Ricapitoliamo anzitutto le principali tappe che hanno condotto alla situazione di impasse odierna: il 29 marzo 2017 la premier britannica Theresa May attiva l’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), dando ufficialmente inizio all’iter di uscita del Regno Unito dall’Ue prevista per il 29 marzo 2019. Il passo successivo avviene il 25 novembre 2018, quando i leader dell’UE a 27 si incontrano per una riunione straordinaria del Consiglio europeo in cui approvano l’accordo di recesso – Brexit – e la dichiarazione politica sulle future relazioni UE-Regno Unito. Ed è da qui in poi la procedura si incrina: il 15 gennaio 2019 l’accordo di recesso subisce una prima bocciatura con voto contrario della Camera dei Comuni inglese. La premier May tuttavia non demorde e il 12 marzo 2019 sottopone nuovamente al voto del parlamento britannico l’accordo di recesso: bocciato, inesorabilmente, per la seconda volta. Due giorni dopo la Camera dei Comuni approva invece la mozione che prevede il rinvio del divorzio oltre il 29 marzo, contemporaneamente bocciando l’ipotesi di un secondo referendum. Affinché la proroga possa diventare effettiva, dovrà passare per un’approvazione all’unanimità dei leader dei 27 Paesi Ue, in occasione del Consiglio europeo del 21 marzo.
Ed è da qui che inizia la “tombola” della Brexit. Il governo inglese aveva inizialmente chiesto una proroga fino al 30 giugno 2019, ma il Consiglio Europeo del 21-22 marzo, ha “accorciato” la richiesta per alcune motivazioni legate alle elezioni europee: i giorni indicati, infatti, sarebbero il 12 aprile o il 22 maggio 2019. Il 12 aprile non è un giorno casuale, ma è la data entro la quale i Paesi dell’Unione europea dovranno formalizzare la loro partecipazione alle elezioni europee prossime. Se il Regno Unito non dovesse raggiungere alcun tipo di accordo, sarà infatti questa la data della Brexit “no deal”. Qualora dovesse pervenire ad un accordo, la proroga sarebbe estesa al 22 maggio in tempo per non partecipare alle elezioni europee previste tra il 23 e il 26 maggio.
In questo caso i seggi previsti per il Regno Unito verrebbero redistribuiti fra le altre nazioni.
Ma nella remota ipotesi che il governo inglese decidesse di interrompere l’iter di uscita dall’Ue cosa accadrebbe? Che il Regno Unito parteciperebbe alle elezioni europee di maggio e, di conseguenza, i seggi inglesi non sarebbero più redistribuiti.
Il tabellone della tombola britannica si infittisce. Nel giugno 2018, infatti, era stato deciso che a seguito della Brexit il Parlamento europeo avrebbe ridotto il numero di deputati da 751 a 705, lasciando i seggi vacanti in previsione di nuovi Paesi membri, che potrebbero aderire in futuro. Tuttavia è stata prevista anche una redistribuzione dei seggi inglesi: dei 73 seggi spettanti al Regno Unito, 46 verrebbero posti in riserva per gli eventuali nuovi Paesi mentre i restanti 27 sono ridistribuiti tra i 14 Paesi dell’Unione che sono leggermente sottorappresentati, come l’Italia, a cui spetterebbero 3 seggi in più, passando dagli attuali 73 a 76. Questa nuova distribuzione entrerà in vigore solo dopo l’uscita del Regno Unito e quindi, se il governo inglese decidesse di interrompere l’iter di uscita, all’Italia spetterebbero nuovamente 73 seggi.
Siamo alle estrazioni finali. Il 10 aprile 2019 vengono sconvolti nuovamente i piani della premier britannica. Il Consiglio europeo dei 27 capi di Stato e di governo approva un’estensione di oltre sei mesi, prorogando la data di uscita del Regno Unito dal previsto 12 aprile fino al 31 ottobre prossimo, con la flessibilità di anticipare l’uscita qualora venisse trovato un accordo prima. May aveva chiesto ai 27 leader una proroga fino al 30 giugno, ma non aveva potuto garantire di superare i contrasti interni al parlamento inglese, ha accettato di conseguenza, l’offerta del Consiglio europeo. Nuovamente, le date non sono casuali: il 31 ottobre coincide con l’ultimo giorno della Presidenza di Juncker e tale data scongiurerebbe la nomina di un commissario del Regno Unito nella nuova Commissione Ue. Se il governo britannico non dovesse raggiungere un accordo entro il 22 maggio, dovrebbe comunque partecipare alle elezioni europee del 23-26 maggio, con il timore che il voto diventi, di fatto, un secondo referendum sulla Brexit. Senza contare che terrebbe tutti gli altri Stati membri con il fiato sospeso su quanti parlamentari spettino a ciascuna nazione.
Insomma una vera e propria “Tombola”.
Ma chi vincerà?