Un’alleanza, insomma, che vende se stessa (almeno da parte del Pd e del premier Conte che gioca ormai una partita a sé) come “svolta”, come antidoto ai quattordici mesi di Ogm giallo-verde ma che si candida in realtà, lo dimostrano tutti i sondaggi di gradimento, ad ufficializzare un vero e proprio “esproprio di Palazzo” del diritto degli italiani alla democrazia sostanziale.
Non il kratos esercitato dal demos, dunque, ma l’arbitrio del Palazzo a prescindere da quest’ultimo, quando non addirittura direttamente «contro la volontà degli italiani», come ha spiegato Giorgia Meloni che da settimane, senza perifrasi, formule in politichese e poco lucide marce indietro, chiede il ritorno immediato al voto davanti all’implosione della parentesi giallo-verde proprio perché grillini e dem «stanno rubando il governo».
Certo, sul piano costituzionale quello in atto fra Di Maio e Zingaretti è legittimo, come non smettono di ripetere i network ufficiali cercando di celare l’operazione tutta interna all’establishment. Questi dimenticano però che il dispositivo da cui si alimenta la sovranità è richiamato all’articolo uno della Carta: quel popolo che in questi giorni è stato definito «emotivamente instabile» dai sostenitori dell’intesa grillo-piddina per essere nuovamente chiamato al voto a dare un’indicazione chiara, un mandato sul proprio orientamento. Perché da noi votare ormai rappresenta un «rischio» da cui mettere il popolo al riparo (sic), mentre in Grecia e in Spagna – chissà perché… – è stato possibile chiedere l’opinione ai cittadini davanti a difficoltà ben più gravi rispetto alle nostre.
Davanti a questo scippo di sovranità, senza nemmeno la falsa giustificazione (a differenza del 2011) di presunti allarmi per i conti dello Stato, dall’attacco ostile dei mercati o dalla volontà della Troika di commissariare in prima persona l’Italia, la ricerca spasmodica di un governo a tutti i costi ha scatenato la comprensibile reazione di chi, come Fratelli d’Italia appunto, vede non solo all’orizzonte un rassemblement di “impauriti” dal responso delle urne (dove in effetti non ci sarebbe partita contro i sovranisti) ma un progetto politico assai pericoloso «fatto solo per massacrare gli interessi e i diritti degli italiani». Il colpo di grazia al ceto medio e alle classi popolari, dunque. E se è vero che questo «non ce lo possiamo permettere» è altrettanto vero, ha spiegato ancora la leader di FdI, che è necessario «essere pronti a mobilitarci. Non solo con la petizione per chiedere “elezioni subito”. Se necessario scenderemo in piazza».
Contro cosa? Contro l’ennesima operazione “anti-sovranista”, certo. E anche contro l’orientamento di questa autovettura giallo-rossa destinata ad andare in controsenso rispetto a tutta l’agenda politica indicata dagli italiani. Qualche esempio: la maggioranza degli italiani è per il blocco dell’immigrazione; e cosa faranno Conte e Zingaretti?
Devitalizzeranno il decreto sicurezza. Gli italiani chiedono il taglio radicale delle tasse? E i giallo-rossi sono già pronti ad aggredire il patrimonio delle famiglie (non delle grandi rendite finanziarie) dietro l’ossessione livellatrice e redistributiva. Per non parlare dei temi eticamente sensibili, dove – tra adozioni gay e presunta lotta alla discriminazione – l’esecutivo che si presenta si candida a superare in ingegneria sociale persino il peggiore, quello di Zapatero.
Come se non bastasse, infine, c’è un “padre nobile” di questo inciucio il cui ritorno in scena fa tremare i polsi: non è Matteo Renzi, quello è la serpe in seno. Leggete. Come ha spiegato ancora Meloni, «una delle ragioni per le quali vogliono impedire che si vada a votare, impedire che Fdi vinca le elezioni, che la Lega vinca le elezioni, è che la prossima legislatura dovrebbe essere quella che elegge il nuovo Presidente della Repubblica». E qual è il nome a cui il «governo di svolta» sta lavorando? Certo che è lui: Romano Prodi. Quello che «ha svenduto tutto lo svendibile dell’Italia dall’Iri in poi, il responsabile del nostro ingresso nell’euro alle condizioni in cui ci siamo entrati…».
Insomma, grazie alla rapida conversione del M5s, “l’apriscatole” che è diventato il “tonno” comodissimo dentro la scatoletta di palazzo Chigi, il patto della poltrona sta partorendo il sesto affronto consecutivo alla sovranità del popolo. Un motivo più che sufficiente, dunque, per chiedere agli italiani di portare in piazza l’unico «No» rappresentativo della propria volontà.