso sbagliare, per carita’, ma non riesco ad immaginare un Trump accondiscendente davanti ad una eventuale invasione cinese di Taiwan. Proprio qualche giorno fa, il presidente USA ha definito tale scenario, se davvero si concretizzasse, come una catastrofe. Un abbraccio, Roberto.

  4. Caro Roberto, non mi sognerei mai di darti del “pilatesco”, ma c’è un punto ineludibile in questa sconcertante vicenda: l’affermazione del Sig Trump che la Russia NON ha aggredito l’Ucraina.
    E’ impossibile qualunque colloquio tra partner se uno dei due afferma il falso a danno dell’altro.
    Qui non si tratta di pesare gli errori dell’una e dell’altra parte, che sicuramente ci sono entrambi.
    Si tratta di sapere se:
    – è vero che Trump avrebbe detto che la Russia NON ha aggredito l’Ucraina?
    – se non è vero, che lo smentisca, dato che tutti hanno riferito tale affermazione
    – se invece, come sono convinto fino a prova contraria, l’affermazione è stata fatta, qualunque reazione di Zelenski, anche se tatticamente sbagliata, è comprensibile.
    Facile fare il gradasso con i deboli e blandire i forti.
    Forza Giorgia, la tua linea è l’unica giusta, anche se per arrivare, come auspico, a ri-unire l’Occidente, Europa e America, sui valori di giustizia e libertà che ci sono propri, sarà necessario portare il Sig. Trump e la sua corte dei miracoli a qualche correzione di rotta.
    Non impossibile, arduo, ma non impossibile.

    Con affetto

    Alessandro

    PS: l’ho scritto anche a commento di un articolo di Alessandro Nardone: quando il Sig Trump ci spiegherà anche che Taiwan ha aggredito la Cina?

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