“Noi non abbiamo paura delle idee degli altri”
Grazie, grazie, grazie davvero per questo entusiasmo e grazie ancora di più per queste stupende giornate, che mi hanno resa orgogliosa di guidare la nostra comunità politica. Lo dico con il cuore, e per diverse ragioni. Ne condividerò due con voi. La prima è che si diceva che Fratelli d’Italia non avesse una classe dirigente. Manifestazioni come queste dimostrano esattamente il contrario, e dimostrano la qualità di quella classe dirigente. A tutti quelli che si dilettano a pontificare e a scrivere sul fatto che la Meloni sia da sola, che non abbia intorno a sé persone capaci, ecco una splendida diapositiva di risposta.
E questo mi porta alla seconda ragione per la quale sono orgogliosa della mia comunità politica e di questo evento. Ho visto in questi giorni lo stesso spirito militante e la stessa passione politica di quando eravamo un piccolo partito che combatteva per riuscire a dire la sua. E ora che siamo il primo partito d’Italia, la principale forza di governo, abbiamo ancora voglia di ritrovarci per parlare di programmi, di contenuti, di visione. Abbiamo visto per anni partiti che una volta arrivati al governo smettevano di fare politica, e si dedicavano alla mera gestione del potere. Noi no. Perché a noi non interessa alcun potere che non serva come strumento per migliorare la vita delle persone, e per farlo sappiamo che non dobbiamo smettere mai di elaborare, di metterci in discussione, di confrontarci (e consentitemi di ringraziare le moltissime personalità che hanno accettato l’invito a portare il loro punto di vista in questi tre giorni). Gli incarichi di governo, come il partito, sono solo un mezzo, non sono mai un fine, o almeno non sono mai il nostro fine. Il potere non sarà mai qualcosa a cui guardare con bramosia, ma sempre con diffidenza. L’unica cosa alla quale ci appassioneremo sempre sono i principi nei quali crediamo e la realtà che vogliamo costruire.
Per questo siamo un problema per tanti, perché le idee fanno paura in un questo tempo. Per questo il partito comunista – proprio così, ho scoperto che esiste ancora un partito comunista, tanto per capire dove siano i nostalgici dei regimi totalitari – ha presentato un esposto sulle autorizzazioni a questa manifestazione, e il tribunale di Pescara ha avviato una verifica su tutta la manifestazione. Poco male, siamo persone che fanno le cose perbene, noi.
Quando organizziamo una manifestazione chiediamo le autorizzazioni necessarie, rispettiamo le regole, non sfondiamo i cordoni della polizia, non disturbiamo le manifestazioni degli altri. Noi non abbiamo paura delle idee degli altri, se hanno delle idee. Invece a noi cercano da sempre di tappare la bocca, di impedirci di raccontare le nostre idee e i nostri programmi. Perché così potranno continuare a raccontare menzogne sul nostro conto. Ma non è possibile impedirci di parlare di politica. Abbiamo raccontato le nostre idee anche quando non potevamo permetterci un palco come questo, lo abbiamo fatto quando non avevamo altro che la nostra voce, e sapremmo farlo anche oggi perché siamo ancora le stesse persone. Le idee non ci sono mai mancate, come non ci è mai mancato il coraggio per difenderle, né la determinazione per costruirle.
La scalata europea di Fratelli d’Italia
Mancano poche settimane alla nuova sfida che ci aspetta: le elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Ricordo bene le Europee del 2014. Il nostro partito era nato da poco, aveva eroicamente eletto alla Camera una sparuta pattuglia di deputati a che faceva opposizione al governo di Matteo Renzi. Combattemmo per tutta la campagna elettorale contro sondaggi ostili che scoraggiavano il nostro elettorato, e alla fine mancammo di un niente il quorum del 4%. Una delusione enorme, che però non ci tolse la determinazione.
Cinque anni di battaglie dopo arrivarono le Europee del 2019, e fu tutta un’altra storia. Mettemmo insieme il 6,5% dei consensi, per la prima volta un risultato che ci metteva al riparo dal rischio di non superare le soglie di sbarramento, e di mandare dispersi i voti che venivano dato a Fratelli d’Italia. Fu uno spartiacque per il nostro Movimento. Sapevamo che da quel momento saremmo diventati dei reali protagonisti della vicenda politica italiana, e che quel risultato poteva quindi essere per noi la fine di una lunghissima traversata nel deserto. E andò esattamente così.
Ci avevamo messo 6 anni ad arrivare al 6,5%, e ce ne abbiamo messi tre a trasformare quel sei e mezzo in un ventisei e mezzo, il risultato che nel 2022 ha portato il centrodestra al governo, trascinato proprio dal consenso di Fratelli d’Italia – il movimento dei patrioti italiani, il grande partito dei Conservatori – primo partito d’Italia.
Ho voluto ricordare alcune delle tappe di questo percorso straordinario non per retorico esercizio di auto-compiacimento o auto-esaltazione… no. L’ho voluto fare per ricordare a me stessa e a tutti noi che quello che abbiamo costruito finora non è frutto del caso. Nessuno ci ha confezionato un partito, nessuno ci ha telefonato per proporci di guidare il Governo della Nazione. Ci siamo conquistati ogni centimetro con fatica, studio, sacrificio. Non è stata fortuna, è stata ostinazione. Ma ancor più lo dico per ricordare che quello che ci siamo guadagnati non è un dato acquisito per sempre, occorre continuare a meritarselo. Milioni di italiani si sono affidati a noi perché hanno apprezzato la nostra coerenza, la nostra serietà e la nostra onestà. E hanno scelto noi per guidare l’Italia in uno dei momenti più difficili della storia europea. Fa tremare i polsi, ma noi non possiamo tradire quegli italiani e non lo faremo.
Gli italiani non credono alle menzogne della sinistra
Anche perché quei milioni di italiani si sono rifiutati di credere alle menzogne e alle previsioni apocalittiche della sinistra e dei suoi menestrelli. L’isolamento internazionale, lo sfascio dei conti pubblici, il crollo dei mercati, ce lo ricordiamo bene il campionario di balle spaziali che hanno propagandato in lungo in largo, dentro e fuori i confini nazionali.
Lo hanno fatto prima per provare a evitare la sconfitta elettorale, e poi per provare a ostacolare l’operato del Governo, anche a rischio di danneggiare l’Italia. Non ha funzionato nel primo caso, non sta funzionando nel secondo.
