Abbiamo capito tutti adesso a chi e perché ha dato tremendamente “fastidio” – per usare un eufemismo – quel paradigma pronunciato davanti a una delle basiliche più importanti d’Europa, San Giovanni a Roma? Quel «Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana» con cui la fondatrice di Fratelli d’Italia ha scandito e lanciato un vero e proprio manifesto conservatore contro la neo-lingua e l’Unione “sovietica” – livellatrice verso il basso e l’indistinto – di Bruxelles?
Ha dato fastidio, eccome, ai “Grinch” della Commissione Ue: quelli che hanno cercato, in maniera subdola, di rubare il Natale ai bambini di tutto il Continente. Quei burocrati che raccomandano di usare nomi generici anziché i «nomi cristiani»: basta dunque con «Maria e Giovanni», bisogna chiamare i nostri figli con i “generici” «Malika e Giulio». Quelli per cui proprio la festa della Natività – al centro di tutta l’escatologia cristiana e dunque di quella europea – è da «bandire» e da sostituire con il grigio e inclusivo «vacanze».
Sono solo alcuni esempi, i più clamorosi, dell’ormai tristemente celebre documento interno della Commissione Europea intitolato #UnionOfEquality. European Commission Guidelines for Inclusive Communication.
Quel sussidiario di delirio politicamente corretto pensato per i funzionari comunitari – scovato da Francesco Giubilei e denunciato su il Giornale – intriso di pregiudizi anti-cristiani e di diktat Lgbt, di idiosincrasia per il dettato identitario e di febbrile adesione a questa sorta di “esperanto” antropologico che è l’ideologia dell’inclusione.
Un’operazione troppo sfacciata, alla luce del sole e impregnata di assurdità (come abolire il «Signori e signore» a favore del “neutrale” «cari colleghi»; o bandire il concetto di “colonialismo” verbale: per cui non si può dire, ad esempio, «colonizzazione di Marte») che solo l’indignazione e la sollevazione corale del mondo politico e culturale e della società civile – di centrodestra ma non solo – sono riusciti a bloccare e a rispedire al mittente. «La Commissione europea batte in ritirata», ha esultato non a caso Giorgia Meloni a proposito dello stralcio del documento interno: «Abbiamo fermato la vulgata del politicamente corretto».
«Non è un documento maturo e non soddisfa tutti gli standard di qualità della Commissione», si è limitata a dire la commissaria europea alla Parità e committente delle linee guida Helena Dalli. Una retromarcia rovinosa e goffa di chi è stato colto in fallo ma non ha avuto nemmeno l’onestà di ammettere l’errore. Perché per la Commissione “Ursula” di errore, in fondo, non si tratta: casomai di incidente di percorso. L’obiettivo, da quelle parti, non cambia: codificare per poi normare l’astrazione che i tecnocrati hanno in testa. La stessa del nutriscore, dei deliri regolatori su pesca e agricoltura, della devitalizzazione di ogni specificità (a maggior ragione se spirituale) che ricordi o riaffermi le reali radici dell’Europa.
Ma costoro non avevano fatto i conti con la reazione di un popolo – da Dublino a Lampedusa – non più disposto a farsi inoculare, senza alcun motivo, dosi di “sensi di colpa” che non hanno ragion d’essere. Quel popolo che non si riconosce nel fanatismo dell’inclusione forzata ma che crede, al contrario, nella trasmissione dei nodi ancestrali richiamati da Giorgia Meloni a Roma («Io sono…») come a Madrid ( «Yo soy…»).
Quei nodi il cui filo conduttore è il Sole vittorioso da cui 2021 anni fa prese corpo, grazie a una madre, la speranza del mondo: la radice viva d’Europa. Il nostro Natale cristiano. Salvato qualche ora fa dalle grinfie dei Grinch di Bruxelles.