Siamo allo scontro aperto, ai veti incrociati sulle nomine dei vicepresidente esecutivi della Commissione europea. Dopo la chiusura delle audizioni nelle varie commissioni competenti e una giornata di alta tensione tra i vari gruppi, è arrivata la sentenza dei socialisti: “Raffaele Fitto non avrà i voti dei socialisti, in nessun caso: non è un problema con lui o con l’Italia ma con la destra estrema. Il Ppe ha rotto il patto, se vogliono votare Fitto con un’altra maggioranza lo facciano”.
Meloni tuona: “Questa è la sinistra”
E scoppia subito il caso politico perché all’interno del gruppo dei socialisti, a ricoprire la maggioranza relativa è il Partito democratico, la delegazione più numerosa, che in pratica ha detto no al commissario designato da Giorgia Meloni e da Ursula von der Leyen. Un no che conta soprattutto come no alla Nazione: “L’Italia, secondo loro, non merita di avere una vicepresidenza della Commissione. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra” ha tuonato sui social in tarda serata la stessa Giorgia Meloni. Il Pd, a dire il vero, sembrava a un certo punto persino propenso (forse soltanto per ripulirsi la faccia) ad aprirsi a Fitto, ma poi la decisione per fare gli interessi del proprio gruppo è stata diametralmente opposta, un’offensiva contro gli italiani. “Così Meloni sbaglia gioco, e utilizza a fini interni una situazione pericolosa per l’Ue”, dice Pina Picierno, eurodeputata del Pd nel totale silenzio della sua segretaria, Elly Schlein. Ma Nicola Procaccini, co-presidente di Ecr, gruppo dei Conservatori europei nel quale milita anche Fratelli d’Italia, è stato chiaro in un’intervista al Corriere della Sera: “Ci aspettiamo che” i dem “non danneggino il nostro Paese. Se, come siamo certi, Fitto otterrà la vicepresidenza esecutiva, avrà sotto il suo controllo i commissari di Pesca, Agricoltura, Trasporti, Infrastrutture, Turismo, Housing sociale: conviene o no all’Italia?”. Avevano detto che avrebbero deciso come comportarsi soltanto dopo aver ascoltato l’audizione di Fitto. Ma, nonostante l’ottima figura fatta dal pugliese in commissione, è arrivato il no, “una posizione di una gravità enorme. Nemmeno gli spagnoli del Ppe sono arrivati a chiedere di non avere una vicepresidenza, hanno solo detto che la Ribera è inadeguata, dopo i fatti di Valencia”.
Il nodo Ribera: il Pd preferisce gli interessi dei socialisti a quelli italiani
Teresa Ribera è l’altro, forse l’unico ago della bilancia. È il braccio destro del premier iberico e socialista Pedro Sanchez. La frattura si è aperta con i popolari, che non vorrebbero affatto Ribera, in patria ministro dell’Ambiente, come vicepresidente con delega alla transizione verde. Anche perché Ribera, incaricata alla gestione dei corsi d’acqua, è ora in un turbinio di critiche per la cattiva gestione del territorio, ritenuta una delle maggiori responsabili del disastro di Valencia, dove decine di persone hanno perso la vita nella tragica alluvione. Questo è il punto: i popolari spagnoli reputano inadeguata Ribera e, per tutta risposta, i socialisti mettono il veto sull’unico uomo di Ecr, quello più a destra, temendo la virata dell’Unione, appunto, verso destra. Come se il voto dei cittadini non fosse già stato abbastanza chiaro. E il Pd si accoda senza fiatare, forse principale motore di questa strategia. Ragionamento che comunque non regge, perché sui commissari si decide in base al Paese rappresentato, e non in base all’appartenenza politica. “La presidente” Ursula von der Leyen “deve tener contro dell’equilibrio tra i vari governi nazionali, non può andare controcorrente rispetto alle opinioni pubbliche europee” ha spiegato Procaccini.
Un comportamento irresponsabile
Tutto ancora in stallo, dunque. A fine novembre si voterà di nuovo per la Commissione nella sua formazione. Ovviamente, ogni gruppo deciderà la sua posizione, ma l’interesse italiano non deve essere dimenticato. “Le istituzioni europee sono indipendenti tra loro – ha aggiunto Procaccini – e noi siamo stati favorevoli a tutti i commissari perché rispettiamo le prerogative degli Stati membri”. Ma se il sì dell’Eurocamera non arriverà, la nuova Commissione non riuscirebbe a salire in carica entro l’anno, con invitabile slittamento al 2025. Di conseguenza, l’Europa sarebbe di nuovo in ritardo in fatto di posizionamento geopolitico, specie dopo il voto americano e la vittoria di Trump. È il peso dell’irresponsabilità.