Nei giorni scorsi ci ha preceduto Maria Romana De Gasperi, primogenita di Alcide. La notizia della sua morte è stata ampiamente trascurata dai media italiani, nonostante la prima delle quattro figlie dello statista trentino sia stata una donna profondamente italiana, di grande cultura civile e politica. A lei si devono eccellenti iniziative dedicate alla memoria del padre e del suo ruolo nazionale e internazionale, indispensabile per la rinascita dell’Italia del secondo dopoguerra e per la promozione di una politica estera e di difesa europea.
Correva l’anno 1954 quando De Gasperi vide svanire il sogno della CED, il grande progetto di una “Comunità Europea di Difesa”. Non poche sono le analogie tra quel contesto storico e il nostro. L’orologio della storia sembra essere tornato indietro e la “nuova guerra fredda” assomiglia molto, troppo, a quei tempi che di lì a poco avrebbero portato alla cortina di ferro, al Muro e alla minaccia atomica.
E in effetti agli anni ‘50 bisogna tornare per rilevare il primo progetto di un esercito europeo e di una politica di difesa comune. Il contesto continentale era segnato dalla Guerra Fredda e dai problemi relativi alla linea difensiva da tracciare contro una temuta invasione sovietica. All’epoca c’era stato l’episodio della Guerra di Corea.
Allora come oggi, l’Europa era profondamente divisa. C’era oltretutto l’aggravante del controllo della Repubblica Federale tedesca, della quale si doveva evitare il riarmo generalizzato e l’eventuale ripresa di spinte egemoniche. E in quello scenario, la Nato, l’organizzazione militare euro-atlantica nata a scopo difensivo, fungeva da “vigile urbano” e garante militare in caso di offensiva russa. Le cose, a quanto pare, non sono cambiate.
La CED doveva rispondere all’esigenza politico-strategica di attivare un meccanismo di difesa dell’Europa (allora soltanto) occidentale dalla minaccia sovietica, nell’ottica di un riarmo progressivo e nella logica di un impegno condiviso con gli americani che avrebbero disposto un distaccamento di forze permanenti sul continente europeo. Gli americani aumentarono in modo consistente la loro presenza militare, nel quadro di una forza alleata integrata di cui avrebbero assunto il comando – inevitabilmente: troppo grande era il divario politico, militare ed economico con gli Stati del Vecchio Continente – ma gli europei dovevano accettare la partecipazione alle forze integrate di dieci divisioni della Germania federale. Il primo ministro francese René Pleven propose un piano che prese il suo nome: in sostanza, si applicava il modello della comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) alla difesa comune europea. E anche qui, il parallelo tra armi e risorse energetiche, è ancora tremendamente attuale.
La CED fallì nel 1954 quando l’assemblea nazionale francese respinse l’approvazione della versione finale del trattato. Un mese dopo, il tema della difesa comune europea fu ripreso con l’ampliamento del Patto di Bruxelles, stretto nel 1948 da Regno Unito, Francia e Benelux (Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo): nacque l’”Unione Europea Occidentale” (UEO), organizzazione a cui aderirono subito anche Italia e Repubblica Federale tedesca.
Arrivarono poi i Trattati di Roma del 1957, la nascita della “Comunità Economica Europea” (CEE) e la CEEA (“Comunità Europea dell’Energia Atomica”) nuclei fondanti del grande mercato comune. La CEEA vedeva impegnati gli Stati nella condivisione di professionisti, di programmi, di investimenti in ricerca. Sembrava il primo passo per una vera integrazione, che da economica poteva aspirare a divenire pienamente politica.
Ma così non fu. E da Maastricht a Lisbona, passando per il Trattato di Amsterdam, tutto è rimasto come prima. La “Politica Estera e di Sicurezza Comune”, la famosa PESC, il vecchio “secondo pilastro” dell’Unione Europea, continua a vacillare. E al suo interno il problema della difesa, dell’esercito e del riarmo, dorme un sonno tutt’altro che tranquillo, vista l’invasione russa dell’Ucraina.
Oggi come allora, l’Europa è attraversata da gravi tensioni. Gli interessi nazionali sono ancora troppo divergenti. Oggi come allora, la minaccia russa ci invita a fare presto. Senza rinunciare alla sovranità, gli Stati devono urgentemente rilanciare la cooperazione militare e riarmare un continente chiamato nuovamente, nel quadro delle sue storiche alleanze internazionali, a difendere le proprie frontiere geografiche, satellitari, aerospaziali e virtuali. Il nemico che viene da Est bussa ancora alle sue porte.