Il fallimento della teoria del gender davanti la forza normativa della natura

In questi giorni si è alzato un gran polverone sulla partecipazione dell’atleta intersessuale Imane Khelif alle Olimpiadi di Parigi nella categoria femminile del pugilato. Soprattutto a seguito dell’abbandono dell’avversaria italiana Angela Carini che ha sostenuto di aver subito colpi di una portata tale che l’avrebbero costretta ad abbandonare l’incontro in meno di un minuto. L’accaduto ha riportato al centro del dibattito pubblico la questione del gender.

Indipendentemente dal caso specifico e raro dell’intersessualità – che secondo la definizione dell’Istituto Superiore di Sanità è una condizione che potrebbe racchiudere tutte le variazioni innate nelle caratteristiche del sesso che non rientrano nelle tipiche nozioni dei corpi considerati femminili o maschili – l’attenzione va posta all’ennesima evidenza che la natura ha una forza normativa che supera e prescinde il susseguirsi dei connotati culturali delle varie civiltà in qualunque tempo e a qualunque latitudine.

L’eccezione di specie non fa che confermare la regola “naturale” che già Aristotele nel secondo libro della Fisica aveva identificato come quel concorso causale che si presenta “sempre o per lo più”. Il percorso del pensiero Occidentale che ha portato al diffondersi del relativismo etico e cognitivo germina con la nascita del pensiero moderno.

Il matematico Cartesio infatti cercando un metodo assoluto che verificasse e confermasse la conoscenza del vero a seguito del suo dubbio iperbolico sull’esistenza di sé e delle cose, involontariamente, ha spostato il valore di verità dell’essere all’interno della coscienza umana, per cui dopo di lui una cosa è “vera” solo se è “chiara ed evidente alla coscienza”.

Di colpo, dunque, ha troncato ogni rapporto con il mondo oggettivo, ben tenuto da conto nel sapere medievale, e ogni “ritorno di verifica” delle cose conosciute spostando tutti gli sforzi e l’attenzione sul momento conoscitivo interno al soggetto conoscente che “riscopre” di esistere perché “pensa” (cogito ergo sum).

Questo solipsismo cognitivo si è via via nel tempo trasformato in un ipotetico primato e concreto isolamento della ragione rispetto al mondo. L’Io di Cartesio troppo debole per accertare la propria verità singola e intersoggettiva è stato trasformato da Kant in un “Io trascendentale” che potesse garantire, in quanto fuori dalla mente di ciascuno e ugualmente valido per tutti”, una certa e oggettiva conoscenza del mondo filtrata dalle categorie che ogni uomo avrebbe allo stesso modo in mente e con cui sintetizza e conosce la realtà.

Questo stratagemma non ha fatto altro che spostare questo centrale e ingombrante Io fuori dalla mente dell’uomo facendolo diventare sotto la lente d’ingrandimento dell’idealismo un “Io” che genererebbe e giustificherebbe tutto il reale fino a trasformarsi, con Hegel, in uno Spirito Assoluto che dialetticamente procede e produce lo stesso pensiero coincidente con l’essere.

Risulta evidente quanto già con queste dinamiche il pensiero occidentale abbia allontanato dal mondo e dalla sua oggettività la conoscenza del vero. Risulta facile capire, dunque, come il l’avvento del relativismo, per cui ogni opinione se reputata vera assume il valore di verità, abbia trovato terreno fertile per attecchire e proliferarsi. Tra gli effetti più evidenti di questa ricerca del vero che non ha più una direzione e un confronto costante con la realtà vi è proprio la teoria del gender che professa una superiorità normativa della cultura sulla natura.

Così, alla luce di questa premessa, non risulterebbe insensato affermare che il genere sessuale non dipende da una norma data per natura ma da una percezione o auto-percezione soggettiva e culturale. Infatti, forte del relativismo imperante, se per essere vero un asserto ha solo bisogno del prerequisito di essere “creduto” vero, tutto è possibile e plausibile.

La pericolosità di non tenere conto delle regole naturali, ben tenute presenti non a caso nel mondo scientifico e fisico, si dimostra con tutta la sua violenza in fatti che permettono ad una donna di essere penalizzata fisicamente rispetto a un uomo che “si sente” donna. Non si parla necessariamente dell’intersessuale Khelif, che comunque mostra connotazioni miste decisamente mascoline nella corporatura.

Il mondo sportivo si sta riempendo di queste casistiche che già sono apparse nella società civile con la questione dell’identificare dei servizi pubblici che andassero oltre il binarismo di genere uomo-donna.

Questa è un’importante occasione per cominciare seriamente a riflettere su quanto sia pericoloso abbandonare l’esempio e il faro delle regole naturali a favore di indimostrate e arbitrarie convinzioni che possono portare alla deriva più oscura la ricerca del vero e del bene comune.

Natura e cultura non devono essere messe in contraddizione ma in continuità. Pretendere che la cultura possa sovrascrivere le regole date per natura non potrà che portare al fallimento dell’uomo rispetto un ambiente che, non solo non comprenderà più distruggendolo, ma che lo annienterà a sua volta con l’indifferenza e la cura del suo essere “madre e matrigna” di leopardiana memoria.

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Alfonso D'Amodio
Alfonso D'Amodio
Nato a Napoli il 4 Febbraio 1983 consegue il Dottorato di Ricerca in Filosofia Politica alla Pontificia Università Lateranense. Precedentemente laureatosi alla LUMSA in Lettere, completa il suo percorso con una Laurea Magistrale a Tor Vergata. Specializzato in ontologia del pensiero scientifico, etica dei sistemi di Intelligenza Artificiale, dialogo interculturale e interreligioso e Filosofia Politica è attualmente ricercatore presso l'Area di Ricerca IRAFS sui fondamenti della scienza. Membro dell'Ufficio Studi di Fratelli D'Italia.

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