Homeland. La questione islamica e la libertà religiosa, in Italia e nel mondo.

Ad Atreju 2021 tra i dibattiti di spicco, si è celebrato il convegno dal titolo “Homeland. La questione islamica e la libertà religiosa, in Italia e nel mondo”. Una tematica calda, che dopo la rovinosa ritirata di Biden dall’Afghanistan, si ripropone in tutta la sua drammaticità.

L’Afghanistan è destinato a ridivenire la culla del terrorismo islamico? L’Europa, il mondo occidentale, cosa devono temere dall’ascesa dei talebani al potere? L’instabilità del medioriente come influisce sulla diffusione dell’integralismo islamico in Europa? Di tutto questo hanno parlato interlocutori privilegiati, introdotti dal Senatore Fazzolari, si sono avvicendati sul palco ospiti di assoluto rilievo: Dror Eydar, ambasciatore d’Israele in Italia, Abdallah Redouane, segretario generale della Grande Moschea di Roma, Ali MAisam Nazry, capo delle relazioni estere del Fronte di Resistenza Nazionale dell’Afghanistan, braccio destro di Massoud, L’ambasciatore Stefano Pontecorvo, Alto rappresentante civile NATO in Afghanistan, che ha gestito l’evacuazione dall’aeroporto di Kabul, il giornalista Fausto Biloslavo, inviato di guerra e primo ad entrare a Kabul dopo la presa del potere dei talebani, Irene Tinagli, vice presidente del PD e Adolfo Urso, presidente del Copasir. Il dibattito estremamente profondo e di altissimo profilo, di cui si riportano di seguito gli atti integrali, è stato moderato dal Dott. Massimo Giletti.


Homeland. La questione islamica e la libertà religiosa, in Italia e nel mondo.

Ospiti

  • Abdellah Redouane
  • Dror Eydar
  • Stefano Pontecorvo
  • Irene Tinagli
  • Fausto Biloslavo
  • Ali Maisam Nazary
  • Modera Massimo Giletti
  • Introduce Sen. Giovanbattista Fazzolari

Abdellah Redouane

Segretario del Centro Islamico Culturale di Roma, unica istituzione musulmana in Italia riconosciuta dallo Stato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 712/1994.

Di nazionalità Marocchina, studi universitari in Francia, tornato a Rabat ha prestato servizio per 15 anni presso il ministero per gli Affari religiosi e vi resta 15 anni. Si trasferisce in Italia all’età di 43 anni, nel 1998, per ricoprire il ruolo di segretario generale del Centro Islamico, indicato dal consiglio d’Amministrazione della Grande Moschea.

E’ considerato un pontiere, un mediatore, ha avuto molteplici colloqui con papa Ratzinger e conserva in casa lo Yad (l’asticella con una mano all’estremità che serve per leggere la Torah) donatagli dal rabbino di Roma. Nel giugno del 2020 si scontra in maniera molto muscolare con l’UCOII,  accusandola di disseminare menzogne e di essere legata ai Fratelli Musulmani, con uno scritto dal titolo eloquente: Manifesto della Verità a confutare le calunnie in circolazione e sconfiggere la falsità con la verità. In quell’occasione Redounae ha avuto modo di ribadire che la Grande Moschea, Centro Culturale, veniva riconosciuta nel 1994, ben 16 anni prima della nascita dell’UCOII.

(La Grande Moschea di Roma: Il CdA del Centro Culturale Islamico, meglio noto come grande Moschea di Roma, è oggi composto da 10 membri per un mandato di due anni come previsto dallo Statuto. Naim Nasrallah è stato eletto presidente ed è succeduto a Khalid Chaouki – ex deputato PD – che aveva assunto quel ruolo nel 2017, in seguito anche allo sforzo di “italianizzare” il Centro. Nel nuovo CdA attualmente in carica anche: Adel Amer primo vice presidente, MouIra al Amin secondo vice presidente, Ejaz Ahmed tesoriere, Abdellah Redouane Segretario generale, Mohamed Saady, Massimo Cozzolino, Moulay El Akkioui, Giancarlo Pasqualoni e Giulio Soravia in qualità di consigliere.

Per 13 anni la gestione della Grande Moschea è stata divisa tra le ambasciate di Arabia Saudita, Marocco e Egitto. Poi nel 2008 è nata l’assemblea dei soci, che ora conta 60 membri. Lì sono cominciati i contrasti tra Marocco e Arabia Saudita, che finanziavano la moschea, e che sono andati avanti fino al 2017, anno in cui Chaouki sembrava poter essere l’uomo di sintesi tra le posizioni, ai fini della creazione di un islam italiano sul modello della scuola malikita, già seguita in Marocco. Da allora la componente Arabo Saudita ha perso potere, di fatto passato nelle mani della componente marocchina, garante del sostegno finanziario. Anche gli esponenti del Qatar sono rimasti fuori dal consiglio di amministrazione, con rammarico dell’emirato del Golfo Persico, che ha investito circa 25 milioni di euro in luoghi di culto poi considerati estremisti).

Dror Eydar

Il Dott. Eydar è stato nominato ambasciatore in Italia e ha assunto l’incarico nel settembre 2019, vicino all’allora premier Benjamin Nethanyahu in più occasioni da editorialista ne ha abbracciato le posizioni.