Voi sapete quante energie io abbia speso in questo primo anno e mezzo di governo sui grandi temi della politica estera, a quante decine di incontri e di missioni internazionali abbia partecipato, quando potevo organizzandoli soprattutto durante i fine settimana per non togliere tempo al lavoro da fare qui.
L’ho fatto soprattutto perché sapevo che quella narrazione interessata andava smontata, perché l’avrebbe pagata l’Italia, più di me. In tanti, in giro per il mondo avevano creduto alle mistificazioni create ad arte dai soliti circuiti della sinistra. In tanti all’inizio erano diffidenti. Ma il racconto era così sideralmente lontano dalla realtà che non ci è voluto molto a smontarlo.
L’Italia è tornata
Così un anno e mezzo dopo noi siamo conosciuti per quello che siamo – persone schiette, serie e leali, che rispettano gli impegni quando li prendono ma sanno anche dire di no – e anche chi ci infangava è riconosciuto per ciò che è, un bugiardo che deve mentire per nascondere la sua debolezza.
Un anno e mezzo e tanto tanto lavoro dopo, possiamo così finalmente dire, con tanto orgoglio, che l’Italia è tornata! E’ tornata, protagonista in Europa, in Occidente, nel Mediterraneo, dopo gli anni del servilismo della sinistra e del cerchiobottismo dei cinquestelle.
È tornata l’Italia che rispetta i suoi impegni internazionali, che viene guardata con rispetto perché ha il coraggio di prendere le decisioni giuste, anche quando non sono popolari, come quella di sostenere il popolo ucraino che combatte per la propria libertà e contro l’imperialismo neo-sovietico di Putin. Lo facciamo perché noi non siamo nostalgici dell’unione sovietica, lo facciamo perché siamo convinti che farlo sia nell’interesse nazionale italiano, e lo facciamo soprattutto perché vogliamo la pace, ma la pace si costruisce con la deterrenza, non con le bandierine colorate sventolate in piazza, e neanche con il cinismo di chi scrive nel proprio simbolo la parola “pace” solo per provare a raccattare qualche voto sulla pelle di una Nazione sovrana aggredita, di un popolo martoriato, e sulla pelle della credibilità della Nazione che dice di voler rappresentare.
È tornata l’Italia nel Mediterraneo, ancora meglio nel Mediterraneo allargato, da sempre l’ambito più vicino e naturale della nostra proiezione geopolitica, eppure un ambito incredibilmente dimenticato per molto tempo.
È tornata l’Italia in Africa, ed è stata capace di fare da apripista a un approccio non più predatorio e paternalistico verso le nazioni di questo continente, un approccio al quale ora tutti, grazie a noi, guardano con crescente interesse.
È tornata, l’Italia, nei grandi consessi internazionali, dove sempre di più facciamo valere la nostra voce nelle drammatiche crisi che stiamo vivendo, non rinunciando mai a porre sul tavolo temi sfidanti, come abbiamo fatto e continueremo fare nell’anno della presidenza italiana del G7. Tra qualche settimana accoglieremo i leader in Puglia e quella sarà l’ennesima occasione per ribadire la ritrovata centralità della nostra Nazione sullo scenario globale. Accoglieremo lì anche il Santo Padre, Papa Francesco, che parlerà ai leader nella sessione dedicata all’intelligenza artificiale, la prima volta nella storia di un Pontefice che partecipa al G7. Perché tra le molte sfide enormi che siamo chiamati ad affrontare, c’è anche quella di un’innovazione che per la prima volta nella storia dell’umanità rischia di mettere a repentaglio la centralità dell’uomo. E noi dobbiamo interrogarci su come questo fenomeno si possa governare, cogliendone le opportunità e limitandone i rischi. Insomma, lasciamo che siano altri a parlare di com’era il mondo ottant’anni fa, a noi interessa parlare di come sarà tra ottant’anni, anche grazie a quello che sapremo fare oggi.
È tornata, l’Italia, soprattutto in Europa. Avevamo promesso un’Italia a testa alta, senza complessi di inferiorità, capace di farsi ascoltare e di battersi per vedere riconosciute le proprie buone ragioni. Un’Italia consapevole del suo ruolo di Stato fondatore, della sua storia, della sua arte che è la prima d’Europa, della sua manifattura che è la seconda d’Europa, della sua economia che è la terza d’Europa.
I risultati economici del Governo Meloni
Un’Italia che ha ritrovato, pur in un contesto complesso, la sua stabilità e la sua solidità economica. Tanto che anche gli osservatori più severi sono costretti a prendere atto della ritrovata solidità della nostra economia e della serietà con la quale il nostro Governo sta gestendo i conti pubblici.
Dall’insediamento del nostro governo a oggi lo spread è sceso di oltre 100 punti base, da 236 a 131, tanto perché doveva schizzare a 600 punti nei sogni antinazionali dei nostri detrattori. La borsa fa registrare numeri record, il debito sta tornando nelle mani degli italiani grazie al grande successo di Btp Valore e l’acquisto di titoli italiani registra numeri record anche sui mercati internazionali. Ma è l’andamento del mercato del lavoro quello che mi rende più orgogliosa: in questi mesi gli occupati sono cresciuti di oltre mezzo milione, abbiamo toccato il record di occupazione e di occupazione femminile, i contratti stabili aumentano e la precarietà e la disoccupazione diminuiscono. Non vuol dire che vada tutto bene, ma che le cose vanno meglio di prima, che siamo più credibili di prima, più stabili di prima, più seri di prima, e oggi si guarda all’Italia con interesse e curiosità, e non più con quell’atteggiamento altezzoso che per troppi anni ci era stato riservato.
E’ tornata l’Italia, consapevole della sua forza, e si presenta con una postura radicalmente diversa da quella dei governi di sinistra, rossi, gialli e di ogni colore.
Ma quella forza, quella solidità, quella credibilità che ci vengono riconosciuti hanno un senso e un valore se sappiamo utilizzarli per farci ascoltare, per contribuire a cambiare le cose. Non ci accontentiamo di giocare in difesa dell’Italia, noi vogliamo che l’Italia sia centrale per cambiare quello che non funziona in Europa. Perché sì, questa Italia che cambia, oggi, può cambiare anche l’Europa. Diranno in molti che è impossibile, ma l’ho detto e lo ripeto, impossibile è la parola che usano i pavidi per non dover ammettere di avere paura di tentare. Niente è impossibile per chi ha i piedi piantati a terra e lo sguardo rivolto verso l’alto. L’Italia più cambiare l’Europa e ha già cominciato a farlo.
