Signor Presidente, Onorevoli senatori,
questa nuova legislatura europea si è aperta all’insegna della preoccupazione e dell’incertezza. Per il protrarsi della guerra in Ucraina, per la drammatica escalation in Medio Oriente, per i mutamenti geopolitici, e per le molte difficoltà che attraversa l’economia europea, in parte conseguenza di questi scenari, in parte figlie degli errori del passato.
L’Unione europea si trova ad affrontare queste sfide dopo una tornata elettorale che ha restituito alcuni messaggi molto chiari da parte dei cittadini europei, e con una nuova squadra che dovrà affiancare la Presidente rieletta Ursula von der Leyen.
Se il percorso parlamentare in atto confermerà – come naturalmente crediamo e auspichiamo – la composizione annunciata, di questa squadra farà parte il Ministro Raffaele Fitto, che la Presidente von der Leyen ha voluto designare nel ruolo di Vicepresidente Esecutivo della Commissione europea. Un notevole miglioramento per la nostra Nazione rispetto alla composizione della commissione uscente, atteso che vedeva 4 Vicepresidenti esecutivi e 7 Vicepresidenti complessivi ma nessuno di questi era italiano.
La ritrovata centralità dell’Italia
Differentemente da quanto preconizzato da molti, e da quanto forse sperato da alcuni, questa indicazione è la conferma di una ritrovata centralità dell’Italia in ambito europeo, rafforzata – permettetemelo – da un governo credibile che garantisce la stabilità politica in una fase storica in cui tutto intorno a noi è instabile. Una realtà, insomma, molto distante dal continuo mantra di un presunto isolamento internazionale italiano.
Ma è soprattutto il riconoscimento del ruolo e del peso dell’Italia, Stato fondatore della Ue, seconda manifattura d’Europa, terza economia del Continente. Significa che a differenza di quello che vorrebbero alcuni, in Europa la forza degli Stati membri viene ancora prima di quella delle presunte maggioranze politiche, come è giusto e normale che sia.
Un risultato che credo debba inorgoglire tutta la Nazione, non solo i partiti della maggioranza. Ed è la ragione per cui mi auguro che tutte le forze politiche italiane si facciano parte attiva presso le proprie famiglie politiche europee affinché questo risultato, così importante per la nostra Nazione, possa essere raggiunto rapidamente e senza inciampi, per consentire alla Commissione, in un momento così delicato, di essere pienamente funzionante dal primo dicembre. Non mancheranno le occasioni per dividerci nel corso di questa legislatura europea su tanti temi su cui le diverse forze politiche hanno opinioni spesso radicalmente diverse, ma di fronte all’affermazione dell’interesse nazionale credo che abbiamo il dovere di essere uniti.
È quello che noi abbiamo fatto nella scorsa legislatura all’atto della nomina di Paolo Gentiloni, quando proprio Raffaele Fitto – in rappresentanza di Fratelli d’Italia – si espresse a favore del candidato italiano e conseguentemente il gruppo di ECR votò in suo favore, e addirittura il Presidente Silvio Berlusconi chiese di partecipare ai lavori di una commissione che non era la sua, per poter prendere la parola e intervenire a sostegno di Paolo Gentiloni.
Ci sono momenti in cui l’interesse nazionale deve prevalere su quello di parte e mi auguro sinceramente che questo momento sia uno di quelli, senza distinguo e senza tentennamenti.
Le deleghe di Fitto in Ue sono di primissimo ordine
Anche perché, e lo voglio dire anche in questo caso senza polemica – sgomberando però il campo da alcune valutazioni a mio avviso poco corrette e sicuramente ingenerose – quelle attribuite a Raffaele Fitto sono deleghe di primissimo ordine.
La delega sulla Coesione vale nel complesso circa 378 miliardi (di cui circa 43 per l’Italia), su un bilancio complessivo di 1200, solo per il ciclo 2021-2027. Senza contare il futuro ciclo di programmazione (al momento non quantificabile ma presumibilmente di portata simile) che sempre la prossima Commissione sarà chiamata a definire insieme con altri Stati membri. Per una Nazione come l’Italia, e specialmente per il Mezzogiorno, si tratta di un interesse nazionale primario.
A questa delega si aggiunge anche quella al PNRR, che vale ulteriori 600 miliardi di euro circa. E questo rappresenta una garanzia per tutti, perché grazie all’ottimo lavoro svolto in questi due anni dallo stesso Fitto, l’Italia è oggi la Nazione più avanti di tutte nella realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nonostante abbia anche il piano più corposo.
