Vogliono importare il patriarcato che annunciano di voler combattere. Con l’avvicinarsi del 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, il dibattito è tornato a focalizzarsi – e non a ragione – sul tema del patriarcato, quel presunto mostro che ucciderebbe centinaia di donne all’anno ma che in Italia è scomparso, se è possibile datare un fenomeno sociale, nel 1975 (ma in molti casi anche prima) con la riforma del diritto di famiglia. Mostro che invece è presente, ancora oggi, convintamente radicato, nelle società dalle quali la sinistra si affanna ad accogliere membri. E gli effetti, negativi, si fanno sentire e si palesano nei dati. Se la popolazione straniera in Italia si ferma all’8,7%, una percentuale assai più alta rispecchia l’incidenza degli stranieri nelle violenze e nei crimini. Una percentuale non tale da superare algebricamente i reati degli italiani in Italia, ma che comunque rimarca uno squilibrio sostanziale: i migranti, in percentuale, delinquono più degli italiani.
Le culture che importiamo
Il vero problema è che soprattutto in questi casi le violenze nascono da una forma mentis che mal si concilia ormai con la società occidentale quale siamo. Nel libro-inchiesta della giornalista de Il Giornale Francesca Galici, L’invasione, l’autrice ha avuto modo di presentare alcuni fatti che confermano un tale segreto di Pulcinella: si accettano, quale normale prassi, gli stupri delle donne da parte degli scafisti come prezzo da pagare per attraversare il Mediterraneo; si privilegiano le donne incinte da far salire sui barconi solo per attirare maggiore attenzione da parte delle autorità per il salvataggio in mare; nelle chat dei migranti circolano foto e video fatti di nascosto a ragazze e ragazzine italiane, inviando il messaggio che queste sarebbero pronte a sposarli, ad accoglierli e a mantenerli. Mercificazione, stupri, matrimoni forzati e combinati: ecco le “risorse” che importiamo.
L’ipocrisia dei progressisti che urlano al patriarcato passa anche per la solidarizzazione con chi protesta in favore di Hamas e di Hezbollah, in favore della sharia e del Corano. In favore, in pratica, di chi rivendica i veli per le donne, di chi vede la donna soltanto come un oggetto. Una concezione radicata nella loro forma mentis. Da un lato, dunque, la sinistra vuole combattere il patriarcato presunto della società italiana. Dall’altro, invece, finge di non vedere il patriarcato vero, quello ancora applicato, quello che continua a fare danni e che, parlano i numeri, potrebbe fare più danni di quanti i buonisti possano immaginare.
Non ditelo alle pseudo-femministe
Non ha senso la criminalizzazione dell’uomo bianco: a cadenza annuale, l’italiano medio è costretto a subire un processo parziario da pseudo-esperti delle violenze di genere. Il problema c’è e va affrontato, ma non va cercato in un patriarcato inesistente. Va cercato piuttosto in uomini a cui dà fastidio sentirsi dire di no, uomini che desidererebbero il “tutto e subito”, imposto dalla società, anche nelle relazioni affettive. Va cercato in insignificanti omuncoli che soffocano la donna in preda a una predominanza soltanto fisica frammista a una pochezza mentale. Va cercato nel patriarcato, ma non quello italiano, morto da più di mezzo secolo.
Il messaggio d far passare, insomma, non è soltanto che non condannare e combattere la grettezza di certi migranti immersi nella loro forma mentis ideologica e islamista radicale potrà portare a problemi nella nostra società nel lungo periodo. Se c’è un problema di violenze di genere, il fattore delle culture straniere, almeno attualmente, è solo uno dei tanti fattori che gravano sul numero annuale di vittime. Il vero messaggio è che il buonismo non porterà da nessuna parte, non frutterà nessun risultato positivo perché continua a non avere senso criminalizzare gli uomini di tutta Italia quando si favoriscono quelle culture che mercificano e oggettificano le donne. Non ditelo alle pseudo-femministe.