Oggi è il 10 febbraio, Giorno del Ricordo. Il giorno in cui si commemorano le vittime delle foibe, innocenti civili italiani d’Istria e di Dalmazia barbaramente gettati nelle fosse carsiche. Una violenza perpetrata dai partigiani slavi e dalle truppe comuniste del dittatore jugoslavo Tito che, durante la fine della Seconda Guerra Mondiale, ha cercato e ottenuto una vera e propria pulizia razziale delle terre occupate e conquistate. Numerose vittime e migliaia di esuli, cacciati dalle proprie case ed estirpati dalle terre in cui, fino a pochi mesi prima, avevano vissuto da italiani. E proprio per orgoglio e fierezza delle proprie origini italiane, dell’appartenenza al popolo italiano, gli esuli e le vittime hanno scelto di abbandonare le proprie terre native, di morire addirittura, piuttosto che rinnegare la propria italianità.
Un’italianità spesse volte controversa in Patria: la distanza geografica di quelle terre dalla Penisola e il nomadismo imposto agli esuli, costretti a vagare di Regione in Regione e a vivere in veri e propri campi per profughi organizzati alla meglio, troppe volte sono stati considerati italiani di serie B. Complice anche la lettura che si dava alle azioni titine: gli italiani andavano cacciati perché fascisti. E in questo contesto, in nome della mai rinnegata vicinanza della comunismo italiano alle dittature comuniste dell’epoca, dall’URSS alla Jugoslavia, appunto, di Tito, gli esuli giuliano-dalmati venivano considerati non meritevoli di attenzioni e di aiuti anche all’interno della nostra Nazione. L’episodio dei sindacalisti della CGIL che illo tempore rovesciarono il latte destinato ai bambini e ai neonati accampati è forse l’immagine più cruda di un momento troppo buio per la nostra Nazione. La consapevolezza delle atrocità perpetrate ai danni di italiani per il solo fatto di essere italiani ha faticato a sorgere, complice una sinistra che in 70 anni di governo, a causa della forte vicinanza ai suoi padri politici, ha sempre rinnegato o minimizzati gli eccidi, a suon di “va be’, tanto erano solo fascisti”. Una vicinanza ai grandi dittatori del passato che per anni la sinistra non ha provato neppure a celare, anzi suggellandola con la massima onorificenza italiana riconosciuta proprio al comunista Tito nel 1969: Cavaliere di gran croce, decorato di gran cordone dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Un abominio che neanche oggi può essere eliminato, a causa di una legge che vieta il ritiro delle onorificenze in assenza della controparte.
La consapevolezza delle violenze, tuttavia, con grande fatica e continui ostacoli posti non solo dall’estremismo della sinistra, sta sorgendo in questi ultimi anni tramite un sentimento di Unità nazionale che solo ora, dopo 80 anni di storia cancellata, vuole risorgere dalle sue ceneri superando scogli politici o di qualunque altro genere. Parlare di foibe e ricordare le loro vittime è un dovere civico verso la nostra stessa Patria: nei libri di storia si torna a scrivere delle vicende istriane e dalmate, a scuola si torna a raccontare dell’odio razziale del comunismo, in TV si parla di foibe e l’opinione pubblica inizia ad accorgersi che essere italiani non è solo vivere in una penisola o appartenere a una specifica ideologia. La legge Menia del 2004, le continue sensibilizzazioni dell’attuale maggioranza di governo, le parole del presidente della Repubblica Mattarella che riconosce la matrice razziale degli eccidi delle foibe: un lungo iter che ha atteso 80 anni per avere veramente avvio. La strada è ancora lunga: troppo forti ancora riduzionismo e l’avversione per le vittime delle foibe, che si sono esplicate nelle ultime settimane in attacchi alla troupe Rai impegnata in un documentario in Slovenia e nei messaggi di guerriglia di alcuni centri sociali. La presenza del presidente del Consiglio Giorgia Meloni oggi alla foiba di Bassovizza rappresenta il totale impegno che questo governo garantisce al Ricordo al netto di chi, invece, valuta certe manifestazioni come un tentativo di svalutazione dei reati fascisti, nello strenuo tentativo di ridurre i fatti d’Istria e di Dalmazia a semplici atti di guerra: ma è evidente la matrice razziale che ha portato agli eccidi di civili, colpevoli del solo fatto di essere italiani.