L’inizio del 2020 sta dando ragione al Times, che aveva inserito Giorgia Meloni tra le personalità più influenti del mondo. La formazione più giovane di tutto il mondo politico italiano che conta, è da mesi in crescita costante, così come è in crescita costante il gradimento della sua leader. Un gradimento che va oltre i confini nazionali, grazie alla fitta rete di relazioni internazionali che il partito di Giorgia Meloni ha saputo tessere in questi mesi: non a caso l’ultima edizione di Atreju ha visto la partecipazione di numerosi esponenti e capi di stato europei, tra cui il premier ungherese Viktor Orban.

Già lo scorso anno Giorgia era volata negli USA per partecipare al CPAC, il prestigioso convegno dei conservatori americani, ma l’ultimo viaggio negli States di Giorgia la ha definitivamente consacrata a esponente politico di rango internazionale. Giorgia è stata l’unica italiana invitata al National Prayer Breakfast, storica convention del mondo cristiano tradizionalista che nell’edizione del 1994 ha visto la partecipazione di Madre Teresa di Calcutta.
Le reazioni a questo attivismo internazionale della leader di Fratelli d’Italia sono state di ogni tipo: c’è chi riconosce la statura politica di una donna capace e coerente come nessun altro, ma c’è chi non si capacita come gli USA possano prendere in considerazione una formazione che ha al centro del suo simbolo la fiamma tricolore che fu del Movimento Sociale Italiano, come poi c’è chi vede la politica estera di FdI come un atto di supino allineamento agli “yankee”.
Il problema dell’opinione pubblica italiana è la sua tragica propensione al ragionare da sottomessa. Sarà per la nostra plurisecolare storia contrassegnata da vari domíni stranieri, sarà per il nostro eterno carattere partigiano che porta sistematicamente a dividerci in fazioni, saranno forse tutti i nostri endemici difetti: nessuno sembra aver compreso lo spirito con cui Giorgia si pone di fronte a qualsiasi interlocutore internazionale, che è quello proprio di chi ha come unico obbiettivo quello di fare gli interessi della sua Nazione.
Quanti politici abbiamo visto scodinzolare di fronte al Presidente straniero di turno? Quanti ne abbiamo visti fare la questua nelle ambasciate per ottenere un appuntamento, un viaggio o anche una “benedizione” via twitter? Quanti ne abbiamo visti farsi usare per essere poi cestinati quando non più utili? Quanti ne abbiamo sentiti, anche di recente, fare dichiarazioni assurde e con la lingua felpata per ingraziarsi un capo straniero?
È bene quindi mettere in evidenza alcuni fatti, che possono far capire qual è l’approccio che un politico italiano dovrebbe avere nelle relazioni internazionali.
Mentre era a Washington, nello stesso giorno in cui parlava Trump al National Prayer Breakfast, Giorgia rispondeva così ad una domanda sulla NATO:
NATO: MELONI, ‘NON SEMPRE NOSTRI INTERESSI COINCIDONO CON QUELLI USA’
“Siamo parte della Nato ma non sempre gli interessi italiani e europei coincidono perfettamente con quelli Usa. Comprendo la forte alleanza che esiste tra Usa e Arabia Saudita ma so bene che per noi l’Arabia Saudita vuol dire realtà abbastanza vicine a quel fondamentalismo islamico che a casa nostra produce attentati e sangue”
Ha poi aggiunto sulla politica estera di Trump e sulla proposta di Gerusalemme capitale d’Israele:
“Alcuni passaggi della politica estera non mi sono piaciuti. Noi non saremo mai vicini all’Arabia Saudita e la dichiarazione unilaterale di riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele rischia di esasperare la tensione in una regione mediorentale con un equilibrio già precario. Ci deve essere una politica estera italiana, autonoma pur nel rispetto dell’Alleanza atlantica, come dovrebbe esserci una politica estera europea che invece langue.”
Non si è fatta problemi a dire quello che pensava anche quando gli USA hanno assassinato a Bagdad il Generale iraniano Qasem Soleimani, mettendo in evidenza come certe tensioni mettano a rischio l’interesse nazionale italiano.

Così come quando Salvini, mentre era in Israele insieme a Bibi Netanyahu (che lui considera un vero punto di riferimento), definì gli esponenti libanesi di Hezbollah “terroristi islamici”, dimenticando (o non sapendo) che gli Hezbollah insieme all’esercito arabo siriano hanno difeso i cristiani dai tagliagole dell’Isis. Ma soprattutto mettendo a rischio il contingente italiano che svolge da decenni una missione internazionale in Libano per conto dell’Onu. Anche in questo caso Giorgia Meloni prese le distanze da certe uscite sguaiate, dichiarando che “Se oggi in Siria si fa ancora il Presepe è anche grazie ad Hezbollah“.
Il segreto della politica estera di Giorgia è dunque svelato: costruire rapporti internazionali senza subordinazioni o soggezioni, rimanendo sempre liberi di dire ciò che si pensa anteponendo sempre e solo l’interesse nazionale. È una cosa che dovrebbe essere scontata, ed è così che ragionano tutte le altre nazioni del mondo. Ma in Italia siamo fin qui stati abituati ad avere personalità che si sono sempre poste supinamente di fronte agli altri capi di Stato, con il conseguente e incalcolabile danno alla nostra immagine. A nessuno piacciono i servi.
La verità è che ci vogliono le palle per fare dichiarazioni come quella di ieri a Washington nel giorno in cui parla Trump. E soprattutto avere la libertà di dire quello che si pensa: la credibilità e il rispetto internazionale passano da questi requisiti.
La statura internazionale di Giorgia Meloni non è solo una risorsa per Fratelli d’Italia, lo è per l’Italia intera. Abbiamo il disperato bisogno di una classe politica che abbia la schiena dritta, che sappia porsi col resto del mondo con diplomazia e allo stesso tempo con fermezza, avendo sempre come stella polare l’interesse nazionale.
In un tempo in cui la caratura della classe politica italiana è ai minimi storici, Giorgia Meloni rappresenta indiscutibilmente una speranza.
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