Immigrazione, l’Europa costretta al dietrofront: meno cittadinanze e più rimpatri, alla faccia del multiculturalismo

I Paesi europei, anche quelli radicalmente proiettati verso politiche migratorie molto permissive, credendo nella forza dell’integrazione tra culture e nel multiculturalismo esasperato, hanno forse capito che quel modello ideale di convivenza e di accoglienza a oltranza, forse, non è quello più idoneo per il nostro continente. Troppi i rischi per la sicurezza: anche i governi socialisti si stanno rendendo conto che i quartieri delle nostre città sono letteralmente invasi da persone che difficilmente riescono a essere identificate e che spesso, per motivi di ribellione, per motivi di squilibri mentali, spesso per motivi di credo e di fondamentalismo religioso, mettono a repentaglio il quieto vivere delle nostre popolazioni europee. Sembra che l’attentato di Solingen, in Germania, abbia risvegliato le coscienze e riportato con i piedi per terra anche i Paesi europei più aperti alle concessioni di cittadinanze agli stranieri.

Francia, Inghilterra, Germania

Prendendo in esame proprio la Germania, come riportato da Libero, a Berlino vige il regime dello Ius soli temperato, un modello che consente al bambino nato in territorio tedesco di acquisire la cittadinanza tedesca anche da genitori stranieri, ma solo se uno dei due è legalmente residente in Germania da almeno 5 anni o da 3 anni e con permesso di soggiorno permanente. L’obiettivo di questa posizione era combattere la carenza di manodopera. Anche se il risultato è stato un altro: nel 2023, il 41% dei sospetti arrestati per reati sono di origine straniera, mentre gli atti di violenza sono aumentati dell’8%. Così Scholz, sempre critico verso chi (anche verso la Meloni) poneva il problema dell’accoglienza, dell’integrazione, della lotta all’immigrazione illegale, è stato costretto a fare dietrofront e a rispedire in Patria i primi extracomunitari condannati per gravi crimini, mentre i membri del suo esecutivo sono già pronti a riprendere il piano di espatrio degli irregolari in Ruanda, stilato dall’ex premier Rishi Sunak e accantonato dal suo successore, Keir Starmer. Il quale, in sostituzione, sarebbe pronto a raggiungere un accordo con l’Estonia per spedire lì i condannati stranieri, con le carceri britanniche ormai sature di extracomunitari. Anche in Francia, Patria del perbenismo e dell’accoglienza, qualcosa è cambiato, con Macron che, pure per ragioni di sicurezza, ha ridotto le possibilità di ottenere la cittadinanza francese, specialmente per i migranti di seconda generazione: non la otterranno più automaticamente, ma dovranno farne richiesta tra i 16 e i 18 anni. Anche lì, il problema sicurezza è molto alto: nelle banlieue, l’abbandono scolastico è circa al 15%, il rischio di mortalità prima dei 75 è il doppio rispetto al resto del Paese.

La Scandinavia

Pure la Danimarca ha conosciuto un rapido aumento degli immigrati negli ultimi anni. Nei cosiddetti “quartieri ghetti”, gli immigrati vivono distaccati dal resto della società: in queste zone, disoccupazione, analfabetismo e povertà sono elevatissimi. Per consentire una loro integrazione, il governo danese è stato costretto a imporre dei corsi obbligatori anche in “valori danesi”, mentre la concessione delle cittadinanze, basata sullo Ius sanguinis, si è fatta ancora più aspra: le richieste d’asilo, così facendo, sono drasticamente diminuite. In Svezia le cose non vanno diversamente, con interi quartieri in mano a stranieri non integrati. La Svezia, dopo la Germania, ha accolto il maggior numero di rifugiati: le richieste d’asilo sono aumentate del doppio in dieci anni e il governo è stato costretto a riformulare i criteri di concessione: dai 5 anni di soggiorno sul territorio, si è passati a 3 con convivenza con un cittadino scandinavo. È l’Europa, dunque, che fa i conti con la realtà: il multiculturalismo ha fallito, le politiche di inclusione e di integrazione pure. E adesso i governi sono costretti a tornare sui loro passi e a ritirare le critiche verso chi, invece, aveva compreso i pericoli già da tempo.

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