Ha anche prestato servizio come medico di combattimento nella brigata Golani dell’IDF.

E’ stato cofondatore del Circolo della Seconda Rivoluzione Sionista, gruppo di intellettuali israeliani di area conservatrice, e membro del Liaison Committee, un’iniziativa informale ebraico-cristiana. Oltre alle sue attività giornalistiche e accademiche, Eydar è anche musicista e compositore.

Stefano Pontecorvo

È Alto rappresentante civile NATO in Afghanistan, scelto nel 2020 dal segretario generale NATO Jens Stoltenberg, dopo la fine del suo incarico di ambasciatore in Pakistan. In tale veste, l’Ambasciatore Pontecorvo ha seguito direttamente le vicende in Afghanistan per l’ampio contingente militare che l’Italia ha avuto nel Paese e per il ruolo italiano di Nazione Quadro nella regione di Herat. Durante l’ultima crisi in Afghanistan, ha coordinato l’evacuazione di 124.000 persone prima di lasciare lui stesso il Paese. Ha avuto il compito di garantire la sicurezza dell’Aeroporto Hamid Karzai ad agosto 2021 e dunque di impedire il più a lungo possibile che l’aeroporto della capitale Kabul cadesse nelle mani dei talebani. Una rivista straniera ha definito Pontecorvo come “gli occhi e le orecchie del mondo dall’aeroporto di Kabul

Irene Tinagli

Laureata all’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, vanta studi universitari e specializzazioni post laurea negli Stati Uniti.

Nel 2004  è consulente del Dipartimento per gli affari economici e sociali dell’ONU sui temi delle Società del sapere, contribuendo alla stesura del libro Understanding Knowledge Societies pubblicato nel 2005 dalle Nazioni Unite. Negli stessi anni collabora come consulente per la Commissione europea e diversi enti e governi regionali sia in Italia che all’estero

Nel 2009, all’Università Carlos III di Madrid presso il dipartimento di Economia delle Imprese, insegna Management e Organizzazione.

Nel 2008 ha partecipato al processo di costituzione del Partito Democratico, facendo parte dell’Assemblea Costituente e del Comitato che ne ha redatto lo Statuto

Nel settembre 2019 viene eletta Presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo, sostituendo Roberto Gualtieri, dimessosi dopo la nomina a ministro dell’Economia e delle Finanze del governo Conte II.

Il 17 marzo 2021 viene nominata dal neo-segretario del PD Enrico Letta, suo vicesegretario del Partito Democratico con le funzioni di vicaria.

Fausto Biloslavo

Nel 1982 segue la Guerra del Libano come fotografo freelance. Un anno dopo, insieme ai colleghi Almerigo Grilz e Gian Micalessin, fonda l’Albatross Press Agency, agenzia di stampa che collaborò con Panorama e il TG1, AvvenireL’Europeo, Gazzetta ticinese e il Sunday Times, realizzando servizi in aree del mondo interessate da eventi bellici, di guerriglia o rivoluzionari.

Nel 1987 Biloslavo viene arrestato in Afghanistan dalle truppe governative filo-sovietiche, alla fine di un lungo reportage con i mujaheddin del comandante Aḥmad Shāh Masʿūd. Rimane in carcere per sette mesi, riuscendo a rientrare in Italia solo grazie all’intervento diretto del presidente della repubblica Francesco Cossiga

Nel 2001 è uno dei primi giornalisti a entrare a Kabul liberata dai talebani e nel 2003 segue al fianco delle truppe anglo-americane l’attacco all’Iraq fino alla caduta di Saddam Hussein.

Fausto Biloslavo lavora per Il Giornale e collabora con varie testate come Panorama, TG5, Studio Aperto, TGcom24, Sky TG24.

Nella sua carriera ha collaborato inoltre con NBC, CBS, NDR, TS, Time Life, L’Express, Insight, Rai, Canale 5, Italia 1, Rete 4.

Ali Maisam Nazary

Ali Maisam Nazary è il responsabile delle relazioni internazionali del Fronte Nazionale di Resistenza dell’Afghanistan di Ahmad Massud.

Studente dell’Università della California e della London School of Economics. Si è laureato nel 2021 alla UCLA prendendo due lauree, una in Scienze Politiche e una in Studi Iraniani. Ha poi conseguito un master in politiche comparate, trattando prevalentemente i temi dei nazionalismi, della ricostruzione e dei conflitti.

Oltre all’impegno poitico, Nazry ha lavorato con Bellwether Partners, una società di relazioni governative, finanziamenti pubblici e gestione dei progetti, come specialista delle relazioni con il governo afgano e dell’Asia centrale, supervisionando progetti di consulenza e gestione delle relazioni internazionali.

Nel 2016 diventa anche presidente della Fondazione Massoud, il ramo statunitense dell’organizzazione di soccorso afghano della famiglia Massoud, ruolo che ricopre tutt’oggi.

