In Germania protestano contro i licenziamenti, in Italia contro il taglio delle tasse

La Germania vive una crisi industriale con pochi precedenti. A soffocare l’economia tedesca, è specialmente il crollo dell’automotive, che impiega migliaia di operai ora a rischio. Il caso Volkswagen potrebbe portare al licenziamento di circa 30mila persone, tre fabbriche saranno chiuse, mentre chi rimane probabilmente subirà una decurtazione in busta paga di circa il 10%. Tutta colpa di come l’azienda ha gestito l’avvicinamento all’elettrico, accettato a quanto pare senza mezzi termini, in ottemperanza allo stop dei motori termici imposto dall’Unione europea entro il 2035. E infatti la storica casa automobilistica tedesca si è ritrovata scaraventata via dalla concorrenza cinese, più avanti e più competitiva. Morale della favola? I lavoratori sono in balia delle onde.

Lo sciopero è l’ultima ratio

Lavoratori che oggi protesteranno a Berlino: oggi ci sarà il primo sciopero del sindacato IG Metall, il grande sindacato dei metalmeccanici. La Cgil tedesca, per intenderci. “Se necessario, questa sarà la battaglia contrattuale collettiva più dura che Volkswagen abbia mai conosciuto” avvertono i suoi vertici in un comunicato stampa. Quindi, non soltanto uno sciopero di avvertimento, di durata spesso più limitata: i lavoratori della Volkswagen (che comprende anche altri marchi come Audi, Porsche e Seat) sono incacchiati non poco e a ragione contro i vertici dell’azienda. Una lezione per il sindacalismo italiano: in Germania protestano contro i “padroni” quando c’è qualcosa che effettivamente non va. E si protesta specialmente quasi come ultima ratio, avendo rifiutato il gruppo automobilistico un piano di rientro dal debito offerto dal sindacato e dal consiglio di fabbrica che avrebbe fatto risparmiare 1,5 miliardi di euro tagliando, tra le altre cose, gli stipendi ai manager. In Italia invece certi sindacalisti se la prendono con il governo quando le cose vanno bene (l’occupazione aumenta, l’economia regge, gli stipendi aumentano) mentre invece restano in silenzio con il “padrone” che pure rischia di licenziare migliaia di lavoratori solo perché detiene il quotidiano megafono dell’area politica di riferimento.

Protestano contro tutto e contro niente

In Germania protestano perché l’azienda automobilistica più numerosa, più importante, più significativa a livello storico e culturale, rischia di lasciare a casa migliaia di lavoratori. In Italia il sindacato degli operai non protesta perché l’automotive italiano rischia di fare la stessa fine, ma perché il governo ha approvato una finanziaria che conferma il taglio delle tasse. Creando disagi, tra l’altro, a quegli stessi lavoratori che vorrebbero, almeno sulla carta, tutelare: nelle stazioni di tutta Italia, nei giorni di sciopero, si respira aria di tensione e di sfiducia, si subiscono gli effetti di strategie sbagliate e ideologiche. Difficile pensare, allora, che dietro tutto questo non ci sia un movente meramente politico, un disegno che esclude i lavoratori ma include soltanto la voglia di fare politica da parte del sindacato. A riprova di ciò, il fatto che gli scioperi della Cgil – altri 15 sono attesi per dicembre, uno ogni due giorni, per ora… – non hanno un vero e proprio obiettivo, un vero e proprio bersaglio concreto. Protestano contro tutto e contro niente. Spesso contro cose le più lontane dalle rivendicazioni operaie. Al fianco dei sindacalisti talvolta arrivano anche i pro-Pal (a Torino, in questi giorni, l’esempio), i centri sociali che proprio non sopportano il dl Sicurezza. Insomma, si protesta solo per protestare. Così il valore dello sciopero perde significato e i sindacati perdono la fiducia dei cittadini.

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