Il paventato attacco dell’Iran in territorio israeliano si è alla fine materializzato, nella notte fra sabato e domenica scorsi. Dal punto di vista prettamente militare, non si è trattato di un successo perché Iron Dome, il sistema di difesa antiaerea dello Stato di Israele, coadiuvato inoltre dai caccia americani, inglesi e francesi, durante la notte dell’assalto iraniano, è riuscito ad intercettare e abbattere il 99 per cento dei droni e missili lanciati dalla Repubblica islamica, riducendo al minimo i danni nello Stato ebraico. A livello materiale, nulla di significativo è stato inferto, e sul piano umano bisogna registrare il grave ferimento di una bambina di 7 anni, colpita dai frammenti di un drone. Anche una sola uccisione o una contusione potenzialmente fatale, a maggior ragione a scapito di una bimba di 7 anni, non possono lasciare indifferenti, ma se Iron Dome non fosse quello che è, ossia, un impianto difensivo di mirabile efficienza, gli ordigni volanti degli ayatollah, circa 300 quelli fatti penetrare nei cieli israeliani, avrebbero ucciso molte persone. Ma se ragioniamo di politica e geopolitica, dobbiamo considerare molto grave e pericolosa l’offesa militare dell’Iran verso Israele. La situazione della guerra in Medio Oriente è drammatica, ma chiara, anche se non mancano i “cacadubbi” in malafede. Tutto è iniziato l’anno scorso, il 7 ottobre, dalle sanguinarie incursioni di Hamas all’interno dei confini di Israele, che hanno costretto il governo di Benjamin Netanyahu a reagire.
Ora, la teocrazia di Teheran, che da sempre costituisce una seria minaccia per Gerusalemme, perché foraggia da più di quarant’anni tutti i terrorismi possibili anti-israeliani e anti-occidentali, (Hamas, Hezbollah ed altri), decide il salto di qualità, aggredendo direttamente Israele e non più solo per interposta persona. Le barbe fondamentaliste sciite dell’Iran dicono di avere voluto soltanto vendicare la morte del Generale Pasdaran Mohammad Reza Zahedi, ucciso in un raid a Damasco, e spiegano come la questione sia adesso chiusa per loro. Vorrebbero cavarsela così, ma l’alto ufficiale iraniano, è bene ricordarlo, non si trovava in Siria per una passeggiata turistica, bensì, coordinava dal martoriato Paese di Bashar al-Assad operazioni contro Israele, il quale, oltre a Gaza, si è dovuto difendere più volte negli ultimi mesi da attacchi provenienti dai libanesi di Hezbollah e anche, appunto, da aree siriane. Dovrebbe essere palese, ormai, l’identikit di chi ha finora aggredito e di chi, invece, si è dovuto sempre proteggere, così come non possiamo che essere tutti d’accordo, al netto di alcuni faziosi, sul nome del responsabile di un potenziale allargamento del conflitto mediorientale a livello quantomeno regionale. Costui alberga a Teheran e colui che si trova di nuovo obbligato a rispondere, si muove fra Tel Aviv e Gerusalemme. Nel concreto, l’Occidente, insieme all’Arabia Saudita e alla Giordania, non ha infatti esitato a stare vicino ad Israele durante la notte dell’assalto iraniano.
Si può discutere, e si discute non poco, sull’andamento della guerra nella Striscia di Gaza, e ci possono essere opinioni diverse in merito alla risposta che deve dare ora Israele all’Iran. Per esempio, il presidente USA Joe Biden invita Netanyahu a soprassedere per il momento, anche perché vi è già la soddisfazione di una tentata aggressione respinta con ampio successo, tuttavia, se escalation sarà, ma speriamo fino all’ultimo di no, a partire da adesso non ci sono dubbi, a Washington come in Europa, sulle generalità del colpevole.