Iniziative in varie sedi, soprattutto scuole e università. Creazione di un comitato referendario. Quando si dice che certi magistrati sono dei politici mancati, a questo punto, non si esagera. L’Associazione nazionale magistrati sta organizzando la sua risposta all’esecutivo, che è sempre più convinto a procedere verso la riforma della giustizia. Una riforma che, hanno spiegato più volte i componenti del suo governo, in primis Giorgia Meloni, che non è punitiva nei confronti il potere giudiziario, né vorrebbe imporre un controllo politico sull’amministrazione della giustizia. Tutt’altro: si tratta di una riforma che vorrebbe eliminare l’ingerenza della politica sulla magistratura, o meglio quella divisione in correnti che penalizza chi, invece, sceglie di fare il giudice da indipendente e con il solo scopo di applicare la legge.
Questo a certi giudici non sembra piacere. Tentò di farlo Silvio Berlusconi all’epoca. Ci sta riuscendo Giorgia Meloni adesso. Il vero problema, forse, è che certe toghe ancora non hanno accettato che è il potere legislativo a regolare l’indirizzo della giustizia, in quei contrappesi tra poteri che sono alla base delle moderne democrazie (secondo una teoria formulata secoli e secoli fa). Come detto, l’Anm si sta organizzando e nel suo ultimo ordine del giorno l’intenzione è quella di avviare una serie di iniziative in tutta Italia “per parlare con la cittadinanza della riforma della separazione delle carriere”: “Il nostro principale obiettivo è imbastire tutta una serie di manifestazione, di incontro e di comunicazione per portare il nostro messaggio ovunque” ha detto il neoeletto presidente dell’Anm, Cesare Parodi.
Il governo si apre comunque al dialogo
Il compito del giudice è “applicare le leggi”, ricorda qualcuno, e non quello di discutere delle leggi proposte dal governo e che sono in procinto di approvazione in Parlamento. Né tantomeno quello di influenzare l’opinione pubblica in vista di un possibile referendum: trattandosi di una modifica costituzionale, la riforma dovrà essere approvata doppiamente da ogni Camera del Parlamento e nella seconda votazione sarà necessaria una maggioranza qualificata dei 2/3 dei parlamentari; se ciò non accadrà (com’è probabile), allora si passerà al referendum, dove sarà necessaria la maggioranza assoluta, quella del 50% più 1. E dati i sondaggi che riportano il favore del popolo alla riforma e, soprattutto, un certo malcontento diffuso nei confronti della magistratura, si può dire che il disegno ha tutte le carte in regola per arrivare alla sua approvazione anche senza il consenso dei giudici. Malgrado ciò, il governo si è aperto più volte al dialogo con i magistrati, ponendo comunque dei paletti fondamentali e insostituibili: la separazione delle carriere e il sorteggio per l’ingresso nel Csm. “Sono disposta a confrontarmi – ha detto Giorgia Meloni nei giorni scorsi –. Sono aperta, sono disponibile, e penso che possa essere utile a riportare il confronto nell’alveo nel quale deve stare, al di là delle posizioni che possono certamente essere differenti”.
Forse questa l’irritazione maggiore per le toghe rosse, che non ne vogliono sapere di cedere. E ora sono pronti a sfoggiare una campagna referendaria e propagandistica contro la riforma e le decisioni del governo, proprio come fa qualsiasi partito politico. Con il solo problema, però, che questo non è per nulla il compito che la Costituzione ha riconosciuto al giudice, chiamato soltanto all’applicazione delle leggi e sottoposto alle decisioni del Parlamento, in rappresentanza del popolo italiano. C’è dunque la volontà di andare avanti: l’intento, per Meloni, è quindi “liberare la magistratura da tutti i possibili condizionamenti politici che mi pare una cosa buona per la stragrande maggioranza, per la quasi totalità dei magistrati che vogliono semplicemente fare bene il loro lavoro e non dover per questo sottostare alle logiche correntizie”.