La nuova visione sull’immigrazione
Lo abbiamo fatto, per esempio, sull’immigrazione. Se oggi l’Unione Europea non parla più di accoglienza indiscriminata, ma parla soprattutto di lotta ai trafficanti di esseri umani, di protezione dei confini esterni, di rimpatri e di accordi con i Paesi terzi per fermare le partenze, di esternalizzazione delle procedure di asilo, di regole più stringenti per le ONG, è grazie a ciò che ha fatto l’Italia da quando noi siamo al Governo.
È nato così, sotto la fortissima spinta del nostro governo, l’accordo tra Ue e Tunisia. E oggi, grazie a questo accordo, le partenze sulla rotta del Mediterraneo centrale sono diminuite del 60% e sono stati arrestati dalle autorità tunisine quasi mille scafisti. Lo stesso modello oggi è in fase di realizzazione anche con l’Egitto, una Nazione fondamentale anche per stabilizzare la Libia.
Poi abbiamo stretto un accordo con Edi Rama, primo ministro albanese socialista, per aprire due centri in Albania, alleggerire la pressione sulle nostre coste e ottenere anche un effetto di dissuasione verso i migranti che vogliono arrivare in Europa. Apriti cielo! Dopo aver fatto di tutto per boicottare gli accordi con Tunisia ed Egitto, la sinistra è arrivata a proporre di cacciare Rama dai socialisti europei perché aveva osato dare la sua disponibilità al nostro governo per aiutare l’Italia. Anziché ringraziarlo per aver agito nel nome della solidarietà europea, lo hanno lapidato. Addirittura, il servizio pubblico italiano, la famosa TeleMeloni, ha confezionato un servizio nel quale in pratica si dipingeva l’intera Albania come un narcostato. Voglio esprimere ancora una volta la mia solidarietà a Edi Rama e a tutto il popolo albanese per queste accuse ingiuste che vengono rivolte solo per attaccare il governo italiano, senza remore e senza limiti.
La verità è che la sinistra non ha alcuna soluzione da proporre sul tema della migrazione. O forse, più semplicemente, non ha il coraggio di dichiarare a chiare lettere che la sua unica soluzione è l’accoglienza indiscriminata di chiunque voglia arrivare illegalmente in Italia e in Europa, con grande soddisfazione di scafisti e criminali che lucrano sui disperati. Ma in entrambi i casi gli rimane solo di tentare di smontare ogni soluzione strutturale che tentiamo di mettere in campo su questo tema. Lo hanno fatto i loro parlamentari in Europa contro l’accordo con la Tunisia e l’Egitto, lo fanno i loro giornalisti in Albania contro i centri che stiamo aprendo, lo fanno alcuni giudici militanti in Italia contro le norme per rimpatriare più velocemente chi non ha diritto a stare in Italia. Ma sia chiaro, tutto questo loro appassionato impegno può al massimo rallentare il nostro lavoro, decisamente non può fermarlo.
Chiaramente sappiamo che alle buone intenzioni finalmente declamate in Europa anche nei documenti ufficiali, dovranno continuare a seguire passi concreti e decisivi e continueremo a batterci per questo. Perché mentre qui la sinistra si nasconde dietro il buonismo dell’accoglienza, le Nazioni Unite dicono che il traffico di esseri umani nel mondo è diventato più redditizio del traffico di armi e sta eguagliando il traffico di droga.
E l’Europa, che con il regno di Danimarca fu la prima al mondo ad abolire la tratta di schiavi nel 1792, non può chiudere gli occhi di fronte al ritorno di quella tratta quasi 250 anni dopo. Porteremo questo tema anche al G7, dove il nostro obiettivo dichiarato è di arrivare a costruire un’alleanza globale contro i trafficanti di esseri umani, seguendo gli stessi insegnamenti che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno lasciato in tema di lotta alla mafia. Follow The money, dicevano, bisogna seguire i soldi. Attaccare i trafficanti al cuore, che sono le centinaia di milioni di euro che stanno collezionando sfruttando la disperazione. Ci dicano gli altri, una volta per tutte, da che parte vogliono stare. Ci dica, con chiarezza, la segretaria del PD Elly Schlein se come noi stanno dalla parte della legalità e della lotta agli schiavisti del terzo millennio o piuttosto dalla parte dell’immigrazione illegale di massa che fa la fortuna di quelle reti criminali.
Noi vogliamo codificare il diritto a non dover migrare, a non dover recidere le proprie radici e a trovare nella propria terra le condizioni per costruire la propria realizzazione personale e poter contribuire allo sviluppo della propria Nazione. Ce lo chiedono anche molti patrioti africani, consapevoli che il futuro dell’Africa non può essere la migrazione di massa in Europa dei suoi migliori giovani. È quello che intendiamo fare con il Piano Mattei per l’Africa. Questa è vera solidarietà, questa è vera cooperazione allo sviluppo, questo vuol dire aiutare i popoli africani a crescere e a prosperare.
Contro le derive ecologiste
Ma quando dico che l’Italia ha già cominciato a cambiare l‘Europa non mi riferisco soltanto all’immigrazione.
Penso al coraggio e alla determinazione che abbiamo avuto nel mettere in discussione alcuni dei totem del cosiddetto “Green deal” europeo. Sì, perché ora fioriscono dichiarazioni, documenti e studi che dicono che bisogna puntare alla sostenibilità ambientale senza derive ideologiche che mettano in pericolo la sostenibilità economica e sociale; che dobbiamo recuperare la dimensione produttiva e competitiva dell’Europa o altrimenti non saremo in grado di stare al passo con gli altri grandi player mondiali. E sono parole di buon senso, che però confessano come la strada imboccata dalla UE fosse quella sbagliata.
Sono concetti che noi esprimiamo da molti anni, quando molti di quelli che oggi plaudono alle parole di Draghi o ai documenti di Letta, liquidavano le nostre critiche come “negazionismo climatico”, “oscurantismo scientifico” e chi più ne ha più ne metta. Abbiamo sempre avuto ragione noi. Non era negazionismo, né oscurantismo, era realismo.
