Il lato oscuro della “green” economy – i piccoli minatori di Coltan

Nella prima immagine siamo in Congo. Giovani africani si infilano ogni giorno in un cunicolo sotterraneo dove si respira a fatica, la temperatura è altissima e si sta con l’acqua fino alle ginocchia. Armati di martello e scalpello cercano nella roccia delle pietruzze di COLTAN. Lavorano 10 ore al giorno tutti i giorni, non per guadagnare ma per sopravvivere. Quando sono fortunati guadagnano 50 euro al mese.

File:SRSG visits coltan mine in Rubaya (13406579753).jpg - Wikimedia Commons
Miniere di Coltan in Congo

Davvero poche persone sanno cos’è il coltan, eppure tutti oggi ne fanno un uso enorme. Il Coltan è un metallo raro presente in ogni smartphone, in ogni tablet, in ogni computer, in ogni apparecchio elettronico. Senza il Coltan non esisterebbe alcuna “era digitale”, nessuna “smart city”, nessuna transizione “verde”.

Questo materiale così prezioso, così indispensabile per la nostra epoca, è un metallo raro. Nel Congo è concentrata circa l’80% dell’esistenza di Coltan dell’intero pianeta.
Il processo di estrazione del materiale grezzo è fatto con metodi medioevali, sfruttando esseri umani come bestie da soma. Il processo di raffinazione invece consiste nel trattare il metallo raro con agenti chimici altamente tossici ed inquinanti.
Le fabbriche dove viene trattato e trasformato il Coltan per produrre i componenti elettronici producono scorie che inquinano terre e fiumi, fino a comprometterne la vegetazione e addirittura la presenza umana.
Il Coltan trasformato viene poi assemblato da aziende cinesi che producono materiali e componenti elettronici. Così nascono gli iphone, gli smartphone della samsung, huawei, xiaomi. Su questi apparecchi made in China le big tech fanno girare i loro software: google, facebook, amazon, whatsapp, instagram e così via.

Utilizziamo cellulari e computer per ore e ore, tutti i giorni dell’anno. Senza sosta. Esattamente come senza sosta lavorano i ragazzini congolesi per estrarre il Coltan.

File:Electronic waste at Agbogbloshie, Ghana.jpg - Wikimedia Commons
Rifiuti elettronici nella discarica di Agbogbloshie
Nella seconda foto invece siamo in Ghana, nella discarica di rifiuti elettronici di Agbogbloshie. Ce ne sono tantissimi di discariche di “e-waste” in Africa, ma quella di Agbogbloshie è la più grande del mondo. Qui finisce il ciclo vitale del Coltan: estratto in Africa, trasformato in Cina, consumato in occidente fino ad essere rispedito in Africa sotto forma di rifiuto non smaltibile.
Il disastro ambientale e i processi di sfruttamento che si nascondono dietro all’era digitale, rappresentano il lato oscuro della tanto decantata “transizione verde”. Quella che servirebbe a salvare il mondo dai cambiamenti climatici. Quella su cui stanno puntando tantissimo gli USA di Biden e l’Europa della Merkel. Via il petrolio che inquina! Spazio alle energie verdi!
Pannelli solari, pale eoliche, batterie per mezzi meccanici, reti elettriche intelligenti e tutti i computer e i relativi software della cosidetta “green economy”, sono parti di un edificio che ha le fondamenta piene di sangue.
No, non sentieremo mai parlare Greta e i gretini di questi vergognosi scandali, del lato oscuro della transizione verde che piace ai potenti. E so bene che questo post è pubblicato e pubblicabile solo grazie agli strumenti e al paradigma che ho provato a descrivere. Ma credo sia giusto che la nostra civiltà, sempre più tesa ad erigere “totem” da idolatrare, prenda coscienza di cosa è diventato il mondo.
Quando sentite parlare di Green Economy e di energia “pulita”, ricordatevi dei bambini del Congo.
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