L’arresto, le torture, l’agonia e, infine, la morte. Quando ad intervenire è la Gasht-e Ershad, la famigerata polizia morale iraniana, questo epilogo è quasi scontato. Istituita ufficialmente per monitorare sulla corretta applicazione del codice d’abbigliamento ordinato dalla Sharia, nella realtà dei fatti i suoi uomini in divisa verde sono il volto della repressione che il regime degli Ayatollah infligge sui cittadini iraniani. Lo sa bene Mahsa Amini. Una ragazza comune, nata nel 2000 da una famiglia proveniente dal Kurdistan iraniano, col sogno di diventare un medico.
Il 13 settembre 2022, mentre passeggiava con il fratello per strade della capitale iraniana, gli uomini dalla divisa verde arrestano Mahsa. Il suo hijab non era indossato correttamente ed una ciocca di capelli fuoriusciva dal velo. Trasportata in una stazione della polizia morale, la versione ufficiale, diffusa dalle autorità iraniane, asseriva che sarebbe stata sottoposta ad un “corso di rieducazione”, interrotto da un improvviso attacco di cuore che ha stroncato la vita di Mahsa dopo tre giorni di coma nell’ospedale di Teheran. Era il 16 settembre di due anni fa.
La versione fornita dalle autorità non se la beve nessuno. I famigliari di Mahsa raccolgono le testimonianze di passanti, incarcerati, di chiunque l’avesse vista negli ultimi giorni della sua vita. E ne esce una versione decisamente diversa, fatta di violenze e soprusi inflitti durante la custodia alla povera ragazza, fino a ridurla in coma e causarle la morte poco dopo. L’indignazione dilaga.
La violenza del regime viene messa sotto accusa e Mahsa diventa un simbolo di una nuova lotta che infiamma il paese. Rapidamente in tutto l’Iran nasce un movimento di dissenso, il più grande degli ultimi decenni. Da Saqqez, città natale di Mahsa, a Teheran sono principalmente le donne ed i giovani a sfilare per le piazze cittadine con una ciocca di capelli stretta nel pugno ed al grido di “Azadi! Azadi!”, ovvero “Libertà! Libertà!”. Non è solamente in discussione la rigidità e la violenza della polizia, è l’occasione per sfidare tutto il regime, il sistema politico iraniano, la sua corruzione, la sua incapacità di gestire l’economia, la politica che ha portato all’isolamento dell’Iran. E sono i giovani a pretendere un cambiamento radicale.
Il governo iraniano ha risposto alle proteste con una violenza brutale. In migliaia sono stati arrestati, in centinaia morti durante gli scontri. Ancora una volta sono i giovani i protagonisti nel bene e nel male di questa vicenda rivoluzionaria. Il governo iraniano ha tentato di occultare agli occhi delle altre nazioni il sangue sparso nel tentativo di reprimere le manifestazioni, impedendo anche ai più giovani di utilizzare Internet, vietandolo in gran parte del paese.
A due anni di distanza dalla morte di Mahsa Amini, la Comunità Internazionale ha compiuto passi importanti per ostacolare la ferocia del regime iraniano, numerosi i risultati raggiunti per ripristinare il vivere democratico in Iran, come testimoniano le dichiarazione di Giulio Terzi di Sant’Agata, Senatore di Fratelli d’Italia, già Ministro degli Esteri: <<La repressione degli Ayatollah, mossi dall’odio e dal fanatismo religioso, non si è purtroppo fermata ma oggi, rispetto a due anni fa, l’indignazione e la consapevolezza di tali atrocità sembrano finalmente unire la comunità internazionale nella totale condanna del regime. Voci come il premio Nobel per la pace Narges Mohammadi smuovono le nostre coscienze, proposte come il Piano in 10 punti per un Iran libero della Presidente-eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Maryam Rajavi ci indicano la strada verso la democrazia, richiesta a gran voce dal popolo iraniano. Le conclusioni, poi, del Relatore speciale ONU sui diritti umani in Iran Rehman invitano tutti noi a farci parti attiva nelle sedi internazionali per porre fine sia alla violenza sia all’impunità dei funzionari responsabili – ieri e oggi – di atrocità inaudite. Nel suo ultimo rapporto, Rehman rivela infatti i crimini, contro l’umanità e di genocidio, del biennio 1981-1982 e dei massacri del 1988, dove 30000 oppositori politici, in maggioranza appartenenti al Movimento di opposizione del MEK/PMOI, vennero torturati e uccisi. È ora che la giustizia internazionale raccolga tali evidenze e che le responsabilità degli autori di tali atrocità siano accertate così come è il momento che, in ogni sede multilaterale, si intraprenda una politica decisa affinché il diritto internazionale trovi applicazione piena in Iran. Non è più rinviabile l’inserimento del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) tra le organizzazioni terroristiche, considerato anche il ruolo primario dell’Iran nel conflitto in atto in Medio Oriente. Tale misura è da tempo richiesta con insistenza dal Parlamento europeo – che ne ha ribadito la necessità anche nella Risoluzione del 25 aprile scorso sull’attacco senza precedenti dell’Iran contro Israele – e da altri Parlamenti nazionali, nonché da influenti personalità sempre più preoccupate del ruolo dell’IRGC nel sostegno del terrorismo di Hamas, Hezbollah, Jihad Palestinese e Houthi>>.