Intendiamoci, noi siamo conservatori e tra le cose che vogliamo conservare e trasmettere ai nostri figli, più sana e più bella possibile, c’è proprio la natura. Non c’è ecologista più convinto di un conservatore. Perché ecologia viene dalla parola greca “oikos”, casa. Per i conservatori di ogni latitudine la casa è sinonimo di Patria, è il luogo che custodisce la famiglia, il pilastro su cui si poggia il comune destino che ci lega. Questa è la visione di chi ama la natura, non certo quella degli eco-teppisti che fingono di fare la rivoluzione imbrattando quadri e monumenti o bloccando le strade e impedendo alla gente di andare a lavorare.
È per questo che ci siamo battuti, e continueremo a farlo, contro le follie ideologiche che abbiamo visto in questi anni, come quella del divieto di produrre auto a diesel e benzina dal 2035. Anche qui, nessuno nega che l’elettrico possa essere una parte della soluzione per la decarbonizzazione dei trasporti, ma io nego che possa essere l’unica, perché sostenere il contrario è semplicemente un’idiozia, e diventa un’idiozia suicida se si considera che l’elettrico oggi viene prodotto soprattutto da nazioni che non rispettano alcun vincolo ambientale.
Noi vogliamo difendere e riaffermare il principio della neutralità tecnologica. Sembra una questione tecnica e difficile, ma non lo è: significa banalmente che una volta fissati gli obiettivi di riduzione delle emissioni, l’Europa deve fermarsi lì, e lasciare che che siano la ricerca e il mercato, le aziende, a sviluppare le tecnologie più pulite, e gli Stati Membri, anche in base al proprio modello sociale e al proprio mix energetico, a decidere come raggiungere quegli obiettivi. Perché mentre salviamo l’ambiente noi vogliamo salvare anche migliaia di imprese e posti di lavoro che qualcuno reputa sacrificabili in nome della transizione verde. Un conservatore non sacrifica la natura, ma neanche l’uomo.
Insomma, noi vogliamo un approccio pragmatico, non ideologico e non dirigista, aperto al mercato e all’innovazione. Sono gli stessi principi che abbiamo difeso quando ci siamo battuti contro la direttiva sulle case green.
Una direttiva pensata male, senza tenere conto delle specificità, come se efficientare una casa in legno nella tundra finlandese fosse uguale a efficientare una casa in pietra in un borgo della Sicilia. Soltanto dei burocrati chiusi dentro i loro grattacieli e accecati dall’ideologia avrebbero potuto pensare una simile stupidaggine.
Siamo riusciti ad ottenere risultati molto importanti, eliminando l’obbligo di avanzamento di una classe energetica da raggiungere in pochi anni. Una mazzata che sarebbe costata mediamente tra i 40 e i 70 mila euro ad abitazione.
Lo abbiamo evitato per il momento, ora ogni governo avrà due anni di tempo per predisporre un piano nazionale per la riduzione delle emissioni inquinanti degli edifici. Li utilizzeremo per provare a cambiare una normativa che rimane ancora troppo sbilanciata e che per essere ragionevole deve a monte saper rispondere a una domanda banale: “Chi paga?”. Domanda alla quale nessuno ha mai risposto, e non hanno risposto perché la risposta era: i cittadini.
Ma i cittadini italiani, soprattutto quelli delle fasce meno abbienti, stanno già pagando con circa 3500 euro a testa un altro provvedimento di efficientamento energetico, quello del Superbonus 110%. E stavolta non è colpa dell’Europa, ma di allegri politici italiani. Parliamo di un provvedimento che ha consentito di ristrutturare “gratuitamente” soprattutto seconde case, case di pregio, perfino castelli, scaricando il costo sulle tasse di tutti, anche di chi una casa non ce l’ha, per un peso complessivo – considerando tutti i Bonus edilizi – di più di 200 miliardi di euro, circa 65 miliardi in più di quanto ci costa l’intera sanità italiana in un anno. La più grande patrimoniale al contrario mai fatta in Italia, la più grande manovra redistributiva della ricchezza dalle fasce più deboli a quelle più ricche. E poi ci si chiede perché la sinistra italiana vada così forte tra le classi abbienti e nei quartieri chic! Senza contare che finora sono state scoperte truffe per 17 miliardi di euro. In pratica quelli che dovevano portare l’onestà nelle istituzioni hanno scritto una legge che si è rivelata il più grande regalo a ladri e truffatori mai fatto nella storia d’Italia. E chissà cosa voteranno tutte queste persone alle prossime elezioni europee: certo non Fratelli d’Italia, e ne vado profondamente fiera.
Tornando all’Europa, voglio ricordare anche il lavoro straordinario che abbiamo fatto per modificare il cosiddetto “regolamento imballaggi”, altra cosa che sembra lontana dalla vita delle persone ma che avrebbe messo a repentaglio il 25% del PIL italiano, travolgendo intere filiere produttive. Qualcuno a Bruxelles si era inventato che, dopo aver spinto per anni, e correttamente, sul riciclo dei rifiuti, ora si dovesse passare di punto in bianco al riuso. Una scelta surreale che avrebbe vanificato gli importantissimi risultati raggiunti dall’Italia proprio nel riciclo, anche grazie alle famiglie italiane che nel corso degli anni hanno imparato a fare la raccolta differenziata, ai consorzi di recupero, alle nostre imprese che hanno saputo innovare. Grazie all’impegno dei nostri europarlamentari, grazie all’impegno delle associazioni di categoria e al lavoro diplomatico del governo siamo riusciti in un’impresa che all’inizio pareva impossibile e che oggi ci dà la possibilità invece di continuare a fare economia circolare senza distruggere le nostre aziende. Ci hanno aiutato anche alcuni europarlamentari dell’opposizione, a essere onesti, e ovviamente il PD ha deciso di non ricandidarli.
Abbiamo difeso le nostre auto, le nostre case, intere filiere della nostra economia. E abbiamo difeso i nostri agricoltori. Perché uno dei grandi nemici dei “talebani verdi”, in questi anni, è stata proprio l’agricoltura.
Sembra un paradosso, ma secondo l’ideologia green l’agricoltura è nemica dell’ambiente, e va quindi ridotta. Il problema è che gli europei, come il resto delle persone, hanno la cattiva abitudine di mangiare. E quindi? E quindi dovremmo importare cibo da altre parti del mondo, dove ovviamente usano pesticidi e sostanze da noi proibite, e magari cambiare le nostre abitudini alimentari, mangiando insetti e carne prodotta in laboratorio. Solo che noi, banalmente, non siamo d’accordo. Noi siamo schierati, da sempre, dalla parte dei nostri agricoltori e dei nostri pescatori, dalla parte dei nostri prodotti di eccellenza.