Con l’aumentare delle tensioni tra i talebani e il governo a causa del ritiro delle forze della NATO dall’Afghanistan, Nazary è tornato in politica come capo delle relazioni estere per l’ufficio politico di Ahmad Massoud alla fine del 2018. Con la caduta di Kabul e la fuga di Ashraf Ghani dal paese, Massoud fondò il Fronte di Resistenza Nazionale dell’Afghanistan, con sede nel Panjshir. Nazary, dunque, già consigliere per la politica estera di Massoud, è stato nominato capo delle relazioni estere per la NRF.

Apre il convegno e introduce Fazzolari.

Fazzolari Fa una panoramica sugli ospiti e sottolinea il concetto della necessità di dare al fenomeno dell’islamismo la giusta dimensione: “la questione islamica è un tema epocale, si ha grande difficoltà a parlarne, salvo poche eccezioni, e alcune di queste eccezioni sono qui rappresentate. Questa questione epocale dovrebbe sorprendere tutta la politica guardate cosa è successo negli ultimi decenni. Provate a ricordare il  mondo qualche decennio fa e quello che è oggi. Negli anni ’70 l’occidentale Persia, poco dopo l’Iran degli Ayatollah. Lo stesso processo in Afghanistan, l’integralismo che prende l’Indonesia, poi i Balcani, la laica Turchia che diventa la Turchia islamista. Un processo di islamizzazione e radicalizzazione di tutto il mondo islamico, sia sunnita che sciita che non risparmia nessuno. Anche in Europa sacche di islam radicalizzate. I media non ne parlano, in Italia non se ne parla. Un dibattito più vivace c’è in Francia, che con la legge contro il separatismo islamico che prova a dire detto che le leggi francesi vanno rispettate senza eccezioni, una legge di Macron che combatte il radicalismo. In Italia pochi giorni fa un Pm di Perugia ha assolto un marocchino che maltrattava la moglie marocchina e che però ha deciso di assolverlo perché quel tipo di approccio è proprio della cultura islamica. Ci dimentichiamo anche degli eventi più traumatici, l’Europa, dagli anni 70 ad oggi, ha subito più di 200 attentati islamici, con centinaia e centinaia di morti, noi li rimuoviamo ad una velocità incredibile. Riusciamo a rimuovere anche l’uccisione di un professore francese decapitato, Samuel Paty, che aveva provato a raccontare ai suoi ragazzi il valore della laicità dello Stato, e la commissione UE, se avesse voluto fare davvero qualcosa per ribadire la laicità dello Stato avrebbe dovuto intitolare un programma europeo a Samuel Paty, al posto di cercare di vietare la parola Natale.

Noi stiamo dimenticando quello che il radicalismo ha provocato in Europa e non ne parliamo, ma è un processo ideologico quello che stiamo vivendo.

Gli europei in nome dell’ideologia si sono nei secoli massacrati a decine di milioni, ci siamo sterminati uno con l’altro e oggi non capiamo che è lo stesso oggi, in nome dell’ideologia sta accadendo la stessa cosa. Un’ondata ideologica di islamismo che va chiamato con il suo nome, c’è chi radicalizza in casa nostra e a queste persone va dato un nome ed un cognome: si tratta della fratellanza musulmana di cui tanto poco si parla e chi lo fa lo fa con grande coraggio ed è il caso di Abdallah Redoune, che è il segretario della Grande Moschea di Roma che abbiamo l’orgoglio di avere qui oggi con noi. Hanno nome e cognome anche gli Stai islamici che foraggiano l’integralismo, e sono il Qatar e l’Arabia Saudita, anche se in concorrenza tra loro. E non è normale che l’Italia abbia sottoscritto un accordo bilaterale di cooperazione culturale con il Qatar, di interscambio, unico partito ad opporsi Fratelli d’Italia e non è normale che qualcuno parli della dittatura wahabita in Arabia saudita come di un nuovo rinascimento. E allora abbiamo voluto parlare di questi problemi con ospiti di altissimo rilievo, tra cui, il Segretario Generale della Grande Moschea di Roma, Centro Culturale Islamico Abdallah Radouane, unica organizzazione islamica riconosciuta dallo Stato Italiano, mentre ci sono altre associazioni che si presentano come interlocutori delle istituzioni non hanno nulla di rappresentativo e anzi spesso sono finanziate da Stati integralisti”.

Poi il Senatore Fazzolari fa una panoramica ed una presentazione di tutti gli ospiti. In particolare su Nazry, afferma che è con enorme imbarazzo che si vedono dei combattenti che difendono la libertà abbandonati dall’occidente: “ci vergogniamo per questo, le nostre scuse valgono poco, ma sono doverose, perché l’occidente è una cosa che ha fatto troppe e troppe volte: con i curdi, in Iran, in Siria, in Afghanistan e ancora una volta un pugno di combattenti coraggiosi proverà ad opporsi alla furia integralista”.

Dopo l’introduzione il Senatore Fazzolari passa la parola al moderatore del convegno Massimo Giletti.

