Il Governo non cada nella trappola della propaganda rossa

Il Governo guidato da Giorgia Meloni può contare su numeri, credibilità e coesione: fattori di cui l’opposizione dispone in misura inversamente proporzionale, eppure da alcuni giorni la maggioranza vive una sorta di sindrome d’accerchiamento dovuta al clima da caccia alle streghe che i media mainstream stanno alimentando in modo del tutto strumentale.

Certo, per le persone chiamate in causa non è assolutamente semplice vivere le torture del tritacarne mediatico, in special modo se riguardano la sfera familiare, ma occorre avere la lucidità per comprendere che è solo… rumore. Si tratta di un concetto che sta alla base della comunicazione, espresso benissimo da una famosa frase di Henry Ford: «le anatre depongono le uova in silenzio. Le galline invece starnazzano come impazzite. Qual è la conseguenza? Tutto il mondo mangia uova di gallina».

In buona sostanza, facendo più rumore è possibile far sì che il proprio messaggio attecchisca. Quello dell’informazione utilizzata come strumento di manipolazione è un tema che abbiamo toccato qualche giorno fa nell’intervista a Marcello Foa, che ha spiegato come l’obiettivo dei gruppi di pressione «non è tanto di condizionare il singolo giornalista ma l’insieme dei media e dunque di imporre un “frame” ovvero un quadro interpretativo sui singoli argomenti che diventa dominante marginalizzando visioni e interpretazioni differenti».

Badate bene, si tratta di tecniche che vengono utilizzate a tutte le latitudini e che nascono ben prima del web, di cui io stesso mi sono occupato in diverse pubblicazioni, compresa l’ultima (Tu sei il messaggio – Il pensiero conservatore nell’era degli algoritmi, ndr) in cui spiego come i nuovi media sono utilizzati da chi li possiede per orientare ogni nostra decisione e, molto spesso, per condizionare il contesto democratico e limitare la libertà di parola imponendo i dettami del pensiero unico.

Scenario nel quale i radical chic e gli pseudo-addetti all’informazione che li fiancheggiano stanno attuando una strategia precisa, che si basa su di un principio che, da Stalin al Soccorso Rosso, ha caratterizzato pressoché tutti i modelli comunicativi della sinistra: la delegittimazione dell’avversario.

Senza scomodare baffone, possiamo citare l’attivista statunitense Saul Alinsky – nome che ai più non dirà nulla, ma che è tra i veri e propri maître à penser della sinistra woke – che, nel suo libro intitolato Rules for Radicals, afferma che «prima che gli uomini possano agire si deve polarizzare un argomento. Gli uomini agiranno quando saranno convinti che la loro causa è al 100 per cento dalla parte dei buoni e che l’opposizione è al 100 per cento dalla parte dei cattivi».

Ora, è del tutto evidente che, dal punto di vista mediatico, i rapporti di forza siano oggettivamente impari a favore della sinistra; per farvi un’idea delle proporzioni, considerate che nel 2016 il 95% dei media americani (quindi giornali, televisioni e radio) dichiarò apertamente di sostenere Hillary Clinton.

Allora Donald Trump riuscì a vincere proprio perché comprese prima di chiunque altro che avrebbe dovuto combattere una battaglia asimmetrica, così sfruttò la sua enorme fanbase (follower sui diversi social, nda) per imporre una comunicazione di tipo orizzontale: attraverso i social parlava direttamente ai suoi sostenitori bypassando i media tradizionali, che erano comunque costretti a dare spazio ai suoi contenuti così come lui li pubblicava. Ergo, per avere visibilità non necessitava di essere intervistato dalla CNN o dal New York Times, gli bastavano i suoi canali, attraverso i quali imponeva la propria narrazione.

Strategia, quella di Trump, che pur essendosi evoluta (oggi è proprietario di Truth, il suo social media) parte da un principio fondamentale che ha caratterizzato tutta la sua strategia di personal branding, sin dagli anni ’80: infischiarsene del rumore. Pensateci: se gli americani dovessero basare il giudizio che hanno di lui su come lo dipingono i media mainstream oggi sarebbe un reietto, eppure è in piena corsa per un clamoroso ritorno alla Casa Bianca.

Tratto che lo accomuna solo in parte a Berlusconi, che ha sì anch’egli combattuto come un leone rialzandosi ogni volta che lo davano per finito, ma avendo oggettivamente meno confidenza con i nuovi media rispetto all’ex presidente americano, che invece ha saputo farne il proprio punto di forza mentre tutti i media tradizionali gli remavano contro.

Ora sarà fondamentale che Giorgia Meloni ed il suo Governo escano dall’angolo e comincino ad imporre la loro narrazione. I media mainstream aprono tutti i giorni con i processi fatti in piazza (e su questo punto, oltre che delle procure che fanno uscire certi documenti su indagini in corso, dovremmo preoccuparci anche di chi li pubblica trasformandoli in clava politica) e polemiche strumentali? La maggioranza – se è il caso – si limiti a rispondere una volta e vada immediatamente oltre, poiché ogni dichiarazione superflua non fa altro che dare forza alla narrazione che la sinistra tenta di imporre.

Ieri era il fascismo, oggi i processi sui giornali e domani sarà qualcos’altro: per contrastare la campagna di delegittimazione messa in atto da una sinistra priva di argomenti seri, occorre toglierle energia. Volendo utilizzare una metafora è un po’ come avveniva con i mostri di alcuni film horror degli anni ’80: quando il protagonista gli voltava le spalle perché capiva di essere lui stesso a dargli energia con le sue paure, il mostro spariva.

Questo è il momento, per il Governo, di voltare le spalle alle polemiche strumentali, scrollarsi di dosso i relativi timori e parlare di questioni concrete alle persone a cui più di chiunque altro deve rendere conto del proprio operato: gli italiani.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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