Abbiamo preteso che venisse scritto chiaramente in etichetta se un alimento contiene farine di grilli e insetti vari; abbiamo fatto da apripista sulla battaglia contro la carne sintetica, e mentre la sinistra italiana ci derideva altre 20 nazioni europee si schieravano con noi. Quando si dice “non ci hanno visto arrivare”. Siamo riusciti a bloccare il Nutriscore, il surreale sistema di etichettatura a semaforo che avrebbe penalizzato le nostre eccellenze.
Abbiamo difeso il nostro vino da chi voleva etichettarlo come dannoso per la salute, senza distinzione tra uso e abuso, perché quella si deve fare sulle droghe ma non sul vino. Ci siamo battuti contro le norme sulle emissioni che volevano equiparare gli allevamenti alle fabbriche; abbiamo ottenuto importanti modifiche alle norme più ideologiche della Politica Agricola Comune, quelle che premiavano chi decideva di non coltivare anziché sostenere chi, producendo, e garantiva la nostra sicurezza alimentare.
Il punto è che in questa Europa che troppo spesso tende ad omologare ogni cosa, noi vogliamo difendere l’identità, che per noi è tradizione, consapevolezza, civiltà. E in Italia è anche ricchezza, reputazione, ammirazione, perché fidatevi, nel mondo c’è tanta, tantissima voglia di Made in Italy. Nell’agroalimentare, nell’artigianato nella moda, nell’arredamento nell’automotive, e in tante filiere industriali che spesso non associamo al Made in Italy ma nelle quali invece ci sono straordinarie aziende italiane che sanno ritagliarsi spazi incredibili grazie al nostro rinomato saper fare. E tra le cose che sappiamo fare c’è anche il turismo, lo dico non a caso ai bordi di una spiaggia, perché anche questo è un pezzo di ricchezza nazionale che ci siamo impegnati a difendere.
Abbiamo ottenuto la terza sede del Tribunale europeo dei brevetti a Milano, che si occuperà di settori molto importanti e ci permetterà di difendere al meglio la nostra proprietà intellettuale da contraffazione e pratiche sleali. Siamo stati il primo governo in Europa ad approvare i regolamenti attuativi delle nuove norme Ue sulle indicazioni geografiche dei prodotti artigianali e industriali. Ma certo, molto va ancora fatto in Europa per difendere il Made in Italy e contrastare l’Italian sounding, quei prodotti che nulla hanno di italiano ma che si spacciano per italiani per imporsi sui mercati mondiali a discapito di chi produce veramente in Italia. Vale per il formaggio, per l’abbigliamento e perfino per le automobili. A buon intenditor poche parole.
Il primato italiano sul Pnrr e la serietà del Governo
Al nostro eccezionale tessuto produttivo abbiamo dedicato una parte importante, ben 12 miliardi, del PNRR. Risorse che siamo riusciti a liberare grazie alla nostra costanza e nonostante chi remava contro l’Italia. Vi ricordate cosa dicevano in campagna elettorale? Che con noi e la nostra assurda pretesa di rimodulare il Piano per renderlo più adatto a un mondo che nel frattempo era cambiato, l’Italia avrebbe perso i soldi del PNRR. Oggi siamo, invece, la Nazione più avanti in Europa per rate erogate e progetti presentati. Non siamo più l’Italia che non sa spendere i soldi europei, ora siamo l’Italia alla quale altri governi chiedono aiuto per riuscire a spendere le risorse europee. Un’altra scommessa persa dai gufi e vinta dall’Italia.
Insomma, possiamo difendere i nostri interessi nazionali in Europa, e dico di più: nel difendere quegli interessi, che sono comuni a quelli di molte altre nazioni in Europa, potremmo cambiare e rafforzare il ruolo dell’intero continente. Serve visione, serietà, orgoglio.
Ma orgoglio non deve essere spocchia. Per riuscire occorre anche saper dialogare con tutti, comprendere le ragioni dell’altro, essere aperti a dare una mano quando è possibile per pretendere aiuto quando è necessario. Spesso in questo anno e mezzo sono stata criticata, da destra e da sinistra, perché parlo con tutti gli interlocutori. Dalla sinistra perché dialogo con gli Stati membri che la sinistra della ztl, in Italia e in Europa, chiama i paesi di serie B. Solo che poi, atteso che in Consiglio Europeo si decide solo all’unanimità, è inevitabilmente arrivato il momento in cui è stato utile all’intera Europa che ci fosse ancora qualcuno capace di farsi ascoltare dal presunto “cattivo” di turno. Da qualcuno a destra vengo criticata perché parlo anche con i leader di famiglie politiche diverse dalla mia. Penso che sfugga una considerazione banale. Per me, come per qualsiasi Patriota, l’unica cosa che conta è portare a casa i risultati. E lo farò, costi quel che costi. Parlerò con tutti, senza mai rinunciare alle mie idee e a dichiararle, senza mai piegarmi a cose che non condivido, con franchezza ma con rispetto.
C’è e ci sarà sempre un unico comune denominatore in tutte le scelte che faccio, in Italia, in Europa e nel mondo, e si chiama interesse nazionale. Ed è sulla capacità di tutelare quell’interesse che mi interessa essere giudicata.
Il voto europeo sarà fondamentale
Per tutto il lavoro che ho elencato fin qui voglio ringraziare tutta la nostra squadra di governo per aver sempre dimostrato la giusta attenzione e la giusta postura in Europa. E voglio ringraziare la nostra delegazione di europarlamentari, ancora piccola ma ben motivata, per l’incessante lavoro che hanno saputo svolgere, ponderando ogni singolo voto, anche quando sarebbe stato più comodo assecondare il mainstream.
E allora, se tutto questo è stato possibile con gli strumenti che avevamo, pensate a cosa potremo fare se con il voto dell’8 e 9 giugno riusciremo a moltiplicare la nostra rappresentanza a Bruxelles. Pensate a quanto potremo essere più forti nel sostenere le buone ragioni dell’Italia e del nostro Governo. E pensate, soprattutto, a cosa accadrebbe se anche grazie al risultato di Fratelli d’Italia dovessimo riuscire nell’impresa di costruire anche al parlamento europeo una maggioranza di centrodestra. Non più maggioranze parlamentari innaturali tra il centro e la sinistra, nelle quali il partito popolare è finito troppe volte ad assecondare le scelte ideologiche dettate dall’agenda progressista.
