Garantire il diritto a non emigrare. Così potrebbe essere sintetizzata l’obiettivo ultimo tracciata dall’Italia con Giorgia Meloni in termini di gestione del fenomeno migratorio.
Un obiettivo che, a quanto pare, è divenuto prioritario e perseguito dagli altri leader europei. E non solo.
Ed è esattamente su questo versante che si inserisce il Protocollo Italia-Albania, il cui ‘caso’ in queste ultime ore sta circolando di testata in testata. In particolare, ciò che preme la stampa è rappresentare come, con l’anno nuovo, si giungerà anche alla apertura dei centri su territorio albanese. Tutto ciò, condito dall’aggiunta di una sentenza della Corte di Cassazione che “pare aver dato ragione al Governo”, come dichiarato dalla stessa Giorgia Meloni.
Il contenuto del Protocollo Italia-Albania
Ma per capire bene di cosa stiamo parlando, dobbiamo tornare indietro di circa un anno. Nello specifico, al 6 novembre 2023, data in cui è stato per l’appunto firmato il Protocollo in questione, ratificato lo scorso febbraio 2024, composto da 14 articoli e due allegati
Nel testo, si legge chiaramente che le due nazioni si impegnano per “rafforzare la cooperazione bilaterale tra le parti in materia di gestione dei flussi migratori provenienti da paesi terzi, in conformità al diritto internazionale ed europeo”.
Un obiettivo che è condiviso e importante, non solamente per le due parti coinvolte, ma per l’intero continente europeo. Il tutto, sempre e soprattutto nel rispetto della normativa vigente a livello UE e internazionale. Il che evidenzia, ancora una volta, come le decisioni di questo Governo siano ben lungi dall’infrangere qualsiasi tipo di regola. Anzi, appare evidente che l’azione italiana sia volta al rispetto e al riguardo di quanto stabilito dal legislatore. Senza se e senza ma.
Sempre nello stesso documento si rinviene anche che entrambi i Paesi si impegnano vicendevolmente sulla questione ‘sicurezza’, attraverso una collaborazione tra le autorità, istituendo altresì “un’unità responsabile del buon andamento, del coordinamento e della supervisione delle questioni di sicurezza”.
Con tale atto, dunque, sintetizzando, l’Albania riconosce all’Italia il diritto all’utilizzo – secondo i criteri stabiliti dal Protocollo – di determinate aree, concesse a titolo gratuito per la durata del Protocollo, destinate alla realizzazione di strutture per effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio dei migranti non aventi diritto all’ingresso e alla permanenza nel territorio italiano. Infine, prevedere anche alcune norme di coordinamento con l’ordinamento interno.
E proprio ieri-23 dicembre- si è tornati a parlare a Palazzo Chigi della attuazione di tale collaborazione, con un vertice a cui, insieme al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, hanno partecipato il Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Antonio Tajani, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il Ministro della Difesa Guido Crosetto, il Ministro per gli Affari europei, il PNRR e le Politiche di coesione Tommaso Foti e il Sottosegretario Alfredo Mantovano, autorità delegata per i servizi di sicurezza.
L’incontro è stata occasione per ribadire la ferma intenzione di “continuare a lavorare, insieme ai partner Ue e in linea con le Conclusioni del Consiglio europeo dello scorso 19 dicembre, sulle cosiddette soluzioni innovative al fenomeno migratorio.”
L’azione italiana diviene modello e concepisce un modo nuovo di guardare alle sfide del XXI secolo
Analizzando l’accordo italo-albanese appare evidente che quanto contenuto in tale documento si inserisce in maniera coerente all’interno di un’azione ben più ampia e lungimirante perseguita fin qui dall’esecutivo a guida Fratelli d’Italia. Un’azione che pone al centro quel famoso diritto a non emigrare, pilastro della politica per il contenimento e la gestione dei flussi migratori posta in essere dall’odierno governo italiano.
Quando perciò le varie testate corrono a mettere in prima pagina la gestione dei centri in Albania, in realtà dovrebbero anche ricordare che non si parla solo ed esclusivamente della attuazione di un unico e specifico Protocollo tra due Paesi. Ma si tratta di qualcosa di ben più grande e ben più significativo di quello che i giornali riportano da un punto di vista cronistico.
L’apertura di questi centri è, infatti, la rappresentazione di un nuovo modello italiano a cui guardare per gestire l’annoso problema della immigrazione legale. Un modello che vuole porre al centro l’essere umano, sconfiggendo tutti quei criminali e trafficanti di vite umane, che sono i veri responsabili delle tragedie di cui si sente parlare ogni giorno. Un modello, soprattutto, di cui il nostro Paese si è fatto primo promotore grazie anche alle capacità politico-diplomatiche di Giorgia Meloni.
Ed ecco quindi che la messa in atto di quanto contenuto nel Protocollo Italia-Albania raffigura un tassello cruciale di quel puzzle che l’Italia sta componendo a livello sovranazionale e che ha come scopo ultimo quello di sciogliere-finalmente- uno dei nodi più intricati e complessi degli ultimi decenni. E che, siamo certi, non potrà che portare a risultati positivi e consistenti in questo nuovo anno.