La delega del PNRR, secondo le indicazioni della Presidente, dovrà essere esercitata congiuntamente con il Commissario Dombrovskis, e qualcuno ha letto in questo affiancamento una sorta di “ipoteca rigorista”, mentre io credo che questa stretta collaborazione di carattere paritario rappresenti piuttosto l’opportunità per il commissario italiano di far valere le ragioni di una necessaria, maggiore flessibilità, sugli investimenti. Una posizione storicamente italiana che ha trovato soltanto un primo, parziale, accoglimento nella riforma del Patto di stabilità appena entrata in vigore.
Si tratta di un ruolo che diverrà ancora più importante dopo il giugno 2026, quando proprio le nuove regole della Governance richiederanno a ogni governo di pianificare investimenti ulteriori rispetto a quelli che si concluderanno con il Pnrr, sempre che l’Unione Europea non decida di derogare la scadenza del Next Generation EU, come già alcune nazioni stanno chiedendo.
Inoltre, come specificato nella lettera di incarico della Presidente Von der Leyen, rientreranno nell’area di competenza, o meglio dire di coordinamento, di Fitto, materie di importanza decisiva e di interesse strategico per l’Europa e per l’Italia: agricoltura, i trasporti, il turismo, la pesca e l’economia del mare.
Deleghe strategiche, per l’Italia e per l’Europa, affidate a Commissari che dovranno fare riferimento al Vicepresidente esecutivo e che saranno cruciali per ritrovare equilibrio in alcune scelte europee degli ultimi anni, che – come sappiamo – hanno finito col penalizzare fortemente alcuni di questi settori produttivi.
Onorevoli Senatori, le recenti elezioni europee hanno a mio avviso segnato un punto di non ritorno, e ci hanno dato un’indicazione chiara da seguire. L’Europa di domani non può essere più uguale a quella di ieri e di oggi. Deve cambiare, ripensare completamente le sue priorità, il suo approccio, la sua postura. Riscoprire, cioè, il suo ruolo nella storia, particolarmente in questo tempo storico così complesso.
La domanda che dobbiamo porci è: quale futuro intendiamo costruire per l’Europa? Chiaramente non mi riferisco solo all’Europa come Istituzione, ma all’Europa come comunità politica e come attore, autorevole e imprescindibile sulla scena globale.
L’Europa torni a occuparsi delle grandi materie
Siamo di fronte a una fase della geopolitica completamente nuova, sempre più animata da sfide interconnesse tra loro e che principalmente ci dice una cosa: non esistono più blocchi omogenei, e l’interdipendenza dei nostri destini è un fatto. Così come è un fatto che l’ordine al quale eravamo abituati non è più scontato, la centralità del nostro Continente non è più scontata.
Il rapporto Letta sul mercato interno e, ancor più, il rapporto Draghi sulla competitività europea, hanno fotografato con chiarezza i numeri e le ragioni della nostra perdita di ruolo negli ultimi decenni.
Entrambi i rapporti – e non sono stilati da due persone che il nostro spesso semplicistico dibattito definirebbe “europeiste” – ammettono in sostanza che il mondo nel quale troppo a lungo ci siamo crogiolati è finito, e che dunque non possiamo sfuggire all’occasione storica che questa nuova legislatura europea ci offre: scegliere finalmente, e con coraggio, che cosa vogliamo essere e dove vogliamo andare. Possiamo, cioè, scegliere di continuare ad essere ciò che siamo stati finora, ovvero un gigante burocratico che appesantisce cittadini e imprese con una selva di regole, molte delle quali senza senso e autolesioniste. Oppure possiamo invertire radicalmente questa tendenza, concentrandoci sulla visione e sugli strumenti necessari a realizzare quella visione.
È quello che i cittadini ci hanno chiesto con il loro voto, e fedeli come siamo alla sovranità popolare intendiamo dare seguito a questa indicazione.
Ecco lo spirito con il quale il Governo Italiano intende affrontare la legislatura europea che si è appena aperta.
Nel Consiglio europeo di giugno, il primo di questo nuovo corso, abbiamo adottato una nuova Agenda strategica 2024-2029, cioè la bussola che orienterà il percorso comune nei prossimi anni.