Noi possiamo portare anche in Europa quello che viene chiamato il “modello italiano”. Sarebbe una vera e propria rivoluzione nella politica europea, una rivoluzione per la quale il ruolo del partito dei Conservatori Europei, che ho l’onore di guidare, è strategico e fondamentale.
Mai con la sinistra
Vogliamo, insomma, fare in Europa esattamente quello che abbiamo fatto in Italia il 25 settembre 2022. Creare una maggioranza che metta insieme le forze del centrodestra e mandare finalmente le sinistre all’opposizione anche in Europa. E’ un’impresa difficile, certo, ma possibile.
Eccola, la nostra strategia, e mi auguro che sia finalmente chiara a chi, in queste settimane, sta volutamente confondendo i piani tra la maggioranza nel Parlamento Europeo e la futura Commissione – nella quale ogni Stato Membro esprimerà un candidato, e inevitabilmente sarà composta da rappresentanti di governi diversi tra loro – per insinuare una nostra presunta disponibilità ad allearci con i socialisti. L’ho ripeterò senza mezzi termini, a beneficio di chi finge di non capire. Quando diciamo “mai con la sinistra” non stiamo utilizzando uno slogan buono per la campagna elettorale, da buttare via il giorno dopo il voto, in base alla convenienza, come a volte hanno fatto altri. Noi, quando diciamo “mai con la sinistra” stiamo parlando di qualcosa che è nel nostro DNA, stiamo parlando della ragione che 11 anni fa ci ha spinto a fondare Fratelli d’Italia. “Mai con la sinistra” è un tratto distintivo per Fratelli d’Italia. Valeva 11 anni fa e vale oggi. Valeva a Roma, e vale a Bruxelles. Non ci interessa stare con tutti o dove stanno tutti. Noi siamo stati e saremo sempre, solo, dove possiamo realizzare le nostre idee. E le nostre idee sono e saranno sempre incompatibili con quelle della sinistra. Non ci sono mezze misure, prendere o lasciare.
E con la stessa chiarezza voglio dire anche che il dibattito su chi debba essere il Presidente della Commissione Europea prima del voto è un dibattito surreale, alimentato ad arte da politici abituati ad apparecchiare le spartizioni fregandosene di quello che dicono i cittadini. Non è il nostro costume, e non intendiamo assecondarlo.
E vedete, nella dimensione europea questa differenza di idee tra noi e la sinistra non riguarda solo i programmi, ma qualcosa che è addirittura a monte dei programmi. Riguarda l’idea stessa di cosa debba essere l’Europa, riguarda due diversi modelli di Unione Europea.
Ancora una volta qualcuno tenterà di impostare questa campagna elettorale sulla contrapposizione tra un presunto europeismo della sinistra e un presunto anti-europeismo della destra. Dico “presunto” perché chi ha aderito a Fratelli d’Italia da posizioni popolari o liberali si richiama a un patrimonio culturale che risale ai Padri fondatori dell’integrazione europea. Ma anche chi, come me, viene dalla storia della Destra italiana non ha mai professato l’anti-europeismo. E non lo dico certo per compiacere il mainstream ma perché lo dice la storia.
Per un’Europa di nuovo protagonista
Sessantasette anni fa, quando nel 1957 il Trattato di Roma istituiva la Comunità Economica Europea, comunisti e socialisti si schieravano contro mentre a votare a favore, insieme a democristiani, liberali e repubblicani, c’erano i parlamentari del Movimento Sociale Italiano.
Anche per questo non prendiamo lezioni di europeismo dagli eredi del partito comunista, da quelli che – una volta sconfitti dalla storia – hanno sostituito Mosca con Bruxelles e il collettivismo sovietico con il dirigismo di un super-Stato europeo.
Oggi gli eredi di quella cultura dicono di voler riformare i Trattati per avere un’Europa federale, che però non significa, come da noi, avvicinare il potere dal governo centrale ai territori, ma l‘esatto opposto, cioè trasferire sempre più competenze e più sovranità dai governi e dai parlamenti nazionali legittimati dai popoli alla Commissione europea, ovvero l’unica istituzione dell’Ue che non gode di una legittimazione democratica diretta da parte dei cittadini europei.
Al loro modello contrapponiamo l’idea dell’Europa confederale, una alleanza di Nazioni sovrane unite sui grandi temi da una politica e da un destino comuni, e libere, a casa propria, di affrontare le questioni di stretta rilevanza nazionale, garantendo quel principio di sussidiarietà sancito proprio dai Trattati.
Nel 1962, Charles De Gaulle disse: “Non ci può essere altra Europa che quella degli Stati nazionali; tutto il resto è mito, discorsi, sovrastrutture”. Oggi come ieri, soltanto un’Europa di Nazioni forti che decidono di mettersi insieme nella politica estera e di difesa, nel completamento del mercato interno, nella difesa dei confini esterni, può davvero essere all’altezza del suo compito.
Costruire un’Europa forte vuol dire immaginare un’Unione Europea che faccia meno, e lo faccia meglio. Che abbia finalmente una politica estera e di difesa capaci di renderla centrale negli scenari di crisi che si vanno moltiplicando.
Perché è evidente che finora non è stato così. Ci siamo cullati nella speranza che anche dopo il crollo del muro di Berlino qualcun altro si sarebbe fatto carico di garantire la nostra sicurezza e oggi capiamo che non può funzionare perché rischiamo di trovarci in balìa di decisioni prese altrove.
Allora, occorre rafforzare la nostra autonomia decisionale e costruire il pilastro europeo della NATO, da affiancare, con pari peso e pari dignità, a quello americano, per meglio affermare gli interessi europei, in particolare sul fronte Sud dell’Alleanza e nel Mediterraneo. Ecco perché è fondamentale accelerare verso una politica industriale comune nel settore della difesa, aumentando la collaborazione tra i nostri campioni nazionali in una logica di sovranità europea. E dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, perchè la libertà e la sicurezza hanno un costo e per avere pace ai nostri confini dobbiamo essere capaci di esercitare la deterrenza necessaria.