Giletti fa una breve introduzione relativa all’importanza della libera manifestazione del pensiero, presupposto di qualunque stato democratico, affermando che l’ascolto ed il confronto libero vale in ogni ambito, ancor di più in quello religioso: “se non c’è libertà di pensiero è una democrazia finta. Questo ha dei costi, si subiscono degli attacchi continui, ma credo che anche a livello religioso, se si va nelle grandi città del mondo ci sono molte moschee perché c’è libertà religiosa e lo stato laico garantisce la libertà di pensiero. Dovremmo anche noi fare di più in questo senso, il dialogo è il presupposto per la costruzione di uno stato di Pace, difendere la nostra cultura e sviluppare il dialogo. Non si può non prendere atto che anche con i talebani vada instaurato un dialogo”.

Poi introduce Ali Maisam Nazry chiedendogli come sta Massoud e se non si senta tradito dall’occidente.

Nazry: “Vorrei ringraziarvi da profondo del cuore, per me è un orgoglio essere qui. La situazione in Afghanistan e in genere nel mondo islamico non è affatto piacevole. La libertà, che è il diritto fondamentale di ogni persona, è stata perduta. In Afghanistan con l’allontanamento degli occidentali si è perduta ogni libertà, alcuni gruppi hanno sofferto di più, ma tutti hanno perso la libertà, perché il paese è in mano a terroristi estremisti oscurantisti, che purtroppo vengono anche legittimati da molti attori della comunità internazionale.  Un gruppo che non rappresenta la cultura e il sentimento religioso afghano, il credo dell’Islam predominante in Afghanistan negli ultimi 12 secoli è stato basato sulla scuola di Hannafi razionalista, negli ultimi 50 anni gruppi estremisti sono arrivati con ideologie nuove e ne hanno tradito la visione. Si è fatta strada un’ideologia contraria alla libertà non solo per gli islamici, ma per tutti. Prima della loro avanzata, in Afghanistan era stato ricostruito un mondo multiculturale e multi religioso, c’erano diverse scuole di pensiero e anche altre religioni, ma dal 15 agosto di quest’anno (data della fine della ritirata delle truppe occidentali n.d.r.), abbiamo iniziato a perdere tutti i fratelli e compatrioti non musulmani, sik, indù, l’ultimo ebreo ha da poco lasciato il paese. E questo è terribile. Un fatto che i media però hanno organizzato, i politici occidentali tendono a fare la situazione più rosea di come non sia, come se i Talebani stessero omogeneizzando il paese. Il Fronte di Massoud, è votato alla restituzione all’Afghanistan della libertà, indipendentemente dalla razza, dal genere o dalla religione. La nostra lotta continuerà. Questa è la nostra missione. Lo stesso tipo di repressione in Afghanistan si verificò con i sovietici, anche loro quando conquistarono l’Afghanistan repressero la libertà religiosa e la libertà di ogni singolo cittadino, all’epoca Massoud padre si ribellò a questa repressione Massoud era determinato e ed oggi, con suo figlio, noi ne seguiamo le orme.

Noi oggi siamo stati abbandonati in questa lotta. Noi ci sentiamo traditi da tutta la comunità internazionale,  non credo che la guerra al terrorismo si sia conclusa il 15 agosto e anche dopo la ritirata degli Usa la guerra continua, mentre i nostri alleati più stretti ci hanno abbandonato e tradito. Il Fronte Nazionale di resistenza Afghano lotta contro una pletora di terroristi, non solo Talebani, ma anche Al Qaeda, ISIS, ideologie jihadiste nelle fazioni talebane. Resistiamo con una quantità limitata di risorse, senza aiuto, assistenza o cooperazione, mentre la comunità internazionale pensa solo alla crisi umanitaria, giustamente, ma viene totalmente trascurato che esistono forze rimaste in Afghanistan che pensano di essere alleate all’occidente, queste sono le ultime forze che lottano contro nemici comuni per difendere la libertà, ma a mani vuote, senza risorse e senza armi. In questo modo soffre agli occhi dell’Afghanistan la credibilità del concetto di democrazia che professa l’occidente, ma soffre anche il concetto di libertà e democrazia in tutta la Regione, in Asia, in Africa, ovunque vi siano paesi in via di sviluppo che stanno cercando di costruire una democrazia. Capiranno che prima o poi verranno abbandonati dall’occidente”.

Giletti dà poi la parola a Fausto Biloslavo, introducendo il concetto delle risorse e delle armi che sono rimaste nelle mani dei Talebani dopo la ritirata degli USA e il tema del Pakistan che sostiene i Talebani.

Biloslavo: “Io ho avuto la fortuna di conoscere sia il padre che il figlio Massoud. Considero il padre la prima vittima dell’11 settembre, avvicinato il 9 settembre da due terroristi che si erano qualificati come giornalisti: Massoud era chiamato il Leone del Panshir. Il figlio ha cercato di raccogliere il testimone del padre e di resistere in quella valle indomita dove il padre aveva resistito a 10 offensive dell’armata rossa. Quando lo conobbi nel 1987 e ne divenni amico, al ritorno fui catturato dai sovietici e per tenermi vivo ogni mattina cantavo avanti ragazzi di Budapest. A quel tempo in Afghanistan c’erano gli stessi carri armati, i carri armati russi. Una strofa di quella canzone dice che l’occidente “è rimasto a guardare sull’orlo della fossa seduto”, ebbene, era successo a Budapest, era successo durante il conflitto sovietico afghano ed è successo oggi, nel Panshir. E questa è una vergogna. Quando sono poi tornato in quella valle, nell’ufficio del giovane Massoud c’era il nuovo governatore talebano che non ci ha neanche accolto perché lui non parla con i giornalisti. Ma soprattutto ho visto lungo la strada i resti dei mezzi blindati della resistenza, inceneriti.  Ebbene i mezzi blindati erano stati indubitabilmente colpiti dall’alto, dai droni, droni che non posseggono i talebani, ma i pakistani, i cinesi. Di fronte questa azione dal cielo, voluta ma non certo organizzata dai talebani, l’occidente non solo è rimasto silente. Tutto questo accadeva mentre l’occidente era alle prese con l’evacuazione dall’aeroporto di Kabul. Di fronte al conflitto l’occidente non ha fatto nulla, come allora il mondo è rimasto a guardare, sull’orlo della fossa seduto”.