Nel documento approvato l’Italia ha chiesto e ottenuto che venissero riaffermati due principi – quello di sussidiarietà e quello di proporzionalità – che sono sanciti dai Trattati e che consideriamo centrali nell’Europa che abbiamo in mente.
Parlo di un’Europa che si occupi delle grandi materie di interesse comune, materie che richiedono di unire gli sforzi e di mettere a sistema il contributo di tutti, e che sappia attribuire la giusta importanza alle specificità nazionali nelle materie dove gli Stati nazionali sono in grado di fare meglio.
L’Agenda strategica indica chiaramente anche la necessità di dotarsi, quanto prima, delle risorse e degli strumenti comuni adeguati all’altezza delle ambizioni che ci poniamo. Lavoreremo perché questa indicazione non rimanga lettera morta, perché nessuno Stato Membro – anche il più solido dal punto di vista economico e fiscale – può sostenere da solo gli investimenti necessari per far fronte alle sfide che stiamo affrontando, dal rilancio della competitività del sistema produttivo e industriale europeo alla doppia transizione ambientale e digitale, dalla politica di difesa e sicurezza al governo dei flussi migratori.
Il Consiglio europeo tornerà ad occuparsi di come rafforzare la competitività europea, e l’Italia ha una posizione molto chiara su questa materia. Non intendo dilungarmi su questo, ma credo sia opportuno ribadire alcuni punti.
Green Deal disastroso: ecco le richieste del Governo
L’approccio ideologico che ha accompagnato la nascita e ha sostenuto finora lo sviluppo del Green Deal europeo ha creato effetti disastrosi. È una posizione che noi abbiamo sostenuto fin dall’inizio, spesso in splendida solitudine, e che oggi, finalmente, è diventata invece patrimonio comune. Perché non è vero che per difendere l’ambiente e la natura l’unica strada percorribile sia quella tracciata da una minoranza palesemente ideologizzata.
Anche i più convinti e integralisti sostenitori di questo approccio si sono resi conto che non ha alcun senso distruggere migliaia di posti di lavoro, smantellare interi segmenti industriali che producono ricchezza e occupazione e condannarsi a nuove dipendenze strategiche, per perseguire obiettivi impossibili da raggiungere. Come ho detto mille volte, inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è, semplicemente, un suicidio. Non c’è nulla di verde in un deserto, e nessuna transizione verde, alla quale guardiamo con favore, è possibile in una economia in ginocchio.
L’addio al motore endotermico entro il 2035, cioè in poco più di un decennio, è uno degli esempi più evidenti di questo approccio sbagliato. Si è scelta la conversione forzata ad una sola tecnologia, l’elettrico, di cui però noi non deteniamo le materie prime, non controlliamo le catene del valore, che ha una domanda relativamente bassa e prezzi proibitivi per gran parte dei nostri concittadini. Insomma, una follia per la quale le nostre economie stanno pagando pesanti conseguenze, in termini di ricchezza, occupazione, forza produttiva e, appunto, competitività.
Lo stiamo vedendo in Italia, ma anche in quelle economie considerate per antonomasia talmente solide da resistere ad ogni evoluzione.
Per queste ragioni non ci siamo affatto stupiti della richiesta portata avanti dalla principale associazione che riunisce i produttori del settore automobilistico di anticipare al 2025 la revisione degli obiettivi legati allo stop al motore endotermico. Non poteva essere una sorpresa per chi come noi fin dal primo giorno ha lavorato per rendere gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti compatibili con la sostenibilità economica delle nostre filiere.
Si deve avere il coraggio di riaprire la partita, e di perseguire, al contempo, la strada della neutralità tecnologica, sostenendo anche quelle tecnologie e quelle filiere – come i biocarburanti – nelle quali l’Italia e l’Europa possono giocare un ruolo da protagonisti.
Allo stesso modo, però, è necessario porsi il tema di come finanziare gli investimenti verso un automotive più pulito, di come sostenere l’innovazione, di come garantire una sempre maggiore autonomia strategica, costruendo catene del valore europee per non consegnarci a nuove, pericolose, dipendenze.
Proprio in questa direzione va il non-paper presentato dal Ministro Urso ai colleghi degli altri ventisei Stati membri che servirà come base di discussione per ampliare il consenso intorno alla nostra posizione, ispirata al buon senso e al pragmatismo, senza alcuno spazio per gli approcci ideologici.
