Il velo dei Fratelli Musulmani sui diritti delle donne

#WhiteWednesdays, ovvero la nuova iniziativa di protesta lanciate dalle donne iraniane contro il velo obbligatorio. Ogni mercoledì, migliaia di donne da tutto il paese converge su Facebook per condividere fotografie e video dove appaiono vestite di bianco e a capo scoperto, senza indossare quel sacco nero imposto dal regime khomeinista che le oscura integralmente.

La fondatrice del movimento, Masih Alinejad, aveva già ideato la campagna @Mystealthyfreedom ed è dovuta fuggire negli Stati Uniti per evitare la sorte della sua collega attivista Nasrin Sotoudeh, condannata a 33 anni di carcere e 148 frustrate per la sua battaglia contro il velo obbligatorio. Tuttavia, intimidazioni, arresti e torture non hanno persuaso le donne iraniane a interrompere la protesta, che ha assunto nel frattempo carattere internazionale. Mercoledì 17 aprile centinaia di giovani donne da tutto il mondo hanno affollato il tratto di strada di fronte all’ambasciata iraniana a Londra, naturalmente di bianco vestite e a capo scoperto, al grido di #FreeNasrin.

Quella del velo è una questione dirimente per la sopravvivenza del regime khomeinista. Rimuoverne l’obbligatorietà significherebbe demolire il pilastro fondamentale che sorregge la Repubblica islamista dell’Iran da 40 anni: la sottomissione della donna. Per questo la Guida Suprema, Ali Khamenei, non intende ammorbidire l’intransigenza che lo ha contraddistinto finora.

La sua è una vera guerra contro i diritti delle donne, in linea con l’ideologia dei Fratelli Musulmani, di cui il regime khomeinista è la versione in salsa sciita. Ecco perché sull’argomento Khamenei è in piena sintonia con il leader della Fratellanza a livello mondiale: lo sheikh Yusuf Al Qaradawi, a cui il Qatar ha messo a disposizione Al Jazeera per divulgare il suo messaggio estremista, con la benedizione della Turchia di Erdogan. “L’hijab – ha affermato Al Qaradawi – non è il frutto dell’opinione di giuristi e neppure di musulmani: è un ordine coranico”.

D’altro canto, che l’hijab non sia obbligatorio nell’Islam è già stato ripetutamente messo in chiaro da autorevoli studiosi e leader religiosi musulmani, sulla base del testo dello stesso Corano. Tra i più recenti, è importante ricordare la figura dello Sheikh Mustapha Rashid, docente di sharia alla Università di Al Azhar in Egitto, massimo punto di riferimento per l’islam sunnita.

Per aver dimostrato, Corano alla mano, che nel principale testo sacro dell’Islam non ci sono versi che stabiliscano l’obbligatorietà del velo, Sheikh Rashid ha ricevuto numerose minacce di morte ed è stato attaccato ferocemente da esponenti dei Fratelli Musulmani, spavaldi più che mai durante la presidenza di Mohamed Morsi. Ma anche a Sheikh Rashid il coraggio non manca e ha così sfidato a viso aperto il regime ideologico che la Fratellanza intendeva imporre in Egitto e nel resto del Medio Oriente, dichiarando che pregare con Morsi era un gesto contrario all’Islam, poiché era accusato di omicidio e alto tradimento.

Ciò gli è valsa la scomunica via fatwa da parte di uno Sheikh della Fratellanza, Abdel Fattah Idriss, a nome di un nutrito gruppo di Sheikhs affiliati all’organizzazione. Nessuno di loro ha però potuto avanzare argomenti per invalidare la fatwa emessa da Sheikh Rashid che stabilisce la non obbligatorietà d’indossare il velo per le donne.

Questi presunti esperti di scienze coraniche, spiega Sheikh Rashid in un’intervista, decontestualizzano i versi in cui viene menzionato il termine arabo hijab (blocco, muro, impedimento) per attribuirgli il significato che più si confà al loro punto di vista ideologico, applicando tale approccio anche ad altre concetti, come quello di jihad. Ecco come nasce l’Islam politicizzato dei Fratelli Musulmani, al servizio dell’estremismo che a sua volta genera il terrorismo.

Il velo, pertanto, non ha alcuna valenza religiosa, ma è un retaggio culturale e sociale, legato a usi e costumi di tempi antichi che l’evolversi del tempo e della storia ha già fatto cadere in Occidente e in altre aree del mondo. Nel mondo arabo e musulmano, invece, è in corso una battaglia tra coloro che combattono la strumentalizzazione religiosa del velo e i Fratelli Musulmani. Questi continuano ad attribuire al velo una sacralità religiosa affinché resti lì dov’è per mantenere le donne in una posizione di sottomissione, coerentemente con l’ideologia tipica della Fratellanza ben incarnata in forma statuale dal regime khomeinista iraniano.

Al Azhar si è ufficialmente dissociata dalla fatwa di Sheikh Rashid al momento della sua emissione nel 2014, quando la pressione dei Fratelli Musulmani era al suo massimo, condizionando anche i pronunciamenti di una delle principali autorità religiose islamiche. Ma il vento ha cambiato direzione e passi in avanti verso il pieno riconoscimento dei diritti delle donne sono stati fatti dall’attuale Imam di Al Azhar, Sheikh Ahmed Al Tayeb, che si è recentemente espresso in maniera critica sulla poligamia e a favore di politiche che rendano merito al ruolo centrale della donna nella società, in linea con il documento sulla Fraternità Umana firmato ad Abu Dhabi con Papa Francesco.

In una parte del mondo arabo e musulmano dunque, i diritti delle donne avanzano con piccoli passi da gigante, mentre sulla linea rossa del jihad che unisce Doha, Istanbul, Teheran i diritti delle donne arretrano e continuano a essere ferocemente combattuti.

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Souad Sbai
Souad Sbai
Giornalista, scrittrice, Presidente del Centro Studi "Averroè"

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