La vicenda di Indi Gregory, la bambina inglese affetta da una rara malattia, ha toccato i cuori di milioni di uomini. Un destino che sembrava scritto, un cammino ineluttabile senza speranza e prospettiva. La malattia vissuta come una condanna, come un incubo senza risveglio. La malattia che finisce per definire la persona nella sua interezza: la sofferenza che annulla qualsiasi tratto, o profilo, altro, riguardante l’insondabile mistero celato nell’uomo.
L’amore più radicale, persino quello edificato sull’irrazionale desiderio di una guarigione impossibile, merita di essere alimentato, incoraggiato, rispettato nel profondo. La ricerca procede per tentativi ed errori, indaga le cause e studia gli effetti, esibendo una natura democratica, in seno alle differenti e legittime competenze disciplinari.
Ed è giusto che sia così. Non esistono risposte ultime, ma interrogativi molteplici, ancorati tenacemente all’etica del dubbio e della responsabilità. Non rassegnarsi e non smettere di lottare, agendo per il bene, per la costruzione di una società più equa e solidale, determinata nel promuovere i valori dalla vita, dell’esistenza.
Esistono politiche di destra e di sinistra, idee e pensieri divergenti per metodo e contenuto, visioni del mondo agli antipodi, da salvaguardare nel confronto e nel cammino verso la libertà di tutti noi.
Esistono, tuttavia, anche rare occasioni in cui queste differenze sembrano sfumare o limarsi, facendo trasparire un significato più alto e vero: è il tempo dell’uomo che opera per l’umanità intera e viceversa.
Il dono di una vita salvata infonde vigore e luce, diradando le tenebre della ragione.