Nuovi strumenti finanziari per gli investimenti
E ampliando lo sguardo ad altri settori produttivi, non posso che essere d’accordo con Mario Draghi quando scrive, nel suo rapporto, che gli ambiziosi obiettivi ambientali che ci siamo posti devono essere accompagnati da maggiori risorse pubbliche e private, da investimenti adeguati e da un piano coerente per raggiungerli, altrimenti la transizione energetica ed ambientale andrà a scapito della competitività e della crescita. Sono temi che, me ne darete atto, più volte ho toccato in precedenti occasioni e che ci devono spingere ad una riflessione approfondita quanto rapida.
Questo vuol dire aprire il dibattito soprattutto sugli strumenti finanziari necessari a sostenere questo percorso. Un dibattito nel quale dovremo essere pronti a verificare la possibilità di nuovi strumenti di debito comune, così come a lavorare per riuscire finalmente a mobilitare adeguatamente il capitale privato. Completare l’Unione dei mercati dei capitali consentirebbe, infatti, ai risparmi europei di diventare investimenti europei.
Sappiamo cosa dobbiamo fare, insomma, ma adesso serve farlo. Servono azioni politiche concrete che trasformino le nostre priorità in una ambiziosa strategia industriale europea, per garantire la crescita delle aziende, la protezione dell’industria, la semplificazione del quadro normativo.
Il rinnovato sostegno a Kiev
L’altro grande focus di discussione a Bruxelles sarà rappresentato, ovviamente, dalle crisi geopolitiche in atto.
Il Consiglio europeo ribadirà il proprio sostegno alla causa ucraina, perché l’obiettivo di tutti rimane sempre lo stesso: costruire le condizioni per una pace giusta e duratura e aiutare l’Ucraina a guardare al futuro, un futuro di prosperità e benessere.
Giovedì scorso ho ricevuto a Roma il Presidente Zelensky e in quell’occasione ho ribadito ancora una volta che difendere l’Ucraina è nell’interesse dell’Italia e dell’Europa, perché significa tutelare quel sistema internazionale di regole che tiene insieme la comunità internazionale e protegge ogni Nazione.
L’Italia ha firmato l’accordo di sicurezza e siamo arrivati al nono pacchetto di aiuti militari, concentrandoci ancora sui sistemi di difesa aerea per proteggere la popolazione e le infrastrutture civili. Questo al netto del sostegno che l’Italia continua a dare a 360° gradi. Non ultimo, il contributo per ripristinare la capacità di produzione di energia dopo la distruzione della diga di Nova Kakhovka.
Continueremo, inoltre, a lavorare, per attuare l’accordo per il prestito garantito dagli interessi generati dagli asset russi immobilizzati in Europa, importante risultato raggiunto dalla Presidenza italiana del G7.
E come ho detto molte volte in passato guardare al futuro dell’Ucraina significa anche immaginare la sua ricostruzione, che va sostenuta insieme alle Istituzioni finanziarie internazionali e al settore privato.
Il Governo italiano è già fermamente impegnato nella tutela del patrimonio culturale ucraino, a partire da Odessa, dove stiamo lavorando per la messa in sicurezza della Cattedrale della Trasfigurazione, gravemente danneggiata dai bombardamenti russi. Ospiteremo il 10 e 11 luglio del 2025 a Roma la Ukraine Recovery Conference, la Conferenza sulla ricostruzione, importante evento sul quale il Governo è già al lavoro e conta sul sostegno di tutte le forze politiche e di tutto il sistema Italia.
Non ci rassegniamo, come pure in molti suggeriscono, all’idea di abbandonare l’Ucraina, all’idea che di fronte alla violazione del diritto internazionale dovremmo chiudere un occhio, banalmente perché sappiamo che quando saltano le regole le crisi si moltiplicano, e tutti ne paghiamo le conseguenze. Così l’invasione dell’Ucraina sta avendo effetti destabilizzanti molto oltre i confini nella quale si consuma, contribuendo ad accendere nuovi focolai di crisi o a far detonare quelli mai spenti.
Ferma condanna all’attacco israeliano all’Unifil
Sono convinta che quanto accade in Medio Oriente sia figlio anche di questa destabilizzazione. Voglio condividere con voi la preoccupazione per l’escalation in corso in Libano, perché sono sinceramente preoccupata da come sta evolvendo lo scenario, nonostante gli sforzi innumerevoli, nostri e dei nostri alleati.
