“Hanno ucciso l’uomo ragno”, ma non i sogni di intere generazioni

Ogni tanto, sulle piattaforme televisive che propongono film e serie TV nella maggior parte dei casi dominate dal politicamente corretto, si trova qualcosa che davvero vale la pena vedere. Qualcosa di italiano, fatto bene tecnicamente ed in grado, soprattutto, di parlare a molti di quelli che lo guardano di emozioni e situazioni profondamente vissute.

E’ il caso di “Hanno ucciso l’uomo ragno”, la serie Sky dedicata alla nascita degli 883, il duo che, negli anni Novanta, dalla provinciale Pavia è partito alla conquista del mondo della musica. Il titolo è quello del loro brano più celebre, che nell’estate del 92 ha scalato le classifiche.

Nelle varie puntate però, oltre alla storia di due giovani pienamente immersi nella loro epoca e pronti a fare di tutto per realizzare i loro sogni, c’è molto di più. C’è la storia di un’amicizia, quella tra Max Pezzali e Mauro Repetto, nata tra i banchi di scuola e divenuta sempre più forte nelle giornate trascorse a scrivere testi e musica dei loro pezzi. Un’amicizia che va oltre l’idea di un cantante che emerge rispetto a chi gli balla intorno, restituendo al “biondo capellone” il ruolo che merita nella costruzione del successo della band. E poi ci sono amori giovanili (come quelli che tutti abbiamo vissuto), avventure… E abitudini, parole, modi di dire e di fare che un’intera generazione ha vissuto e riconosce come propri.

In molti, sui social, hanno commentato la serie con frasi come “la cosa pazzesca degli 883 è che le loro canzoni non invecchiano mai, cambiano i costumi ma le emozioni che hanno descritto sono eterne”. O: “non c’è una loro canzone che non rispecchi uno stato d’animo che hai vissuto almeno una volta nella vita…. alcune sembrano scritte da te in un momento particolare e se tu non avevi parole per descrivere ciò che stavi provando, ecco che loro le avevano messe già in musica per te”. E ancora: “i brani raccontavano di un’epoca dove si viveva in un mondo semplice pulito con veri sentimenti fatto emozioni”. 

Ecco, la bellezza – e il meritato successo – di “Hanno ucciso l’uomo ragno” stanno proprio qui: nell’aver restituito, a chi guarda, qualcosa di sé e del suo passato, da ricordare forse con un po’ di nostalgia ma sempre e comunque con un sorriso. Perché la realtà, quella di oggi in particolare, può sicuramente aver ucciso i supereroi, ma non i sogni di intere generazioni. Che sono, se ci si impegna a costruirli, ancora e sempre possibili.

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Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi, due volte laureata presso l'università La Sapienza di Roma (in giurisprudenza e in scienze politiche), è giornalista pubblicista e scrittrice. Collabora con diverse testate e case editrici.

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