Giletti passa dunque la parola a Pontecorvo, introducendo il concetto di dialogo con i talebani. Chiede anche se c’è il rischio paventato da Nazry rispetto al pericolo di esportazione del terrorismo.

Pontecorvo: “E’ giusto dialogare con i Talebani, ciò che non significa riconoscerli, significa parlare con loro perché si parla con tutti. Il rischio c’è per questioni fisiche. I talebani non sono cambiati rispetto a vent’anni fa, sono dottrinalmente gli stessi, ma hanno capito che se consentono che altri nel paese facciano quello che hanno fatto vent’anni fa, faranno la stessa fine. Ricordiamoci che l’intervento anglo americano in Afghanistan, quando i talebani si rifiutarono di consegnare Osama Bin Laden, durò dal 7 ottobre e finì il 26 novembre, sei settimane ci vollero per cacciarli indietro e i talebani se lo ricordano. Noi avevamo un’ottima ragione per entrare in Afghanistan, forse non per restarci, ma per entrarci sì. Ecco i talebani non hanno le forze per resistere ad un attacco dell’occidente. (Giletti a questo punto sottolinea la grande eterogeneità etica e linguistica dell’Afghanistan, affermando la presenza di oltre 26 ceppi linguistici e di decine di etnie tribali). Pontecorvo prosegue: “il pericolo di esportazione del terrorismo non viene dai talebani, i talebani sono un gruppo nazionalista, voi non vedrete mai – e non avete mai visto – una bomba talebana fuori dall’Afghanistan, i talebani sono interessati solo al loro paese, non all’esterno, tuttavia in questo modo il paese diventa un santuario per i terroristi e per i gruppi fondamentalisti. Occorre ricordare un aspetto che spesso si dimentica: in Africa, nei prossimi 6/7 anni, 300 mln di giovani si affacceranno al mondo del lavoro, di questi circa 100 mln solo potranno essere assorbite dal mercato africano, in africa c’è un Islam generalmente moderato, ma c’è e il rischio sta lì, nel possibile reclutamento. Le prime vittime dell’islam fondamentalista sono i musulmani. Abbiamo avuto decine e centinaia e migliaia di morti, i musulmani ne hanno avuti ben più di noi. Il problema dell’Islam e anche però un’opportunità è che manca un capo supremo, un “papa”, che faccia da portavoce di quel mondo, l’opportunità è che l’Islam è fortemente legato allo stato in cui il singolo religioso esercita la propria missione. Dunque occorre una porre in essere una forte iniziativa politica che, col dialogo, metta tutte le componenti di fronte alle proprie responsabilità e impedisca, in tal modo, di esportare fondamentalismo. Che in fin dei conti colpisce anche i regnanti dei paesi islamici. Occorre porre in essere azioni efficaci per trasformare la situazione attuale. Oggi il dialogo su questo troverebbe molte orecchie attente”.

Giletti passa la parola al segretario della Grande Moschea di Roma Redouane, prendendo spunto dall’ultima notazione di Pontecorvo relativa alla necessità di dialogo e introducendo anche il tema centrale: libertà religiosa versus questione islamica, in Italia, a differenza degli altri stati europei gli islamici spesso pregano nei “sottoscala”, ci sono poche moschee cosa che fa perdere il controllo della religione.

Abdallah Redouane: “il desiderio di dialogo è la giustificazione della mia presenza oggi. Per questo ringrazio Fratelli d’Italia. Oggi questo deve costituire un punto di partenza dei rapporti tra noi del centro islamico e Fratelli d’Italia, forza politica molto importante nel paese. Uno dei problemi che oggi ci troviamo ad affrontare ad esempio è quello relativo alla mancanza di istituzionalizzazione delle componenti, le moschee nei garage sono un problema serio. La pratica religiosa deve essere fatta alla luce del sole, nei luoghi riconoscibili e riconosciuti. C’è un problema serio che va affrontato, il musulmano in Italia non deve essere visto come il “fedele”, ma come il “cittadino”, perché così diventa responsabile di fronte alla legge ed alla società e diventa responsabile del processo di integrazione. Questa è la via per impegnarsi nell’integrazione.

