C’è Natale e Natale. C’è il Natale che abbiamo la fortuna di festeggiare noi, la nascita di Cristo, figlio di Dio che scende in terra per portare la luce a noi peccatori: è il vero Natale, quello di un bambino che nasce in una mangiatoia predicando il bene per il mondo. C’è poi il Natale dei regali, non meno tradizionale, più vuoto di contenuti, dedito alle varie simbologie moderne, da Babbo Natale all’albero addobbato, che comunque unendosi al primo riesce a creare un’atmosfera di condivisione e di valori che è unica e irripetibile. Credere e partecipare a quei valori è ciò che più ci lega e ci ispira al bene.
C’è però il Natale dimenticato, il Natale degli ultimi ai quali soprattutto Cristo si è rivolto nascendo nella semplicità di una stalla, su un letto di fieno. Il Natale di chi non può festeggiarlo, di chi è ancora vittima di persecuzione. I cristiani incolpati di non nascondere la propria fede sono ancora tantissimi, in tutto il mondo, e spesso è flebile la voce di chi vorrebbe e, anzi, dovrebbe difenderli. Ancora tanti i “fronti” (termine forte ma efficace) aperti in giro per il globo: in Siria, ad esempio, dove fin dai tempi dell’Isis i cristiani vengono messi alle strette da una stringente persecuzione che distrugge chiese e infligge loro torture di ogni genere. Succede questo anche in Ucraina, sotto i colpi dell’invasione russa, dove Putin mira a distruggere l’identità del Paese anche colpendo le sue tradizioni religiose, pur condividendo con Mosca gran parte della cultura e la stessa religione ortodossa. Cosa non si fa per le mire espansionistiche dello zar. E ancora l’ingerenza del Partito Comunista nella religione cristiana in Cina, dove la propaganda porta numerosi danni ai cristiani cinesi: dalla revisione dei testi sacri in ottica propagandistica alla nomina di vescovi fedeli al regime, fino all’abbattimento di chiese e crocifissi. L’allarme l’ha lanciato chiaramente dalla pagine del Giornale Mike Pompeo, ex segretario di Stato degli Stati Uniti, con due messaggi positivi. Il primo riguarda il governo italiano: “La premier italiana Meloni ha già svolto un grande lavoro a sostegno delle comunità cristiane in Siria, in particolare dopo che un terribile terremoto ha distrutto e destabilizzato molte di esse lo scorso anno. Spero che questo buon lavoro continui insieme agli Stati Uniti, indipendentemente dalla forma che assumerà il prossimo governo”. Il secondo è un messaggio di speranza per il futuro: “Il Natale ci insegna che c’è sempre speranza”.
Ecco, allora, che affermare con forza le radici cristiane delle festività natalizie è un dovere per i credenti ma anche per chi, pur definendosi ateo, appartiene a un mondo occidentale che dall’esterno e, troppo spesso, dall’interno viene indebolito. Dire “buon Natale”, al posto di “buone feste” o del “season greetings” che l’Unione europea, fino a qualche tempo fa, voleva imporre agli europarlamentari, non è soltanto una scelta semantica, ma un modo per dire che il Natale nasce e resta cristiano. E lo dobbiamo, per i valori che esso ci trasmette, a chi il Natale non può festeggiarlo. Qui da noi e in giro per il mondo.