L’Argentina ha un nuovo presidente, un cambiamento che ha creato molta aspettativa. Un numeroso gruppo di leader di destra è arrivato a Buenos Aires per partecipare alla cerimonia d’investitura di Javier Milei ed abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Balázs Orbán, il Consigliere politico del Primo Ministro d’Ungheria.
– È passato molto tempo dall’ultima visita in Argentina del Primo Ministro Viktor Orbán. Quali sono le aspettative dell’Ungheria riguardo al nuovo governo argentino?
Innanzitutto, siamo molto contenti di essere stati invitati. È sempre un piacere essere qui, visitare questo meraviglioso paese e partecipare alla cerimonia di inaugurazione. Speriamo che possa essere l’inizio di una bella amicizia. Vediamo l’opportunità che i leader e le forze conservatrici di destra lavorino sempre più in armonia. Anche se i nostri paesi sono lontani l’uno dall’altro, c’è una crescente necessità di collaborare strettamente. La sinistra lo sta facendo, con molto successo. Per tutte questo, prendiamo seriamente l’invito e siamo venuti qui con la speranza di avere l’opportunità di incontrare la nuova leadership argentina e tutti i leader conservatori del Sud America.
Dopo un anno e mezzo di guerra tra Russia e Ucraina, qual è la situazione economica dell’Ungheria?
Come abbiamo detto fin dall’inizio, questa è una guerra che può avere solo effetti negativi sull’Ungheria e sull’Europa. La Russia ha attaccato l’Ucraina, il che non è accettabile moralmente, ma la continuità della guerra è una grande sfida per l’Europa. Fin dall’inizio, gli ungheresi hanno sostenuto la necessità di una tregua, colloqui di pace ed infine un accordo a lungo termine. Troppe vite umane si sono perse, stiamo parlando di centinaia di migliaia da entrambe le parti; inoltre, milioni di persone hanno abbandonato l’Ucraina. Finanziariamente, ora l’Ucraina dipende al 100% dall’aiuto occidentale, quindi la situazione è molto difficile. Dall’inizio della guerra, i prezzi dell’energia sono aumentati in Europa e alcune delle principali economie europee sono entrate in recessione, per di più con crescita dei tassi di inflazione. Quindi questa guerra non è buona né per l’Europa né per l’Ungheria. L’economia ungherese ha resistito: abbiamo avuto le nostre difficoltà, ma ora siamo di nuovo sulla buona strada, l’inflazione è scesa, i prezzi dell’energia si sono normalizzati ed il PIL è di nuovo in crescita. Ma continuiamo a pensare che il mondo e l’Occidente dovrebbero trovare la via per una soluzione pacifica.
C’è un nuovo governo di sinistra in Polonia. Questo potrebbe mettere l’Ungheria in una posizione più debole di fronte all’Unione Europea?
La Polonia è storicamente uno dei più stretti alleati dell’Ungheria: le due nazioni si considerano reciprocamente come sorelle. Quindi la cooperazione ha anche un elemento emotivo, non solo razionale. I governi conservatori ungherese e polacco sono stati fortemente attaccati dai burocrati progressisti di Bruxelles e si sono sostenuti a vicenda. Ora c’è un altro governo, che avrà altre priorità, ma credo che la cooperazione ungaro-polacca abbia una base geopolitica ed emotiva molto più profonda, quindi speriamo di poter salvare almeno qualcosa. Tutto il panorama europeo sta cambiando: in Italia abbiamo un governo di coalizione conservatore di destra; c’è un nuovo governo in Slovacchia, che proviene principalmente da circoli di sinistra ma è più sovranista rispetto al precedente; ci sono state elezioni nei Paesi Bassi, vinte da Geert Wilders, che è un nostro vecchio amico, ha una moglie ungherese e quindi conosce molto bene il nostro paese e vi trascorre spesso le vacanze. Con la Francia e il presidente Macron, in termini ideologici, ovviamente non siamo dalla stessa parte, ma è anche vero che vediamo il futuro dell’Europa in modo abbastanza simile, quindi c’è sempre l’opportunità di cooperare con loro in modo pratico. Eravamo molto contenti di avere i nostri forti e leali amici conservatori polacchi dalla nostra parte: cercavamo di aiutarli, collaboravamo con loro, ma non abbiamo mai smesso di rafforzare le relazioni bilaterali con altri partner.
L’anno prossimo si terranno le elezioni europee. Pensa che questa possa essere un’opportunità per i conservatori?