In questi giorni, per la prima volta in un anno di azioni militari israeliane, le postazioni del contingente militare italiano inquadrato nella missione UNIFIL delle Nazioni Unite sono state colpite dall’esercito israeliano.
Pur se non si sono registrate vittime o danni ingenti, io penso che non si possa considerare accettabile. Ed è esattamente la posizione che l’Italia ha assunto, con determinazione, a tutti i livelli. È la posizione che io stessa ho ribadito al primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Pretendiamo che venga garantita la sicurezza dei nostri soldati, sia di quelli impegnati nella missione UNIFIL dell’Onu sia di quelli impegnati nella missione bilaterale MIBIL, che insieme al resto della comunità internazionale hanno contribuito per anni alla stabilità lungo il confine Israelo-libanese. Riteniamo perciò che l’atteggiamento delle forze israeliane sia del tutto ingiustificato, oltre a rappresentare una palese violazione di quanto stabilito dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Per contro, non si può non tenere presente la violazione della stessa risoluzione compiuta negli anni da Hezbollah, che ha operato per militarizzare l’area di competenza di UNIFIL.
La posizione del Governo italiano è che si debba lavorare alla piena applicazione della Risoluzione 1701 rafforzando le capacità di UNIFIL e delle Forze Armate libanesi.
La condanna ad Hamas ed Hezbollah
Detto questo, pochi giorni fa abbiamo commemorato il primo anniversario della disumana aggressione perpetrata il 7 ottobre 2023 da Hamas contro il popolo israeliano. Non dimentichiamo il massacro di civili inermi, donne e bambini compresi, e il vilipendio dei loro corpi, mostrati al mondo senza alcuna pietà.
Così come il nostro pensiero è rivolto costantemente agli ostaggi, strappati alle loro famiglie e ai loro cari, che da un anno ormai sono prigionieri e attendono di tornare a casa.
Ricordare e condannare con forza ciò che è accaduto il 7 ottobre 2023, è il presupposto di ogni azione politica che dobbiamo condurre per riportare la pace in Medio Oriente, perché sempre più le pur legittime critiche a Israele si mescolano con un giustificazionismo verso organizzazioni come Hamas ed Hezbollah, e questo, piaccia o no, tradisce altro. Tradisce un antisemitismo montante che, credo, debba preoccuparci tutti. E le manifestazioni di piazza di questi giorni lo hanno, purtroppo, dimostrato senza timore di smentita.
Consentitemi, su questo, di rinnovare anche la solidarietà mia personale e di tutto il Governo alle forze dell’ordine insultate e aggredite da sedicenti “manifestanti” che usano ogni pretesto per sfogare la loro assurda violenza. È intollerabile che decine di agenti vengano feriti durante una manifestazione di piazza.
Ringrazio il Ministro Piantedosi, il Capo della Polizia e tutti gli uomini e le donne che ogni giorno lavorano per garantire la nostra sicurezza. E mi auguro e mi aspetto che tutti lo facciano, in quest’aula.
Difendiamo il diritto di Israele a vivere in pace e in sicurezza, ma ribadiamo la necessità che questo avvenga nel rispetto del diritto internazionale umanitario. Perché non siamo insensibili di fronte all’enorme tributo di vittime civili innocenti a Gaza, che non a caso sono state dall’inizio al centro del nostro lavoro.
Così come la situazione umanitaria a Gaza è sempre più preoccupante, e prosegue anche su questo fronte il nostro impegno. Nell’ambito dell’iniziativa “Food for Gaza”, sono stati consegnati all’interno della Striscia oltre 47 tonnellate di beni alimentari, e voglio ringraziare per questo il Ministro degli Esteri Antonio Tajani.
In Libano, subito dopo l’inizio dell’escalation militare, abbiamo approvato nuovi e immediati interventi umanitari pari a 17 milioni di euro che sosterranno anche le persone recentemente sfollate dalle loro abitazioni e le comunità che le ospitano.
Abbiamo deliberato contributi pari a 5 milioni di euro per le attività di UNRWA in Cisgiordania e a sostegno dei rifugiati palestinesi in Siria, Libano e Giordania. L’Italia rimane disponibile a sostenere progetti specifici dell’Agenzia, ma esclusivamente a seguito di un controllo scrupoloso volto a impedire qualsiasi forma di commistione con attività terroristiche.
