Secondo un’analisi del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), l’aumento globale della spesa per gli armamenti è aumentata di gran lunga a livello globale: secondo l’indagine è possibile denotare il 6,8% in più dal 2022, ricoprendo il 2,3% del PIL globale. I paesi che hanno investito maggiormente sul settore militari sono proprio quelli europei e occidentali in generale.
Il primato negli acquisti è stato raggiunto dagli Stati Uniti d’America, che hanno investito 860 miliardi, mentre la spesa totale dei paesi membri della NATO si aggira intorno ai 1.260 miliardi di euro, ossia il 55% del totale globale.
È piuttosto evidente – come già analizzato dagli esperti del SIPRI – che il picco delle acquisizioni militari sia in realtà dovuta anche alla delicata situazione tra Ucraina e Russia, che ha sconvolto gli equilibri occidentali, riportando in auge una “Cortina di ferro”: sembra quasi che gli acquisti e le ricerche in ambito militare, riportino il terzo millennio indietro nel tempo, verso un famigerato periodo storico del secolo breve, noto con il nome di Guerra Fredda.
La Russia attualmente risulta come terzo investitore a livello mondiale, con 102 miliardi di euro, numeri che in realtà non stupiscono, ma il suo avversario sembra aver preso delle contromisure piuttosto corpose: l’Ucraina è infatti l’ottavo paese al mondo per investimenti militari a livello mondiale, una crescita esponenziale che super i 60 miliardi( un terzo del PIL nazionale). Bisogna però anche prendere in considerazione la quantità di aiuti militari ricevuti dai Partner occidentali, da sempre impegnati per difendere il celebre confine europeo dall’invasione architettata dal Cremlino.
L’effetto economico-militare di cui sopra, ha colpito generalmente tutto il mondo: anche in Asia e Medio Oriente gli effetti sembrano farsi sentire, vuoi probabilmente per una preparazione all’escalation che potrebbe colpire da un momento all’altro, tenendo conto della quantità di conflitti che ultimamente si stanno verificando sulla superficie terrestre.
Il primo paese orientale con il maggior numero di investimenti, è la Cina con all’incirca 278 miliardi di euro, che senza dubbio ha una quantità di capitali non indifferenti da destinare al rafforzamento del settore militare. Parallelamente, sempre nella regione orientale, Taiwan ed il Giappone hanno rispettivamente aumentato le proprie spese belliche dell’11%.
Soffermandoci per qualche istante sulla Cina, sono ben chiare le tensioni che si verificano da ormai lungo tempo con lo spazio insulare ed indipendente di Taiwan, il quale affacciandosi sul pacifico, risulta da tempo come una ghiotta occasione per la Repubblica Popolare cinese. La preoccupazione dell’Occidente ed ovviamente anche dei cittadini taiwanesi, è quella che da un momento all’altro la Cina possa avviare una campagna militare per la conquista della “Creta asiatica”: in quel caso gli assetti geopolitici internazionali potrebbero subire un duro contraccolpo, portando definitivamente ad un incremento conflittuale su vasta scala.
Nel frattempo, anche il Mondo arabo ha visto una crescita dei propri impieghi economici in ambito bellico, in parte anche con l’offensiva israeliana su Gaza dopo gli attacchi del 7 ottobre, portando lo Stato ebraico ad aumentare la propria spesa del 24%. D’altro canto l’esempio di Israele è piuttosto importante nello scenario mediorientale, considerando la sua vicinanza ai paesi europei e nordamericani e le difficili relazioni con il resto dei suoi confinanti: basti pensare all’Iran, ad Hamas in Palestina ed al resto delle milizie contrapposte, sparse per il resto del continente arabo.
Anche in America Centrale e nei Caraibi il mercato bellico aumenta le proprie statistiche: la ragione del caso è imputabile principalmente all’obiettivo di fermare le organizzazioni criminali organizzate, che come ben sappiamo proliferano immancabilmente in alcuni territori americani – anche nel Sud – e che talvolta gettano nel Caos l’intera società a causa delle loro scorribande, devastandola parallelamente anche con il narcotraffico.
Variegate le ragioni che coinvolgono gli stati del mondo nella nuova corsa agli armamenti, sebbene nella maggior parte dei casi, gli scopi siano dovuti al rafforzamento della difesa e della sicurezza nazionale, in vista delle nuove crisi conflittuali ormai distese a lungo raggio. L’acquisto di prodotti militari risulta essere un’ulteriore sicurezza per tutelarsi nel caso in cui dovesse scoppiare un terzo conflitto mondiale.
Certamente non c’è da rallegrarsi in un periodo come questo, in cui le visioni escatologiche sembrano presagire tempi cupi, ma d’altra parte l’impegno occidentale sembra avere salde le redini del mondo libero, dimostrando di aver incentivato il proprio impegno per tutelare la civiltà europea e nordamericana.