Un’Europa protagonista nel mondo deve porsi con forza e urgenza anche la questione di aumentare la propria autonomia strategica. Cioè la propria capacità di saper costruire catene di approvvigionamento europee, o almeno sicure e affidabili, per diminuire le troppe, pericolose dipendenze strategiche alle quali è esposta.
La sfida demografica
Con lo scoppio della pandemia prima e con l’invasione russa in Ucraina abbiamo capito che quando le catene del valore diventano troppo lunghe e poi si interrompono per qualche shock esterno, la scelta di essersi legati mani e piedi ad altri attori internazionali la si paga a caro prezzo.
Lo abbiamo visto con l’energia, quando è venuto meno il gas russo e ci siamo ritrovati con il costo delle bollette alle stelle. Il nostro Governo è subito intervenuto a livello interno per mettere il massimo delle risorse che avevamo a disposizione per aiutare chi non riusciva a pagarle quelle bollette e, a livello internazionale, per diversificare rapidamente i fornitori di gas.
Un impegno solenne che ci eravamo assunti in campagna elettorale, e che abbiamo rispettato. Ma sarebbe potuta andare diversamente, ed è un rischio che non vogliamo più correre.
Costruire un’Europa forte e protagonista nel mondo vuol dire anche affrontare quella che è, probabilmente, la sfida da cui dipendono tutte le altre. La sfida demografica. Non c’è una sola Nazione d’Europa che raggiunga il cosiddetto “tasso di sostituzione”, quel 2,1 figli per donna che garantisce la continuità della popolazione. Ecco, noi vorremmo che la sfida alla denatalità la si potesse affrontare tutti insieme, per impedire che quella di “Vecchio Continente” da etichetta storica, qual è, diventi anche un’infausta previsione del futuro. Ecco, perché crediamo che l’Europa del futuro debba porsi anche il problema di come considerare gli investimenti per la natalità, perché siamo convinti che ogni euro speso sulla natalità, sui servizi, sugli aiuti alle famiglie, sulla conciliazione vita-lavoro, sia un euro speso in un investimento produttivo.
Su questo tema, che porteremo con forza nella prossima legislatura europea, l’Italia intende dare il buon esempio, e lo stiamo facendo.
Abbiamo avuto il coraggio di dire basta alle follie di chi sostiene che mettere al mondo dei figli danneggia l’ambiente perché i bambini inquinano o di chi dice che la soluzione è l’immigrazione, e ci siamo rimboccati le maniche per ricostruire una società finalmente amica della famiglia e della natalità. Una società nella quale essere padri non sia fuori moda ed essere madri non sia una scelta privata, ma un valore socialmente riconosciuto. Da proteggere, custodire e incentivare. E nonostante le enormi difficoltà di bilancio che abbiamo ereditato, abbiamo fatto sforzi importanti anche a livello di risorse.
In un anno e mezzo questo Governo ha già all’attivo due miliardi e mezzo di investimenti diretti, più l’indotto degli interventi strutturali, per un totale di benefici netti per le famiglie italiane di oltre 16 miliardi di euro nel solo 2024. Abbiamo mantenuto nel PNRR l’investimento da tre miliardi di euro che ci darà la possibilità di realizzare 2600 asili e stiamo ottenendo i primi risultati anche sul fronte del lavoro e della conciliazione. Abbiamo toccato il record di occupazione femminile e superato il tetto delle dieci milioni di lavoratrici. Certo, il percorso è appena all’inizio ma io sono orgogliosa che il nostro governo, su questo fronte, abbia tracciato una rotta completamente nuova.
Continueremo a parlare di mamma e di papà in un’epoca in cui si vuole negare che per mettere al mondo un bambino servano una donna e un uomo. E dove, quando ci si scontra con l’evidenza, si pensa di poter risolvere la questione alimentando un ricco mercato transnazionale che sfrutta il corpo di donne povere e fa dei bambini una merce, spacciando tutto questo per un atto d’amore o per una forma di libertà. Nessuno riuscirà mai a convincerci che affittare il proprio utero sia un atto di libertà. Che sia un atto d’amore considerare i figli come un prodotto che si può scegliere sullo scaffale come se si fosse al supermercato e magari restituire se non corrisponde a quello che ci si aspettava. Che sia un atto d’amore trasformare il legittimo desiderio di avere un figlio in un diritto che puoi garantirti con qualsiasi mezzo.
Non ci convincerete. L’utero in affitto è una pratica disumana che, grazie ad una proposta di Fratelli d’Italia, diventerà reato universale, ovvero perseguibile in Italia anche se commesso all’estero. Lo abbiamo promesso e lo stiamo facendo.
A difesa delle radici cristiane
Chi, come noi, sogna di cambiare l’Europa, però, ha un altro dovere: risvegliare questa Europa dormiente e ricordarle da dove proviene. Rivendicare con orgoglio le nostre radici, le nostre tradizioni, i nostri valori e la nostra identità per mostrare ancora una volta al mondo che siamo e che vogliamo continuare ad essere la culla della civiltà occidentale. Non intendiamo piegarci ai deliri del politicamente corretto, tanto di moda nei salotti bene dei quartieri chic delle grandi città occidentali. Non possiamo tollerare che piazze e monumenti siano presi d’assalto e che libri, film e canzoni siano messi all’indice nel nome di una “cancel culture” che vorrebbe che facessimo abiura del nostro passato e di ciò che siamo.
Non possiamo rimanere in silenzio davanti a chi, nelle nostre scuole e nelle nostre università, insegna l’odio per la nostra stessa civiltà. Non possiamo accettare lezioni da chi, per decenni, non ha fatto altro che parlare di laicità e dire che l’Europa doveva liberarsi dalla sua identità religiosa e poi oggi invoca la chiusura delle scuole per la fine del Ramadan, mentre con la stessa cristallina coerenza, chiede di togliere dalle aule il Crocifisso.
Non accetteremo mai lezioni da chi si riempie la bocca dei diritti delle donne e poi si volta dall’altra parte se le donne sono private della loro libertà e dignità con la scusa della cultura del paese di provenienza. E considero allucinante, e lontano anni luce dal nostro stato di diritto, che qualche magistrato abbia sostenuto che maltrattare la propria moglie non è reato se fa parte della cultura del paese di origine. Ma considero ancora più allucinante è il silenzio delle femministe di fronte a fatti come questo, anche se non mi stupisce.
