Oggi nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte d’appello di Roma “il gesto degli esponenti della magistratura associata di lasciare l’aula al momento dell’intervento del rappresentante del governo è impegnativo, ed è carico di significato” ma “ritenere addirittura la propria presenza fisica incompatibile con quella del rappresentante del governo, più che un problema di riguardo istituzionale pone un problema di prospettiva: e proprio in prospettiva mi permetto di chiedere alla magistratura italiana di non rifiutare l’invito al confronto, che ribadisco in questa sede a nome dell’intero governo. Senza pregiudizi, come veniva ricordato prima citando Papa Francesco”.
Non ha usato le mezze parole il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Alfredo Mantovano, intervenendo all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Roma. La forma di protesta “non è originale, è stata sperimentata una ventina di anni fa in occasione di altre leggi, quella volta ordinarie, di riforma della giustizia – ha aggiunto Mantovano -. In più, quest’anno ci sono i cartelli. Benché ripetuta, però, non può lasciare indifferenti. Evito qualsiasi commento polemico, che sarebbe facile, ma non servirebbe a granché. Provo invece a comprenderne il senso, soprattutto per rispondere alla domanda: domani, esaurita questa forma di protesta, che cosa succede?. E’ un gesto certamente coerente con la posizione assunta dall’Associazione nazionale magistrati prima che il testo della riforma fosse approvato dal Consiglio dei ministri e fosse presentato in Parlamento. Dico prima del Cdm, perché il Ministro della giustizia Carlo Nordio ne aveva illustrato i contenuti ai rappresentanti della magistratura, e aveva avuto una risposta di rifiuto totale, perché la proposta era – come è ancora adesso – ritenuta irriformabile”.
“Il gesto degli esponenti della magistratura associata di lasciare l’aula al momento dell’intervento del rappresentante del governo è impegnativo, ed è carico di significato. Non è originale: è stata una forma di protesta sperimentata una ventina di anni fa in occasione di altre leggi, quella volta ordinarie, di riforma della giustizia. In più, quest’anno ci sono i cartelli. Benché ripetuta, però non può lasciare indifferenti”. Così ha poi proseguito nel suo intervento il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. “Di fronte a un Governo sorretto da partiti che propone al Parlamento una legge di riforma è legittimo non condividere nulla – aggiunge -. Ma perché rifiutare anche solo di parlarne? Perché uscire dai canoni della dialettica per entrare in quelli dell’alternativa ‘o tu o io’? È qualcosa che non fa bene a nessuno”.
“Una chiusura così drastica non fa bene neanche a chi la oppone. Abbandonare il tavolo del dialogo non è una manifestazione di forza, se mai di debolezza: se gli argomenti più radicali, quelli della completa inaccettabilità della riforma, fossero così ben fondati, perché non riferirli non sui cartelli, per slogan, dall’esterno, ma de visu, guardandosi negli occhi, articolandoli uno per uno e replicando alle eventuali risposte?”.
“Vale per la riforma costituzionale come per le materie prima evocate, come l’immigrazione o il contrasto alla violenza sulle donne. Con altra fondamentale componente del mondo della giustizia – quella degli avvocati – il dialogo è costante e, dal mio punto di vista, proficuo. Non sempre gli avvocati condividono le nostre scelte; ma ci parliamo, e insieme finora qualche obiettivo di comune interesse lo abbiamo raggiunto, per esempio sull’equo compenso o sulle norme in discussione a proposito di intelligenza artificiale: cito solo degli esempi, perché i tavoli di confronto sono tanti. Dunque, non prendo, signor Presidente, e – se non vi offendete – cari colleghi, la sedia vuota come mancanza di rispetto istituzionale. La prendo come una opportunità che si perde. La si perde sul piano delle relazioni interpersonali, sulle quali si fonda ogni interlocuzione. La si perde, ancora di più, sul piano delle relazioni fra istituzioni. Perché – lo dico nel modo più diretto e sincero – non abbiamo nessuna intenzione di fare una riforma contro i magistrati: vogliamo fare una riforma per i cittadini. Immaginavamo di raggiungere quest’obiettivo col contributo anche critico, anche fortemente critico, ma reale, dei magistrati. Abbiamo rivolto innumerevoli inviti in tal senso. Non poterne disporre è qualcosa che ci fa andare avanti comunque, ma ci rammarica. E per questo confido in un ripensamento: nell’interesse di quel popolo italiano nel cui nome ogni giorno voi rendete giustizia”.