Le conseguenze dell’attacco di Hamas hanno scatenato un’escalation su base regionale che rischia di avere esiti imprevedibili.
È nostro dovere continuare a fare ogni possibile sforzo per arrivare ad una de-escalation, riportando il dialogo a prevalere sull’uso della forza, benché sia un compito tutt’altro che semplice.
L’Italia ha condannato l’attacco iraniano a Israele e ha lanciato un appello alla responsabilità di tutti gli attori regionali, chiedendo di evitare ulteriori degenerazioni.
Lo abbiamo ribadito anche il giorno successivo all’attacco, insieme agli altri Leader del G7. È necessario rompere questo ciclo di violenza ed essere unanimi nell’invitare con decisione tutte le parti a impegnarsi in modo costruttivo per allentare la tensione.
L’Italia è quotidianamente impegnata per un cessate il fuoco immediato a Gaza, per il rilascio degli ostaggi israeliani, per la stabilizzazione del confine israelo-libanese, attraverso la piena applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Il sostegno alla diplomazia
Confermiamo il nostro sostegno a tutti gli sforzi di mediazione portati avanti, in particolare a quello degli Stati Uniti, e il nostro impegno per lavorare ad una soluzione politica duratura, basata sulla prospettiva dei due Stati, in cui Israele e Palestina co-esistano fianco a fianco in pace, con sicurezza per entrambi.
L’aumento della tensione e l’escalation militare hanno aggravato anche la crisi dei rifugiati in Siria, in Giordania e negli altri Paesi della regione. È fondamentale affrontare questa emergenza, che si aggrava sempre di più e che merita un impegno ancor più determinato dell’Europa.
Per questo, in occasione del recente vertice MED9, ho voluto promuovere un incontro a quattro con il Re di Giordania, il Presidente di Cipro e la Presidente della Commissione Europea per confrontarci su come rispondere di fronte a questa emergenza.
La posizione italiana è che occorra rivedere la Strategia dell’Unione Europea per la Siria e lavorare con tutti gli attori, per creare le condizioni affinché i rifugiati siriani possano fare ritorno in Patria in modo volontario, sicuro e sostenibile. Occorre investire nell’early recovery, in modo che i rifugiati che decidono di tornare trovino condizioni che permettano un loro reinserimento in Siria. In questo senso sosteniamo soprattutto l’impegno che sta portando avanti l’UNHCR, ma abbiamo anche deciso di rafforzare la nostra presenza diplomatica a Damasco.
Inaccettabile la situazione in Venezuela
Sempre in ambito internazionale, il Consiglio si occuperà, poi, della situazione venezuelana. Questione che ci sta particolarmente a cuore, anche per i moltissimi cittadini di origine italiana che si trovano in una terra che perfino il nome collega a Venezia e all’Italia.
Non riconosciamo la proclamata vittoria di Maduro a seguito di elezioni ben poco trasparenti e continuiamo a condannare l’inaccettabile repressione del regime, chiedendo la liberazione di tutti i prigionieri politici. Lo abbiamo ribadito più volte in tutti i comunicati G7 durante la nostra presidenza. Insieme all’Unione Europea, lavoriamo per una transizione democratica e pacifica nel Paese, affinché la volontà dei milioni di venezuelani che continuano a rischiare la propria vita per un futuro più democratico, prospero e sicuro, possa finalmente trovare realizzazione.
Il modello italiano contro l’immigrazione illegale
Al Consiglio europeo torneremo ad occuparci di un’altra sfida che vede in prima linea l’Italia e l’Europa nel complesso, ovvero il governo dei flussi migratori.
Nell’Agenda strategica che abbiamo approvato a giugno, l’Unione europea ha fissato delle priorità ben precise: la difesa dei confini esterni, il contrasto all’immigrazione irregolare di massa, l’impegno per affrontare le cause profonde della migrazione e il sostegno ai canali di migrazione legale.
Direttrici di azione alle quali questa nuova legislatura europea deve dare seguito. L’approccio dell’Europa in materia migratoria è oggi molto diverso da quello del passato, grazie soprattutto all’impulso italiano, ma è fondamentale lavorare per dare concretezza alle nuove priorità.