Ebbene, per venire alla questione della libertà religiosa, occorre partire da un dato. Storicamente fino alla metà del secolo scorso tutti gli stati a maggioranza musulmana erano stati colonizzati, il processo di decolonizzazione ha lasciato una bomba esplosiva su tutti i territori, non c’è un paese islamico che non problemi di frontiere e di stabilità delle frontiere o problemi di etnie e tribù. Il mondo islamico è stato influenzato dalla guerra fredda, una volta decolonizzato si è diviso in due blocchi, uno pro sovietico ed uno pro occidentale e la questione Afghana si inserisce in questa cornice.

Giletti a questo punto fa un inciso, stimolando l’interlocutore: “se voi moderati non isolate il radicalismo si apre un conflitto pericoloso, in Europa, ed in occidente in generale, abbiamo subito troppi attentati. E’ importante che vi sia la guida di imam di livello come lei, molti non predicano la pace”.

Redouane continua: “Riconosciamo che il radicalismo è un male assoluto, e come ha detto prima di me l’ambasciatore, il mondo islamico a causa del radicalismo ha pagato un grosso tributo, con molte vittime. In Algeria sono morte 250 mila persone, vittime del terrorismo,  in Iraq più di un milione, in Siria, Libia in Africa sub sahariana. Per eliminare dunque il radicalismo però bisogna estirparne le cause, per esempio a livello delle moschee, delle scuole e delle famiglie, occorre educare i giovani. Sappiate che quelli che si radicalizzano sono per la maggior parte under 13, anche di seconda generazione nati qui, il problema sta dunque nell’individuare tempestivamente le cellule che stimolano il radicalismo. Occorre essere prudenti, molto attenti alle prediche, che devono essere necessariamente in italiano. Questa è la nostra responsabilità. Pensate che vent’anni fa i sermoni prima si facevano, oltre che in arabo, in italiano ed in inglese. Oggi, nella moschea di Roma, che è venerdì, il sermone è stato fatto sia in arabo che in italiano”.

Giletti dà dunque la parola all’ambasciatore Dror Eydar, ponendo la questione Gerusalemme, centro delle tre grandi religioni monoteiste. Gestire Gerusalemme non è facile.

Dror Eydar: “Gerusalemme è sacra alle tre maggiori religioni, ma nel corso della storia è stata la capitale politica dello stato ebraico. Vorrei dire che è di poco più di una settimana fa una  risoluzione ONU che ne nega le radici ebraiche, affermando che Israele non ha diritti politici a Gerusalemme. All’ONU c’è una maggioranza automatica contro Israele per ogni risoluzione, per quanto assurda questa possa essere. Dal 2015, l’ONU ha adottato 5 risoluzioni contro l’Iran, 6 risoluzioni contro la Corea del Nord, 8 risoluzioni contro la Siria, con oltre mezzo milione di morti e 11 milioni di profughi: tutte dittature, dove non ci sono diritti umani, libertà di parola o di religione. Nello stesso periodo di tempo, sono state adottate ben 112 risoluzioni soltanto contro Israele, escluse quelle dell’anno in corso, l’unica democrazia in Medio Oriente. Questo significa voler mettere Israele in un angolo, è come dire che il popolo ebraico non appartiene alla famiglia delle nazioni. E’ una forma di antisemitismo. Il problema più grave è che in occidente non si capisce è che così si negano le radici stesse radici della cristianesimo. Un esempio, all’interno della risoluzione compaiono accuse anche contro Israele con riferimento al Monte del Tempio, il luogo in cui furono costruiti il primo tempio di Salomone ed il secondo tempio di Erode. Nella formulazione della risoluzione non compare il nome Monte del Tempio, ma solo la denominazione araba. E i palestinesi non hanno accettato di includere la definizione cristiana del Monte del Tempio.

Con la risoluzione Monte del Tempio l’Onu sta provvedendo alla negazione totale di verità storiche, perché se lì vuole negare che camminò Gesù e che vi si sono svolti interi capitoli del Nuovo Testamento, dove vanno a finire le radici cristiane? Il sostegno a questa decisione nega anche le radici cristiane (L’Onu il 4 dicembre scorso ha approvato una risoluzione che riconosce esclusivamente il legame islamico con il Monte del Tempio, eliminando sia i legami ebraici che cristiani con il luogo. Il testo, denominato “Risoluzione di Gerusalemme” è stato approvato con 129 voti contro 11 ed è frutto delle pressioni della Autorità Palestinese e di diversi paesi arabi, ndr). Nella risoluzione, poi, si dice che si vuole difendere la libertà religiosa. Ebbene, la difesa della libertà religiosa è necessaria, ma occorre capire che solo sotto la sovranità israeliana c’è la libertà di culto. Prima non era così, nel 1948 quando i giordani occuparono la città vecchia fecero saltare tutte le Sinagoghe. Se l’interesse del mondo è mantenere la pace occorre aiutare la sovranità israeliana. Questo che avviene in senso all’ONU non è solo un gioco diplomatico, questo ha serie implicazioni, perché gli antisemiti osservano l’assurdo spettacolo che avviene in seno all’ONU e sono incoraggiati a colpire gli ebrei. La pace a Gerusalemme si otterrà se questa verrà riconosciuta capitale dello stato di Israele. Dobbiamo avere il riconoscimento di tutte le nazioni del mondo di Gerusalemme come capitale d’Israele. Il mio sogno è vedere sventolare la bandiera italiana nella sua sede diplomatica a Gerusalemme. L’Italia ha avuto un ruolo fondamentale nel 1920 (tra il 19 e il 26 aprile 1920 al Castello Devachan di Sanremo, si riunì il “Consiglio supremo di guerra alleato”, composto da Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia e Giappone, per decidere sulla sistemazione postbellica di quello che oggi si chiama “Medio Oriente” e allora “Levante”, lì si posero le basi giuridiche della nascita dello Stato di Israele, ndr), ora l’Italia deve completare la sua missione storica e riconoscere Gerusalemme come nostra capitale e trasferirvi la sua ambasciata. Questa è la chiave della pace in questa città.

