“Giù la maschera”: il coraggio di andare controcorrente – Intervista a Marcello Foa

In un panorama mediatico sempre più caratterizzato da narrazioni omologate e una tendenza a rincorrere l’ultima notizia, il programma “Giù la maschera”, condotto da Marcello Foa su Rai Radio 1, rappresenta una boccata d’aria fresca per chi cerca riflessioni profonde e una pluralità di opinioni. Il format si distingue per il suo approccio controcorrente, affrontando un tema per episodio con un’analisi che incoraggia l’ascoltatore a formarsi un’opinione autonoma. Attraverso un tono pacato e un confronto di idee non conflittuale, “Giù la maschera” si posiziona come un esempio di giornalismo indipendente, capace di sfidare le pressioni esterne e mantenere un equilibrio difficile da attaccare. In questa intervista esclusiva, Marcello Foa condivide le sfide, le scelte editoriali e l’importanza di restare fedeli alla propria missione in un’epoca di profonde trasformazioni mediatiche.

Nel panorama attuale dei media, in cui molte testate tendono a seguire una linea omologata, quale pensi sia l’importanza di un programma che si propone di andare “contro corrente”? Quali sfide comporta questo approccio e come gestite eventuali pressioni esterne? 

La nostra è stata una scelta controcorrente per il format, per il tono di voce, per i contenuti. Noi affrontiamo un solo tema a puntata dandogli un taglio originale, mettiamo a confronto opinioni molto diverse ma mai in contrapposizione diretta bensì proponendole in sequenza, permettendo all’ascoltatore di maturare la propria opinione. Contrariamente alla maggior parte dei media non cerchiamo la polemica bensì la comprensione; dunque non aggrediamo mai i nostri ospiti. E non rincorriamo l’ultima notizia perché lo fanno tutti, bensì cerchiamo gli argomenti che intuiamo essere di interesse ma inesplorati dagli altri media. Il successo di pubblico è stato notevole e ci fa molto piacere. Quanto alle pressioni, sono state fortissime all’inizio: hanno cercato di farci deragliare ma poi… si sono arresi. Il nostro programma è sempre equilibrato, si sforza di essere oggettivo, dunque è difficilmente attaccabile. 

La perdita di credibilità dei media mainstream è ormai sotto gli occhi di tutti. Secondo te, quali errori hanno portato a questa sfiducia diffusa e credi che possano ancora recuperare il ruolo di mediatori imparziali?

Non ne sono sorpreso, è da vent’anni che segnalo questa tendenza, che si spiega così: nel mondo occidentale i media sono diventati attori politici, hanno perso onestà intellettuale, tendono ad assecondare la narrazione dell’establishment, perdendo il contatto con la società civile, e non tollerano più opinioni veramente divergenti. Il risultato è quello palesato da Jeff Bezos l’altro giorno sul suo giornale la Washington Post, quando ha riconosciuto, con rara schiettezza, che il grande pubblico non crede più ai media mainstream.

La censura è un tema delicato e controverso, soprattutto nell’era dei social media e delle piattaforme digitali. Qual è la tua opinione sulla censura che avviene nei media tradizionali e online, e in che modo “Giù la maschera” cerca di contrastarla?

Esistono due tipi di censure, una implicita. I media mainstream non tollerano opinioni divergenti su temi come Ucraina, Covid e Israele, dunque attaccano chi osa uscire dal politicamente corretto. La seconda, è molto più pericolosa, perché nascosta e viene operata massicciamente dai colossi del web, come ha ammesso lo stesso Zuckerberg. E questo è molto preoccupante perché in palese violazione con le nostre Costituzioni. “Giù la maschera” contrasta queste tendenze parlando regolarmente della censura dei media e dando voce a temi e opinioni che altrove non trovano spazio. È un nostro dovere, di cittadini oltre che di giornalisti.

Con un solo tema a puntata e una narrazione approfondita, “Giù la maschera” sembra rispondere al bisogno di informazioni che vadano oltre la superficie. Come riesci a bilanciare l’approfondimento con il ritmo necessario per mantenere l’attenzione dell’ascoltatore?

Mi sono reso conto che l’eccesso di informazione frenetica finisce per allontanare l’ascoltatore e ho intuito che è cambiata la sensibilità nel Paese: c’è una fascia di pubblico che vuole capire, che è grata a chi apre finestre di riflessione, che non sopporta più chi urla. E noi vogliamo parlare a questo pubblico, sforzandoci di essere comunque vivaci e di non annoiare mai chi ci ascolta. Evidentemente… si può fare!

Viviamo in un’epoca in cui il confine tra informazione e opinione è spesso sfumato. Quali sono le linee guida che adotti per assicurare che “Giù la maschera” mantenga una netta distinzione tra fatti e interpretazioni personali?

Dichiarando le nostre intenzioni: alcuni ospiti li chiamiamo proprio perché hanno posizioni definite su un argomento ma chiamiamo sempre al contempo qualcuno che è di un’opinione completamente diversa. In altri casi vogliamo accendere un faro su un argomento su cui si parla poco e dunque prevale la narrazione fattuale. Mi affiancano Peter Gomez, Alessandra Ghisleri e Giorgio Gandola che hanno sensibilità e opinioni diverse e questo assicura un pluralismo anche nella conduzione. Ho l’impressione che il pubblico percepisca la nostra trasparenza.

Guardando al futuro, come immagini l’evoluzione dei media in un contesto in cui la fiducia e la trasparenza sono sempre più importanti? 

I media saranno costretti ad adattarsi in continuazione ai nuovi strumenti digitali, che stabbi rendendo obsoleta persino la tv generalista. Credo che in futuro resisteranno quelli che sapranno essere editorialmente flessibili e quelli che eserciteranno appieno la propria funzione di cane da guardia, grazie alla propria professionalità, sempre che dispongano le risorse economiche adeguate. I media mainstream rischiano, se continueranno di questo passo, di predicare sempre più nel deserto. È un’epoca tanto interessante quanto travagliata.

Come definiresti il confine tra il diritto di informare e la sistematicità con cui i media tradizionali diffondono notizie non vere o parzialmente false per sostenere la narrazione dominante?

Quando si parla di fake news si è cercato di far passare il concetto per cui a diffondere notizie false sono troll e utenti sui social media o sui siti alternativi; dunque che solo l’informazione mainstream è affidabile. In realtà, come ho dimostrato da tempo nel mio “Gli stregoni della notizia”, anche i grandi media sono manipolabili e l’elenco delle notizie false, alcune colossali, da loro veicolate nel tempo è piuttosto lungo. Il problema è che nell’era digitale è difficile distinguere le notizie vere da quelle false e non saranno di certo fact-checkers a farlo, poiché molto spesso sono parte del problema. Da qui l’importanza di una stampa veramente indipendente e intellettualmente onesta, l’unica in grado di riconquistare la fiducia del pubblico.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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