Sono orgogliosa che l’Italia sia diventata, da questo punto di vista, un modello da seguire. Ho accolto con grande soddisfazione l’attenzione che, in questi mesi e in queste settimane, diversi esponenti di governi europei ed extraeuropei, di diverso colore politico – Francia, Germania, Svezia, Regno Unito, solo per citarne alcuni – hanno riservato alle nostre politiche, a riprova del pragmatismo e dell’efficacia che hanno segnato la nostra azione in materia di contrasto all’immigrazione illegale.
Una efficacia che i numeri raccontano meglio delle parole. Nel 2024 la percentuale di sbarchi di immigrati illegali è diminuita del 60% rispetto al 2023 e del 30% rispetto al 2022. È merito delle politiche del governo, certo, ma anche del sostegno che l’Europa ha garantito a molte delle nostre proposte, come il memorandum con la Tunisia e con l’Egitto.
E colgo l’occasione per ringraziare anche il Ministro Salvini e soprattutto la Guardia Costiera italiana per il suo straordinario lavoro, e per esprimere a questi uomini e a queste donne la solidarietà del governo di fronte ai continui attacchi faziosi che subiscono da organizzazioni politicizzate che detestano chiunque lavori per contrastare l’immigrazione illegale di massa.
Considero vergognoso che l’organizzazione non governativa Sea Watch definisca le guardie costiere “i veri trafficanti di uomini”, volendo delegittimare tutte quelle degli Stati del nord Africa, e magari anche quella italiana, in modo da dare via libera agli scafisti che questa ONG descrive invece come innocenti, che si sarebbero ritrovati casualmente a guidare imbarcazioni piene di immigrati illegali. Sono dichiarazioni indegne, che gettano la maschera sul ruolo giocato da alcune ONG e sulle responsabilità di chi le finanzia.
Diminuiscono gli sbarchi e, cosa più importante, diminuiscono anche i morti e i dispersi in mare. Anche su questo punto la tendenza decrescente si sta consolidando, e questo ci rende particolarmente orgogliosi perché è la dimostrazione di quello che abbiamo sempre sostenuto, ovvero che l’unico modo per impedire altre tragedie in mare è fermare le partenze e combattere i trafficanti senza scrupoli.
Ci siamo occupati anche di promuovere i canali di ingresso regolare. Non solo abbiamo programmato, nel periodo 2023-2025, circa 450 mila ingressi regolari, ma stiamo lavorando per far funzionare bene il decreto flussi, evitando che nelle sue pieghe si annidi l’illegalità.
Ci siamo ritrovati, infatti, di fronte ad un meccanismo di frode e di aggiramento delle dinamiche di ingresso regolare, con la pesante interferenza del crimine organizzato.
Abbiamo presentato un esposto alla Procura nazionale Antimafia e abbiamo adottato, nei giorni scorsi, un decreto-legge che prevede misure specifiche per correggere le storture esistenti ed evitare che le norme possano essere eluse.
Intendiamo lavorare per consolidare quest’approccio, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo. Per questo, a partire dal Consiglio europeo di domani, su iniziativa dell’Italia si svolgerà un incontro informale tra gli Stati Membri più interessati al fenomeno migratorio.
Constatiamo intanto una nuova attenzione al tema dei rimpatri, anche volto ad un rafforzamento dell’attuale quadro giuridico europeo, sul quale abbiamo registrato con favore l’interesse del nuovo governo francese e le dichiarazioni della Presidente Von der Leyen a margine del vertice Med9 di Cipro.
Le soluzioni innovative: l’accordo tra Italia e Albania
Se da un lato siamo impegnati a rafforzare gli strumenti dell’Unione europea e degli Stati membri, dall’altro dobbiamo continuare a esplorare soluzioni innovative.
L’Italia ha dato il buon esempio con la sottoscrizione del Protocollo Italia-Albania, per processare in territorio albanese, ma sotto giurisdizione italiana ed europea, le richieste di asilo. Le due strutture previste dal Protocollo – il centro di Shengjin e il centro di Gjader – sono ora pronte e operative.
Ci siamo presi del tempo in più perché tutto fosse fatto nel migliore dei modi, ma siamo molto soddisfatti dei risultati di questo lavoro. E voglio anche qui ringraziare in particolare i Ministri Crosetto, Piantedosi e Nordio, il Sottosegretario Mantovano e la nostra Ambasciata in Albania, che hanno seguito passo passo l’attuazione del protocollo.