Giletti prende la parola e sposta il fuoco sul tema Afghanistan e terrorismo, che per Israele si aggiunge al problema già sentito degli iraniani.

Eydar risponde: “questo è un grande tema e non è solo un problema di Israele, ma dell’intero occidente. Lo avete detto anche prima, guardate cosa sta succedendo in alcuni paesi europei. Noi non abbiamo alcun problema con la religione islamica, lo abbiamo con il suo aspetto politico estremista. Il problema è che questo fenomeno appare contestualmente in molti posti nel mondo, si veda l’Afghanistan. E la radice di tutti questi problemi è l’Iran, che vede il mondo occidentale come un corpo malato. Non esiste alcun luogo instabile in Medioriente in cui l’Iran per qualche verso non eserciti la sua influenza. L’instabilità è interesse dell’Iran, perché in questo modo può esercitare la propria influenza. Quando guardiamo al medio oriente oggi la domanda che dovremmo fare e che ci dovrebbe preoccupare è come hanno fatto tutti i paesi della mezzaluna fertile a diventare a dominanza sciita. Vedete la intera mezzaluna fertile è a disposizione dell’Iran. C’è stato un cambiamento un cambiamento storico nel rapporto tra sunniti e sciiti senza precedenti nella storia dell’Islam dalla sua fondazione. Le minacce dell’Iran ad Israele non sono nuove, noi non confiniamo, apparentemente non ci sarebbe alcun motivo per attaccare (Giletti fa un inciso: “beh in realtà gli Hezbollah sono a voi molto vicini e sono finanziati dall’Iran, il Libano crea problemi ad Israele e anche la frantumazione della Siria crea altri problemi”). Il nostro grande problema resta l’Iran, perché gli Ayatollah investono enormi sforzi nella volontà di distruzione di Israele, vi trovano la propria ragion d’essere. Infine, il radicalismo non è solo quello sciita, ma anche quello sunnita, tipo ISIS e Hamas a Gaza, vi invito a leggere lo statuto di Hamas, in cui è scritto a chiare lettere che l’obiettivo deve essere la distruzione dello stato di Israele e l’uccisione di ogni ebreo in ogni angolo del mondo. Non esiste un denominatore comune per conversazioni su base razionale, da parte di Israele, prima riconosciamo minacce e pericoli e poi agiamo contro di essi per via diplomatica, politica e poi militare. La questione per l’Iran è una questione esistenziale, ed il problema non è solo un problema israeliano, ma del mondo occidentale intero.

Giletti dà poi la parola ad Adolfo Urso, su quali siano i rischi di radicalizzazione in Italia.

Urso: “Innanzitutto voglio sottolineare che l’ambasciatore Pontecorvo è stato l’ultimo ad abbandonare l’aeroporto di Kabul e a rappresentare la diplomazia europea, lo sottolineo perché qualcun altro non lo ha fatto. Lo ringrazio a nome dell’Italia. Ho poi voluto fortemente invitare Redouane perché va sempre ricordato che lui rappresenta il Centro islamico, la più grande moschee d’Europa, e le principali vittime del fondamentalismo islamico sono gli islamici che combattono affinché il fondamentalismo non prevalga, è molto più rischioso per loro che per noi – fa poi un commosso ricordo di Almerigo Grilz e un cenno alla disastrosa ritirata di Biden dall’Afghanistan -.

