I bagni della Bocconi: viviamo in una società stitica

“Roma ad agosto era deserta. Con qualche spicciolo messo da parte avevo comprato una Fiat Osca 1600 con la capote, di quinta mano chiaramente. Correva come una dannata. Per l’occasione mi avevano regalato tutte cosette da imbecille, il cappelletto con la fronte rigida, gli occhiali da pilota, la pipa, il fazzoletto da mettere al collo e, in fine, dei guanti-non-guanti, quelli senza le dita. Mi sarei vergognato a farmi vedere vestito così da qualche amico, per questo, in quel deserto d’agosto decido di mettermi in macchina su via dei Fori Imperiali, spalle al Colosseo, e sfrecciare tutto agghindato. Ad un certo punto, mi sono fermato all’angolo con via Cavour perché c’era il semaforo. Non solo il semaforo, c’era un altro per Roma oltre me, fermo a quel semaforo. Eravamo noi due sicuro per tutta la città. Un camion che portava la calce viva. Guardo, così per aria, il camion. Dal finestrino fuoriusciva un affare gigantesco, tutto peloso, che ho scoperto poi essere un gomito, il gomito di chi evidentemente guidava. Dopo un po’ si è affacciato il proprietario del gomito, un omone con tutti schizzi di calce in faccia, un collo che gli partiva dalle orecchie, le sopracciglia, non dico unite, ma c’era una sopracciglia sola, grossa grossa. Insomma, si è affacciato e m’ha guardato. Io stavo lì, vestito da imbecille, che lo guardava di sbieco sperando arrivasse subito il verde. Ma il verde non arrivava. E lui, in questa Roma deserta, io e lui soltanto, ha sentito la necessità di dirmi una cosa: a frocio!”.

Così si conclude un celebre aneddoto di vita raccontato dal compianto Gigi Proietti. Probabilmente irripetibile nei tempi moderni, ma di sicuro capace, ancora oggi, di strappare più di qualche risata. Di incerta vis comica sono stati, invece, i commenti dei tre bocconiani sospesi dopo aver ironizzato sui social a proposito dell’iniziativa dell’ateneo milanese di introdurre dei bagni “gender neutral”. Ma mentre si può discutere sulla qualità delle battute che i ragazzi hanno fatto, («Li userò, ma non per andare in bagno», «Li puoi letteralmente usare per andare a trans», «Ma non diciamo pagliacciate. Può piacerti chiunque, ma sei hai il pesce resti un maschio. E vai nel bagno adatto»), sui loro tempi comici e sul palcoscenico scelto, più complesso risulta prendere sul serio i provvedimenti assunti dalla Bocconi ai loro danni. Sei mesi di sospensione, poi diventati tre, e si paventa un corso di recupero o di rieducazione. Una roba tipo “Arancia Meccanica”. La verità è una. Il politicamente corretto e la cosiddetta ideologia woke non hanno reso la nostra società più libera, più solidale, più aperta. L’hanno resa, solamente, più stitica.

In quel groviglio di norme morali, mode etiche, grazie alle quali sono stati elevati totem, come Taylor Swift, a faro del vivere civile, la gente normale s’è persa e non ha più capito cosa è ignominia e cosa goliardia. Il serio e il faceto si sono scambiati creando un gigantesco equivoco. E ti ritrovi, i poveri confusi, ad esitare quando parlano del serio, ad andare spediti quando parlano del faceto. Insomma, siamo tutti lì, pronti a dire ed a commentare qualcosa, ma con il costante dubbio di farlo male, nei modi e nei tempi sbagliati, con il timore che qualcuno, alla fine, si possa comunque offendere. Viviamo una perenne condizione di stitichezza.

Inutile aggiungere che la stitichezza ha assalito anche il mondo dell’arte e della cultura. Numerosi sono i pensatori e gli artisti messi all’indice perché inappropriati coi tempi. Lino Banfi si è salvato in calcio d’angolo, solo perché è stato il nonno premuroso di un bravo medico. La Notte degli Oscar è da anni il palcoscenico massimo della stitichezza. Con le telecamere puntante in faccia come dei fucili, gli attori ben si guardano dall’aggiungere una sola parola ai discorsi che leggono e che le produzioni gli forniscono. I momenti comici sono ancora accetti, solo se vanno verso un’unica direzione: vessare la candidatura di Trump.
In questa società si è persa un po’ di leggerezza e persino i commenti di tre studenti diventano un motivo per finire al rogo, bollato di eresia.
Forse nell’intimità di quella Roma deserta ad agosto, nella bislacca conversazione tra un camionista e un curioso automobilista, si ritrova uno scampolo di semplice libertà.

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Andrea Piepoli
Andrea Piepoli
Classe 1996. Nato tra il sole e l’acciaio, cresciuto tra le piazze di Roma. A volte mi piace travestire la realtà da sogno. Con curiosità provo a raccontare e rappresentare la mia generazione.

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