Credo e spero di sì. Attualmente le forze conservatrici di destra sono in minoranza nel Parlamento europeo: hanno delle formazioni solide, ma sono divise e superate in numero dalla maggioranza progressista, di sinistra, verde, ecc. Inoltre, i centristi sono più propensi a cooperare con la sinistra che con la destra. Questa struttura non è buona né per l’Europa né per i partiti conservatori. Dobbiamo collaborare strettamente per ottenere un buon risultato elettorale, avere un maggior numero di deputati e poi capire come si possa essere più uniti ed avere più peso nei processi decisionali. È un qualcosa di cruciale: non si tratta solo del Parlamento, ma anche dell’influenza che lo stesso ha sulla Commissione europea, che originariamente e secondo i trattati avrebbe dovuto essere un’istituzione neutra, giusta, equilibrata e burocratica, senza partecipazione ai dibattiti ideologici ma che, di fatto, sta attuando come un agente politico, il che è un grave problema. I leader di sinistra, liberali e la maggioranza del Parlamento stanno abusando del loro potere, cercando d’imporre un’agenda contraria alla sovranità degli Stati membri, promuovendo politiche di porte aperte e sostenendo le ideologie di George Soros e delle sue ONG. Si tratta di politiche guidate ideologicamente e catalizzate anche dalla Commissione. Quindi, se fossimo in grado di formulare una nuova Commissione e riorganizzare il Parlamento, potremmo avere l’opportunità di tornare sulla buona strada, con il processo di integrazione guidato dai governi dei singoli Stati e la Commissione agendo in modo corretto e neutrale. Nel Parlamento, è normale che le diverse forze lottino tra loro, cercando allo stesso tempo di trovare una forma di convivenza civile, un corretto modus vivendi.
La sinistra ritiene che l’immigrazione sia la soluzione al problema della crescita negativa della natalità, ma l’Ungheria la pensa diversamente.
Sì, infatti riteniamo che sia un’illusione molto rischiosa. La diminuzione demografica è un problema e dobbiamo trovare la soluzione. Abbiamo bisogno di più persone, ma devono provenire dalla nostra stessa cultura. Per questo appoggiamo l’idea di una solida politica familiare, che sostenga le famiglie tradizionali, formate da persone sposate, un uomo e una donna con la volontà di avere più figli. Il modello ungherese consiste nel dire no all’immigrazione, in particolare adottando una tolleranza zero verso l’immigrazione illegale senza controllo, e nel dire sì a un programma di sostegno familiare incrementato: se desideri sposarti e avere più figli, lo Stato è dalla tua parte e cerca di aiutarti in ogni modo possibile. Sfortunatamente, i progressisti di Bruxelles la pensano in maniera completamente diversa: cercano semplicemente di aprire le frontiere, accogliere chiunque e conferire loro uno status immediato, prima di rifugiati e poi di cittadini. “Più gente viene, meglio è per l’Europa” è il loro slogan. Quello che noi vediamo nei fatti tutti i giorni è la formazione di “società parallele”: non si osserva una vera integrazione, il che a lungo termine causerà gravi problemi e una decadenza molto evidente della civiltà europea. Gli ungheresi non pretendono d’avere ragione né vogliono imporre il proprio modello a Francia, Germania, Svezia e agli altri paesi con politiche di immigrazione più di sinistra, perché ognuno ha diritto a decidere autonomamente. Ciò che vogliamo è che non cerchino di obbligarci a seguire la loro strada: non vogliamo correre il rischio di far entrare centinaia di migliaia di persone provenienti da culture diverse e, dopo due anni di terrore o due generazioni, ritrovarci con quella “società parallela” di cui prima, fonte di tensioni sociali, diminuzione della sicurezza pubblica e aumento dei rischi di terrorismo. Questa è la lotta che si sta svolgendo in Europa.
Ha menzionato in precedenza l’Italia. L’Ungheria vede la prima ministra Giorgia Meloni come una leader forte in Europa?
Certamente, è una leader molto talentuosa e forte. Conosciamo lei e il suo partito da molto tempo. Fidesz, il partito al potere in Ungheria, e Fratelli d’Italia hanno iniziato a collaborare prima che lei diventasse primo ministro. Quando avevano il 3% nei sondaggi, Fidesz li sosteneva, perché li vedeva come potenziali leader in Italia e noi abbiamo bisogno di un’Italia forte all’interno dell’Europa, perché senza di essa l’equilibrio di potere nell’Unione Europea non è stabile. Quindi siamo molto contenti di avere il governo di Meloni al tavolo. Cerchiamo di lavorare molto da vicino con loro su questioni di politica familiare, sull’argomento dell’immigrazione e, in generale, coincidiamo sul fatto che per garantire un futuro migliore all’Europa non c’è bisogno di creare uno stato superiore, un impero gestito da Bruxelles, ma di ottenere una maggiore cooperazione tra gli Stati membri. Quindi, lo Stato-nazione non è il problema, ma al contrario per noi è parte della soluzione ed il futuro dell’Unione Europea dovrebbe basarsi sulla cooperazione tra i singoli soggetti. Il lavoro di Meloni non è facile perché in Italia hanno l’euro e quindi sono finanziariamente molto dipendenti da Bruxelles, ma le auguriamo buona fortuna.
¿Perché l’agenda di Bruxelles è così distante dai veri bisogni della popolazione europea?
