Il Governo Meloni è riuscito a reinserire, tra le priorità dell’Unione europea, anche la questione migratoria attraverso il suo approccio, del tutto diverso rispetto a quello adottato in precedenza dalla sinistra di governo, italiana ed europea, che si baserà adesso sulla cooperazione tra Stati, sul dialogo, sulla ripartizione degli oneri derivanti dalla gestione della crisi migratoria. Un obiettivo raggiunto grazie all’intenso lavoro diplomatico di Giorgia Meloni, che in questi mesi ha tessuto fitte reti di collaborazione con i Paesi dell’Unione europea e anche al di fuori dei confini comunitari, portando l’Europa a trattare e a trovare accordi con i Paesi nord-africani, maggiori terre di transito dei migranti e molto spesso epicentro degli affari dei trafficanti di esseri umani e del passaggio di questi, al confine con le acque internazionali, sulle imbarcazioni delle Ong.
L’influenza di Giorgia Meloni sulle politiche europee
L’Italia è stata dunque protagonista indiscussa del ritorno dell’immigrazione tra le tematiche centrali dell’Unione, ed è anche merito suo il raggiungimento dell’accordo, dopo circa un decennio di stallo (accordo che per questo motivo può essere definito storico), tra i 27 Stati membri in tema di immigrazione: il Patto Ue sui migranti, approvato poche settimane fa, superate le barriere ideologiche di una sinistra bloccata nelle sue teorie no-border, con tanto di avallo entusiastico di Ylva Johansson, commissaria europea agli Affari interni, politica svedese e non proprio appartenente al mondo della destra (lei, socialista ed ex ministro del Lavoro svedese). All’epoca dei fatti, al momento del voto, aveva già dichiarato che l’approvazione del Patto “è un grande risultato: potremo tutelare meglio le nostre frontiere esterne, i vulnerabili e i rifugiati, rimpatriano rapidamente coloro che non hanno diritto a restare, con la solidarietà obbligatoria tra gli Stati membri”. Johansson è tornata a parlare del Patto nelle scorse ore, non cambiando idea sulla sua bontà: “È una grande conquista”, ha detto. E in effetti, i risultati del nuovo approccio comunitario, sotto la forte ingerenza, sotto la grande spinta risolutiva del Governo Meloni, sono arrivati. In tutta l’Unione europea, gli arrivi irregolari sono calati del 23%, ma il decremento più corposo è stata registrato nel Mediterraneo centrale (la rotta Tunisia/Libia-Italia) e nei Balcani occidentali, misurati rispettivamente al 69% e al 62%. Ad aprile gli sbarchi in Italia sono stati 4700, 10mila in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Alla metà di maggio, sono 2400 gli ingressi irregolari, rispetto agli 8mila di tutto maggio 2023.
L’obiettivo di Fratelli d’Italia
Il Patto e l’influenza italiana, anzi meloniana, sono stati il primo passo per una risoluzione del problema migratorio in Europa, che non potrà prescindere dall’apporto della destra. Considerato superata (e non lo è, non completamente) l’ideologia iper-progressista del “più ne siamo, meglio è”, dell’apertura sconsiderata delle frontiere senza prevedere un piano di gestione, idea che ancora alberga nella sinistra, serve in realtà un ulteriore passo in avanti, che solo con la possibile vittoria della destra alle elezioni dell’8 e del 9 giugno si potrà avere. L’obiettivo di Fratelli d’Italia, come enunciato nel suo programma elettorale, è quello di affidare all’Europa, e non a “organizzazioni criminali o attori esterni”, la scelta su chi entra nel continente: “L’immigrazione – si legge – deve essere inquadrata in una cornice di legalità e affrontata in maniera strutturale. Salvare vite è un dovere, così come tutelare chi ha diritto all’asilo, ma il modello voluto dalla sinistra – fatto di accoglienza indiscriminata e redistribuzioni mai attuate – si è rivelato fallimentare. Per questo i flussi migratori irregolari devono essere affrontati innanzitutto considerando la dimensione esterna”. La strategia è chiara: “promuovere accordi di cooperazione con gli Stati terzi” al fine di “fermare le partenze” e di gestire “in loco” le domande di asilo e dei trattenimenti per i rimpatri (sulla scia di quanto accordato con l’Albania, modello che ora l’Europa e gli Stati membri osservano con interesse); “contrastare le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di esseri umani”; “sostenere il diritto a non emigrare affrontando alla radice le cause dell’immigrazione irregolare” attraverso le clausole del Piano Mattei. E ancora potenziare il sistema dei rimpatri, bloccare i finanziamenti verso le organizzazioni fondamentaliste, prevedere nuovi piani per la sicurezza e contro il terrorismo. Solo una virata a destra europea, insomma, potrà garantire all’Unione la sicurezza dei territori, il contrasto alle organizzazioni criminali e, al tempo stesso, il rispetto dei diritti di chi realmente ha bisogno di accoglienza nonché la difesa della dignità di chi, invece, vorrebbe restare nelle proprie natie per favorire il loro sviluppo.