È una strada nuova, coraggiosa, inedita, ma che rispecchia perfettamente lo spirito europeo e che ha tutte le carte in regola per essere percorsa anche con altre Nazioni extra-Ue. E ringrazio anche il Primo Ministro Rama e tutto il suo Governo per aver creduto, con noi, nella bontà e nell’efficacia di questa iniziativa.
L’Italia è geograficamente collocata al centro del Mediterraneo e questo ci rende il naturale punto d’incontro tra l’Occidente e il Sud del mondo. È uno straordinario vantaggio, se è vero, come è vero, che la posizione geostrategica di una Nazione può essere importante quanto la sua forza economica e finanziaria. Soprattutto se si pensa alla nuova centralità che il Mediterraneo è tornato ad acquisire, come spazio di connessione tra l’Atlantico e l’Indo-pacifico, attraverso il Golfo Persico e il Canale di Suez.
Anche per questo reputiamo importante che, nella nuova Commissione europea, sia stato introdotto un portafoglio dedicato al Mediterraneo e guardiamo con grande attenzione al futuro “Patto per il Mediterraneo”, che mi auguro consentirà di sistematizzare il nuovo approccio paritario dell’Unione europea nei confronti del suo Vicinato meridionale
Seguendo lo stesso ragionamento, consideriamo importante anche che l’Unione europea abbia deciso di organizzare, per domani 16 ottobre, il primo Vertice Ue-Consiglio di Cooperazione del Golfo, un’opportunità per approfondire il nostro partenariato con le nazioni del Golfo, e trovare nuove occasioni di collaborazione in ambiti chiave, particolarmente nell’attuale contesto internazionale.
Se l’Italia sceglie di guardare al Sud, anche l’Europa sarà naturalmente spinta a farlo. E questo apre grandi opportunità, soprattutto dal punto di vista geopolitico.
Perché non è un segreto per nessuno che non siamo gli unici a guardare all’Africa e che ci sono altri attori – Russia e Cina in testa, ma non solo – che portano avanti le proprie strategie, spesso con un approccio molto più assertivo del nostro.
Rimango convinta che, nel rapporto con le Nazioni africane, noi rimaniamo potenzialmente più competitivi, perché la nostra sfida non è alimentare il caos per tentare di depredare l’Africa delle proprie risorse, ma consentire ai Paesi africani di utilizzare quelle risorse, per poter vivere di ciò che hanno, con Governi stabili e società prospere.
Il Piano Mattei per l’Africa piace
Come sapete abbiamo declinato questo approccio con il Piano Mattei per l’Africa, che ha già visto partire diversi progetti con le prime nove nazioni africane coinvolte, e raccoglie sempre maggiore attenzione e curiosità a livello internazionale. Anche qui abbiamo fatto da apripista. E dispiace, lo dico senza polemica, che mentre tutto il mondo guarda a noi proprio grazie alla nostra strategia sull’Africa, e mentre tutto il sistema Italia dimostra di aver compreso la portata di questa iniziativa, i partiti di opposizione abbiano invece scelto, anche su questo fronte, la strada di una opposizione pregiudiziale.
Abbiamo condiviso il Piano con il Parlamento proprio per coinvolgere tutte le forze politiche, in quella che per noi continua a essere una strategia necessaria per l’Italia, non un progetto utile al Governo Meloni. Ma voglio dire che sono sempre disponibile a confrontarmi con tutti su questo fronte, semmai una volta tanto l’interesse italiano si volesse anteporre a quello di partito.
Un Consiglio europeo cruciale
Signor Presidente, onorevoli Senatori, da più parti il Consiglio europeo di domani è stato definito come un Consiglio europeo di “transizione”, tra il vecchio e il nuovo ciclo istituzionale europeo.
È vero, ma proprio per questo sarà un Consiglio Europeo importante, perché porrà le basi della strategia da adottare nei prossimi anni. L’Italia, come sempre farà la sua parte, pronta a indicare la rotta su molti temi sui quali ha ampiamente dimostrato di poter dire la sua. Perché a questa Nazione non manca nulla. Non le manca la solidità, la visione, la creatività, l’affidabilità per poter essere un punto di riferimento. Le è mancata, a volte sì, la consapevolezza del suo ruolo, l’orgoglio per la sua tradizione, il coraggio per tracciare la rotta, invece di limitarsi a seguire le rotte tracciate da altri. Ma quella stagione, fortunatamente, ce l’abbiamo alle spalle.