Dobbiamo difendere le radici classiche e giudaico-cristiane dell’Europa, e non solo perché sono state centrali nel processo storico che ha portato l’Europa a essere quello che è. Non è semplicemente un’urgenza che riguarda il passato, ma è una necessità che coinvolge il presente. Ce lo ha indicato Benedetto XVI nel suo straordinario discorso a Ratisbona nel 2006. Il grande messaggio che Ratzinger ci ha donato è che per noi cristiani ed europei esiste un legame indissolubile tra fede e ragione.
È quello che, con altre parole, ci ha insegnato un altro grande della storia, Giovanni Paolo II, quando ci ha detto che “fede e ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità”.
L’Europa è questo. E’ la terra nella quale fede, ragione e umanesimo hanno trovato una sintesi e hanno fertilizzato il terreno sul quale sono sorte le grandi cattedrali, è nato lo Stato sociale, è cresciuta la separazione tra Stato e Chiesa, si è sviluppata una società che mette al centro la persona e che ha nella persona il suo fine ultimo. Ed è l’Europa che noi amiamo, E’ l’Europa che intendiamo risvegliare dal sonno in cui è piombata.
Per tutte queste ragioni, e per molte altre che non ho elencato qui, quella dell’8 e 9 giugno è un’occasione storica, da cui non passa un semplice risultato elettorale, ma il destino stesso della nostra Nazione e del nostro continente. Spostare l’asse delle scelte europee a destra, per riavvicinare l’Europa ai suoi popoli. Essere centrali nelle scelte, per far pesare l’Italia come merita, e renderci più forti nella difesa dei nostri interessi nazionali.
Da una parte l’Europa del declino e della desertificazione produttiva, dall’altra quella che sostiene chi produce e chi lavora; da una parte l’Europa debole e incapace di incidere, dall’altra quella forte e protagonista sugli scenari internazionali; da una parte l’Europa super-stato burocratico, dall’altra quella dei popoli e dei cittadini. Insomma, da una parte l’Europa che abbiamo conosciuto, dall’altra quella che abbiamo sognato. E soprattutto, da una parte l’Italia balbettante che si presentava in Europa col piattino in mano, dall’altra l’Italia forte, orgogliosa e credibile, che cambia l’Europa.
Giorgia Meloni scende in campo
Siamo di fronte ad una battaglia decisiva, un vero e proprio bivio che non consente di sbagliare la scelta, né di tirarsi indietro. Tutti devono essere pronti a fare la loro parte, e io, come sempre, intendo fare la mia.
Quindi, ho deciso di scendere in campo per guidare le liste di Fratelli d‘Italia in tutte le circoscrizioni elettorali. Lo faccio perché a questo percorso europeo ho dedicato tanto impegno in questi anni, prima di diventare Presidente del Consiglio, e poi ancora di più una volta ricevuto questo grandissimo onore.
Lo faccio perché voglio chiedere agli italiani se sono soddisfatti del lavoro che stiamo facendo in Italia e in Europa. Lo faccio perché, oltre ad essere il Presidente di Fratelli d’Italia, sono la leader dei Conservatori europei, che vogliono avere un ruolo decisivo nel cambiare rotta alle politiche europee.
Lo faccio perché voglio che sia chiaro il messaggio che, votando Fratelli d’Italia l’8 e il 9 giugno, si voterà per dare ancora più forza al nostro governo e all’Italia in Europa. Lo faccio perché mi sono sempre considerata un soldato, e i soldati, quando devono, non esitano a schierarsi in prima linea.
Ma su una cosa voglio essere chiara, e so che mi capirete. Non toglierò un solo minuto all’attività del governo per fare campagna elettorale sul mio nome. Il mio compito è risolvere i problemi di questa Nazione, e questo intendo fare anche in questo mese di campagna elettorale. E siccome per fortuna non sono la segretaria del Partito Democratico, penso di poter confidare nel fatto che il mio partito farà del suo meglio per darmi una mano.
Se gli italiani pensano che stia facendo bene, allora chiedo loro di andare a votare, di scegliere Fratelli d’Italia e di scrivere il mio nome. Il mio nome di battesimo.
La cosa personalmente mi rende più fiera di questi giorni, è che la maggior parte dei cittadini che si rivolge a me continua a chiamarmi, semplicemente, “Giorgia”. Non Presidente, non Meloni. Solo Giorgia. E’ una cosa estremamente preziosa per me.
La sinistra mi ha spesso deriso per le mie radici popolari, mi hanno definito pesciarola, borgatara, fruttivendola. Sì perché loro sono colti e si vede bene da questa loro capacità di argomentare. Ma al di là di questo, quello che non hanno capito è che io sono sempre stata, sono e sarò sempre fiera di essere una persona del popolo. Quindi, se volete dirmi che ancora credete in me, mi piacerebbe lo faceste scrivendo sulla scheda elettorale semplicemente “Giorgia”. Perché io sarò sempre una di voi, una persona alla quale dare del tu, senza formalismi e senza distanza. Perché questo difficilissimo ruolo non mi cambierà, il potere non mi imbriglierà, il palazzo non mi isolerà.
Ho bisogno, ancora una volta, di sapere che ne vale la pena. Faccio quello che faccio solo per gli italiani. Non c’è altra ragione sostenibile per fare questa vita. Non mi interessano i sondaggi né le ricostruzioni di osservatori interessati. Mi interessa solo il giudizio dei cittadini, e lo rispetterò, qualsiasi sia questo giudizio.
Se vorrete darci la forza per farlo, difenderemo insieme, anche in Europa, le nostre eccellenze, le nostre imprese, la nostra identità, i nostri confini, la nostra sovranità, la nostra libertà.
Ci diranno che siamo dei pazzi perché la sfida è impossibile da vincere. Ma è già accaduto in passato. Nella nostra storia ci hanno dato tante volte per sconfitti, ci hanno detto che eravamo senza speranza, che saremmo spariti.
Lasciate che lo dicano anche stavolta. E mentre loro si crogioleranno in questa rassicurante speranza, noi lavoreremo con determinazione come abbiamo sempre fatto. E chissà che anche stavolta non si riesca a smentire ogni pronostico.
Un anno e mezzo fa lo abbiamo fatto, vincendo le elezioni politiche e cominciando a cambiare l’Italia. Alziamo la posta e facciamolo ancora. L’8 e il 9 giugno, insieme, cambiamo l’Europa!