Il regime venezuelano di Nicolas Maduro, che ormai è un dittatore conclamato e non più il presidente di una democrazia, dopo aver preteso di imporre una vittoria elettorale messa in discussione da quasi tutti, in Venezuela e all’estero, e continuando a non pubblicare i registri del voto, che potrebbero dimostrare la veridicità o meno della riconferma alla presidenza del successore di Hugo Chavez, prosegue in una terribile repressione del dissenso degna delle peggiori tirannie. Maduro avrebbe aperto alla mediazione proposta da Brasile, Colombia e Messico, ma in maniera molto vaga, sostenendo di rispettare profondamente i governi di queste tre Nazioni latinoamericane e di voler parlare con i loro presidenti al momento giusto, senza però indicare date precise. A dire il vero, anche la sostanza del compromesso brasiliano, colombiano e messicano rimane piuttosto approssimativa. Certo, come l’Italia e l’Europa, anche Brasile, Colombia e Messico chiedono a Maduro di presentare i verbali elettorali, ma questi tre grandi Paesi dell’America Latina sono tutti governati al momento da presidenti di sinistra, poco moderati e assai ideologizzati, dimostratisi finora abbastanza indulgenti dinanzi alle degenerazioni violente dei socialisti bolivariani di Caracas. A Brasilia c’è il noto Luiz Inacio Lula da Silva, che in Italia ricordiamo bene per avere concesso una scandalosa protezione al terrorista rosso Cesare Battisti, a Bogotà governa Gustavo Petro, un ex guerrigliero di estrema sinistra che, fra i primi atti da presidente, ha ripristinato le relazioni diplomatiche fra il suo Paese e proprio il Venezuela di Nicolas Maduro, infine, a Città del Messico troviamo Andres Manuel Lopez Obrador, soprannominato AMLO, fondatore del partito di sinistra Morena, il quale, nella crisi istituzionale venezuelana concretizzatasi dallo scontro fra il Capo dello Stato Maduro e il presidente dell’Assemblea nazionale Juan Guaido’, ha appoggiato palesemente il primo. Affinché una mediazione spinta da Paesi vicini possa essere credibile servirebbe almeno, se non gli Stati Uniti o l’Europa, qualche altro leader latinoamericano di diverso colore politico. Il presidente di Panama, José Raul Mulino, ha offerto asilo politico a Nicolas Maduro e alla sua famiglia, se questo può essere utile alla transizione democratica in Venezuela con garanzie di salvacondotto per Maduro, come chiede anche la leader della opposizione a Caracas, Maria Corina Machado. Per il Capo di Stato panamense si tratta di un sacrificio, (Mulino è un conservatore e potrebbe perdere il consenso di molti suoi elettori di destra, magari non entusiasti di aprire le porte ad un dittatore comunista), ma si cerca la via più indolore possibile per mettere fine al dramma venezuelano. Gli Stati Uniti stanno tenendo una serie di colloqui segreti per convincere Maduro a lasciare il potere in cambio della concessione della grazia da parte americana. Sul presidente bolivariano pendono incriminazioni provenienti dal dipartimento di Giustizia USA e nel 2020 Washington ha istituito una ricompensa di 15 milioni di dollari per informazioni utili all’arresto di Nicolas Maduro. Quest’ultimo ha comunque risposto al suo omologo panamense in modo sprezzante, rifiutando l’offerta di asilo politico da parte di un presidente, queste sono state le parole di Maduro, eletto da una minoranza di destra. Il figlio ideologico di Hugo Chavez, rivelatosi assai peggiore del proprio babbo, non accetta di ragionare in nessun modo e porta avanti un brutale tentativo di annientamento degli oppositori, che sta facendo preoccupare tutto il mondo. X è stato oscurato per impedire agli oppositori di avere visibilità sui social e scambiare contenuti con la cittadinanza. Un deputato venezuelano di opposizione Williams Davila è stato arrestato subito dopo aver concesso un’intervista all’agenzia italiana Adnkronos in cui il parlamentare si è appellato al Governo Meloni per sostenere la richiesta di trasparenza nel processo elettorale. Come dichiara il figlio, di Davila non si sa più niente e la Procura non riceve nemmeno le denunce presentate dai familiari circa la sua scomparsa. Il deputato di Fratelli d’Italia eletto all’estero Andrea Di Giuseppe sta portando a conoscenza della opinione pubblica anzitutto italiana e internazionale la realtà angosciante del Venezuela odierno di Maduro che può persino peggiorare nei prossimi giorni. Il rappresentante di FdI riceve appelli, segnalazioni e richieste di aiuto sempre più pressanti dagli italo-venezuelani, la comunità italiana in Venezuela è il 30 per cento della popolazione totale, e si tratta sia di cittadini comuni, magari colpevoli soltanto di aver pubblicato un post sui social a favore degli anti-Maduro, che di persone impegnate politicamente nei partiti di opposizione, tutti presi di mira dai servizi segreti bolivariani. Durante le retate di massa che hanno portato all’arresto di più di duemila persone, avvenute dopo le manifestazioni a favore del candidato presidente della opposizione Edmundo Gonzalez Urrutia, molti sono scomparsi nel nulla ed altri sono stati condotti in carceri che sono in realtà centri di tortura. In particolare, l’onorevole Di Giuseppe sta seguendo il caso di Americo Giuseppe de Grazia Veltri, politico italo-venezuelano rinchiuso in una prigione denominata El Helicoide, uno dei peggiori posti, assicura il deputato di Fratelli d’Italia che conosce bene quell’angolo di mondo, in cui ci si possa trovare in Venezuela. Ma la lista degli italiani spariti o detenuti purtroppo non si ferma solo a de Grazia Veltri e i numeri cambiano di giorno in giorno. Manca all’appello anche l’italiano Antonio Calvino, uscito di casa a Caracas per raggiungere una riunione di connazionali alla quale non si è mai presentato. Andrea Di Giuseppe segnala come il regime di Nicolas Maduro sia più pericoloso di quello di Hugo Chavez perché, oltre alla ideologia socialista bolivariana, si sono stretti attorno alla dittatura rossa gli interessi dei narcotrafficanti, quindi, si uccide e si tortura senza pietà pur di conservare potere e privilegi.