Credo che ciò sia dovuto al deficit democratico e alla struttura dell’Unione. Abbiamo una burocrazia con decine di migliaia di persone che non sono state elette da nessuno. Nel Parlamento i deputati lo sono, ma con una legge elettorale completamente diversa rispetto al loro paese d’origine. Quindi, è molto facile essere influenzati da folli idee di sinistra dall’esterno ed il controllo democratico della gente non è efficace. Questo è il problema della burocrazia di Bruxelles. Abbiamo una leadership, un’élite burocratica, che è completamente indottrinata dalle ideologie del Foro di Sao Paulo, per usare il termine sudamericano, e che pensa che il suo ruolo non sia servire gli interessi del popolo europeo, bensì quello di spingere questa agenda dall’alto verso il basso. Ci sono alcuni Stati membri, alcune forze politiche e, ovviamente, la maggior parte degli europei che stanno cercando di resistere: se guardiamo ai sondaggi, è ovvio che la maggior parte degli europei non vuole rinunciare alla propria sovranità, non vuole un’immigrazione di massa, vuole frontiere chiuse, non gradisce l’ideologia woke, non vuole guerre, vuole pace, vuole una cooperazione rispettosa e pacifica con tutte le parti del mondo, non vuole scegliere tra gli Stati Uniti, Cina e il resto del mondo. Vogliono cooperare equamente con tutti, favorendo soltanto gli interessi degli europei. Questo è ciò che pensa la maggioranza sul futuro dell’Europa, ma la pressione dall’alto è molto forte: non si tratta solo di politici eletti o dei burocrati, ma anche dei media, della rete di ONG, dei gruppi di lobbying di tutto il pianeta.
Alcune persone profanano l’immagine di Cristo o della Vergine in nome “dell’arte”. Crede che il cristianesimo sia sotto attacco?
Sì, credo proprio di sì. È la religione più perseguitata al di fuori dell’emisfero occidentale. Per questo motivo, gli ungheresi hanno avviato un programma chiamato “Hungary Helps”, cercando di sostenere quelle comunità cristiane che hanno bisogno d’aiuto in tutto il mondo. D’altra parte, credo che il cristianesimo sia attaccato anche all’interno dell’emisfero occidentale, a causa principalmente di una crescente ondata d’intolleranza o di tendenza al liberalismo, neoliberalismo o ideologia progressista, chiamatela come volete. Questa ideologia sostiene che, per avere una società di successo, devi smontare tutto ciò che appartiene al passato, iniziando ovviamente dall’amore per il tuo paese, l’amore per Dio, l’amore per la tua famiglia, i valori tradizionali. Quindi questi valori stanno subendo attacchi, anche se nessuno sa cosa sarebbe questa “cosa nuova” destinata a sostituirli.
Gli ungheresi sono un caso molto interessante in questo senso, perché la percentuale di praticanti è molto bassa in confronto, ad esempio, alla Polonia o persino agli Stati Uniti: stiamo parlando del 15 o massimo del 20%. Ma se chiedi alla gente se è disposta a lottare per preservare la cultura cristiana, quali standard morali accettiamo, come vogliamo vivere la nostra vita, come parliamo agli altri, allora l’80% o più è dalla nostra parte. Quindi, la stragrande maggioranza della società pensa che la cultura cristiana in sé debba essere difesa e preservata. Se vogliamo avere un futuro prospero e una cooperazione fruttuosa con gli altri paesi dell’emisfero occidentale, dobbiamo cercare una base comune di partenza. Ad esempio, per gli ungheresi e gli argentini, il terreno culturale comune è il cristianesimo: se eliminiamo il cristianesimo, come possiamo trovare questa base di partenza? Siamo lontani gli uni dagli altri, parliamo lingue diverse, abbiamo esperienze culturali diverse: tutto ciò che ci lega si basa sul cristianesimo. Questo tipo di coincidenze dovrebbe essere il collante sociale tra i paesi occidentali e cristiani, la base sulla quale poter cooperare.
Alcune persone parlano di “battaglia culturale”, mentre altre di “guerra spirituale”, lei cosa crede?
La battaglia culturale è chiaramente presente, la vediamo ogni giorno, ed è sanguinosa. Stiamo osservando ciò che sta accadendo nel continente americano e anche in Europa: si tratta del nostro futuro, del futuro della civiltà. Alcune persone pensano che, se “vogliamo avere successo”, dobbiamo trasformare tutto ciò che abbiamo e quindi dobbiamo costruire una nuova società, una nuova economia, una nuova piattaforma culturale. Ci sono altri, credo di appartenere a questo gruppo, che ricordano che ci sono stati periodi di successo nella storia dell’Occidente e che ciò è avvenuto grazie alla nostra eredità, ai nostri valori e al nostro background. Quindi, è come nel caso del cristianesimo: l’idea di uno Stato-nazione, la famiglia, le credenze religiose e la libertà economica non sono ostacoli, non fanno parte del problema, piuttosto fanno parte della soluzione. Stiamo declinando perché stiamo cercando di liberarci di tutti questi valori, principi o modi di vivere: quindi, ciò che dobbiamo fare è proteggerli, costruire su di essi, rafforzarli, ed in tal modo torneremo sulla strada giusta.
Candela Sol Silva