Ebbene il Copasir si è riunito 5 volte da ferragosto per tenere d’occhio il governo ed incalzarne l’azione a Kabul, dopo la disastrosa ritirata dell’alleanza atlantica i cui tempi sono stati dettati da Biden. Da lì nasce la consapevolezza di realizzare una relazione al Parlamento sul contrasto al radicalismo islamico. Che va contrastato sotto due aspetti: uno è quello dell’espansione del radicalismo islamico all’estero, caduta Kabul il pericolo sta alle frontiere. Va considerata l’espansione del radicalismo all’estero e il pericolo maggiore viene dal corno d’Africa e dal Sahel, peraltro luoghi in cui sono presenti i nostri militari. Quando prima l’ambasciatore citava gli Hezbollah, dobbiamo ricordare che i militari che impediscono lo scatenarsi della guerra in Libano e tutelano Israele sono italiani, guidati da un italiano. Noi siamo presenti con 9.000 militari all’estero, in Libano  come in Siria, e guideremo in aprile la missione in Iraq, così come guidiamo la missione in Kosovo e così come guidiamo la missione IRINI. Lo dico perché sentivo parlare della forza di difesa europea, che dovrebbe dopo la caduta di Kabul costituire la risposta militare europea con cui si dovrebbe creare una forza di intervento rapido di 5.000 militari. Cosa sono 5.000 militari se solo l’Italia ha 9.400 militari impegnati all’estero? Nulla. Inoltre se l’Europa non si rende conto della necessità di investire in difesa sarà arduo contrastare l’espansione del radicalismo. Anche l’impegno economico è stato fortemente ridimensionato, il bilancio europeo sulla difesa nello scorso settennato era pari a 29,5 mld, nel prossimo settennato, quando dovremo impegnarci tutti per migliorare la difesa europea, questo bilancio è stato 14,5 mld. Si può aumentare la difesa se vengono tolte risorse? Questo è un controsenso politico, serve maggiore consapevolezza da parte dell’UE, delle minacce che vengono dall’esterno anche per difendere chi nell’islam difende il diritto di libertà e vuole combattere il fondamentalismo. Così come l’Israele deve essere l’avamposto della democrazia occidentale in oriente. Forse è rimasta l’unica democrazia quella d’Israele dopo la caduta della Turchia, forse c’è solo il Marocco. Oltre ad Israele. L’Europa deve essere avamposto per la difesa contro il fondamentalismo. Anche la persecuzione dei cristiani nel mondo è diventato un problema in espansione, ci sono 340 mln di cristiani perseguitati nel mondo e vivono in regimi persecutori (occorre tener presente che il luogo più intollerante à la Corea del Nord che è uno dei paesi in cui più si aggrava la lotta contro le religioni è in Cina). Questo tipo di battaglie, le battaglie di libertà vanno combattute sempre e ovunque, senza infingimenti, anche per esempio per i tibetani in Cina. E quando ingaggiamo questa lotta di libertà religiosa dobbiamo ricordare che non è lo stato laico che ci ha portato a questo grado di libertà e consapevolezza, ma lo Stato laico così come è nato in Europa nel quadro della cristianità, che ha saputo dare a cesare quello che era di Cesare.

In sede Copasir abbiamo, dopo una serie di audizioni secretate, tra cui anche quella dell’ambasciatore Pontecorvo, abbiamo sentito la necessità di fare un rapporto al Parlamento, non ne facciamo spesso. Abbiamo dunque presentato il 4° rapporto al Parlamento sul radicalismo islamico, votato all’unanimità. Questo dà la misura della trasversalità della politica rispetto a questo tema. In questo rapporto diciamo al Parlamento che è necessario e serve una legge specifica contro la radicalizzazione, che favorisca la deradicalizzazione. In qualche misura siamo anche riusciti a sbloccare una legge che era ferma dalla scorsa legislatura, ma essendo passati da allora quasi 10 anni, e gli stessi fondamentali della legge in questione sono ormai superati, la fisionomia del terrorismo è cambiata, Al Qaeda non è più la stessa di 10 anni fa. Oggi non esistono più quel tipo di gruppi terroristici che saremmo comunque in grado di contrastare meglio anche grazie all’intelligence e anche grazie all’esperienza. Oggi le minacce dal mondo fondamentalista islamico in Europa derivano di più dallo spontaneismo armato che da fenomeni organizzati. Dunque occorre contrastare la c.d. radicalizzazione domestica, come è accaduto anche in Italia in cui poco tempo fa è stata arrestata una radicalizzata poco prima di colpire, per questo era stata presentata una norma di Legge che punisce la semplice detenzione di materiale jihadista (sta per essere approvata una legge simile anche in Gran Bretagna) come avviene per la detenzione di materiale pedopornografico. In questo modo potremo anticipare e prevenire l’azione, anticipare la punibilità al solo possesso del materiale in questione e prevenire l’azione criminosa. Oppure occorrerebbe monitorare le carceri, lì ci si accorge chi si è radicalizzato. Occorre accompagnare in un percorso di uscita dalla radicalizzazione, strapparli a questa ubriacatura ideologica, ma la migliore resistenza è ribadire ed affermare i valori fondamentali della cristianità, che hanno consentito all’occidente di incamminarsi nel percorso del rispetto reciproco, del rispetto delle libertà di tutti nel mondo e nella costruzione dello Stato laico.

Giletti dà poi la parola alla Tinagli, vice presidente PD.

Tinagli: “il tema politico è: come fare ad arginare i fenomeni estremisti in questi paesi? Perché se non siamo capaci di esportare democrazia, come abbiamo visto accadere in Afghanistan, almeno non importiamo terrorismo. Dobbiamo prevenire, anche quegli attacchi più spontanei. A livello europeo dobbiamo migliorare l’intelligence, le reti che creano la stabilità, come Eurojust ed Europol. Questo progetto di legge di cui parlava Urso, che ha avuto un iter molto lungo e che ora sta ripartendo è una pdl bipartisan, interviene là dove ci sono rischi di radicalizzazione, in particolare sui giovani, under 14, isolati, esclusi socialmente – prosegue con una sommaria descrizione della norma – Ma ciò che occorre è un dialogo con l’Islam moderato che ci aiuta nella prevenzione”.

Chiude Fazzolari, sottolineando la grandezza della sfida che ci si para dinanzi.


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