La visita di Giorgia Meloni in Medio Oriente non era affatto scontata. Avere buoni rapporti con un mondo sempre più emergente è fondamentale, anche per le questioni geopolitiche che stanno interessando l’area. Ma ciò che dell’incontro con il principe saudita Mohammed Bin Salman è passato un po’ in secondo piano, è la scelta della nostra premier di non indossare il velo, simbolo di sottomissione della donna nella cultura islamica. Una scelta che probabilmente non è mai stata in discussione nei pensieri della premier, anche per un motivo ben chiaro: mettere i capelli al vento in quei Paesi in cui non tutte sono libere di farlo, è un inequivocabile segnale di parità tra uomini e donne. Un segnale importantissimo specialmente in questo contesto internazionale, con quella tolleranza un po’ troppo buonista che manda in cortocircuito il progressismo dei nostri giorni: rispettare le altre culture potrà mai significare far venir meno nostre garanzie costituzionali? Perché se dovessimo ammettere in tutto e per tutto l’islamismo nella nostra società, permettendo ad esempio il burqa, ciò sarebbe uno schiaffo in faccia a quanti sottoscrissero, quasi 80 anni fa, il terzo articolo della Costituzione.
Non indossare il velo, oltre al grande significato per le donne (malgrado nessuna femminista si sia stracciata le vesti…), è anche un segnale di non-sottomissione della nostra cultura nei confronti di un’altra con la quale, se presa nella sua versione più integralista, non ammette una convivenza pacifica. E allora non coprirsi il capo assume un significato di difesa della nostra identità: pur nel rispetto delle volontà altrui, l’Occidente deve saper differenziare cos’è deferenza e cos’è invece sudditanza. Cosa che spesso non riesce alla tolleranza buonista. Non è forse l’integrazione, quella giusta, l’incorporazione di un membro all’interno di una società accogliente nel rispetto dei suoi principi cardine? È come far crescere un bambino: dire di sì a tutto ciò che vuole lo farà crescere viziato. Non ci siamo accorti (noi Occidente…) che dall’indossare il velo nei Paesi arabi a minimizzare le Taharrush gamea di Capodanno a Milano, è stato un attimo.
In passato sono state diverse le donne, rappresentanti delle Istituzioni italiane, che hanno indossato il velo fuori dall’Italia. Alcune volentieri, poche mal volentieri. Tra le prime, è iconica la foto di una Laura Boldrini sorridente, completamente integrata in una moschea a Roma (e non a La Mecca) con i capelli coperti da un velo. A volerlo, ci si poteva anche ribellare. Come ha fatto la Meloni in Arabia, ma anche come ha fatto Emma Bonino in visita in Iran. Nella terra degli ayatollah, a differenza di Riyad, il velo per le donne è obbligatorio: chiaro, lo dice il Corano… L’allora ministro degli Esteri aveva intenzione di non indossarlo, ma per evitare una crisi diplomatica dovette ingioiare il rospo. Ma emblematico di ciò che non dovrebbe succedere mai è quello che accadde nel 2016, quando i nudi dei Musei Capitolini furono coperti per non urtare la sensibilità del presidente iraniano Rohani in visita a Roma. Fu l’esempio di dove può portare quell’estrema tolleranza di certa sinistra: l’annichilimento, il rinnegamento della nostra cultura per rispettarne un’altra. Sinonimi di sottomissione.
Meloni in Arabia, a differenza della Bonino in Iran, ha potuto scegliere. E ha scelto bene. Un segnale per le donne e per la nostra cultura. Con fierezza. Ricordando quegli slogan pronunciati anni fa e che diventarono un tormentone. Da molti non furono capiti, molti fecero finta di non capire. “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana. Non me lo toglierete”.