Iran. Ue compatta contro le sanzioni volute da Usa

Il vertice dei Capi di Stato europei che si è svolto a Sofia era stato programmato per parlare della situazione nei Balcani; centrale è stato, invece, il dibattito sul ritiro unilaterale degli Stati Uniti d’America dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015, sotto l’egida delle Nazioni Unite.

A nulla sono servite le dichiarazioni dell’Agenzia atomica internazionale sul rispetto da parte di Teheran di quanto stabilito nell’accordo. Gli Usa hanno giustificato la propria decisione sostenendo che il JCPOA, che il Presidente Trump ritiene sostanzialmente inutile, non abbia prodotto gli effetti sperati, non essendo riuscito a fermare né i programmi missilistici né avendo diminuito l’influenza iraniana nell’area. Questo ennesimo strappo allo status quo raggiunto faticosamente fa scricchiolare ancora di più il Patto Atlantico, che dalla Seconda Guerra Mondiale in poi ha legato insieme indissolubilmente le sorti dell’Europa occidentale con quelle della potenza d’oltreoceano.

I Paesi dell’Ue, compatti, si schierano a favore di un mantenimento dell’accordo, ritenuto non perfetto, ma certamente fondamentale per bloccare la proliferazione nucleare e, soprattutto, per rafforzare il legame tra i moderati iraniani e l’Occidente. L’Iran diventa, così, il simbolo della ritrovata unità europea, capace anche di mettere da parte lo spettro della Brexit nei rapporti tra Regno Unito e Ue, più preoccupati di quanto potrebbe accadere a seguito di questa mossa del Presidente americano, sia in termini di relazioni internazionali che di rapporti economici. Emblematico, in questo scenario di riassetto geopolitico mondiale, è stato l’incontro tra Angela Merkel e Vladimir Putin, che forse prelude al ritiro delle sanzioni contro la Russia, di cui si parla da mesi e fortemente richiesto da diversi Stati membri dell’Ue, gravemente colpiti in termini economici dai contraccolpi subiti dal mercato a seguito di tali provvedimenti sanzionatori.

In questo clima di profondo disorientamento, il Presidente Junker ha annunciato di voler far ricorso al cosiddetto “Statuto di Blocco”, varato nel 1996 per neutralizzare gli effetti delle sanzioni Usa a danno delle aziende europee che operavano in Libia e a Cuba nonostante l’embargo, ma mai attivato. Lo Statuto prevedrebbe un supporto alle aziende europee in caso di perdite a causa delle eventuali sanzioni americane, anche attraverso investimenti della Banca europea. Inoltre, dall’Europa arriva anche la proposta di pagare in Euro invece che in Dollari il petrolio iraniano; proprio il mercato del petrolio, infatti, pare essere considerato strategico dall’Iran per la propria crescita economica.

Le grandi multinazionali, tuttavia, non sembrano convinte delle contro-misure ipotizzate dall’Ue e temono ritorsioni da parte degli Stati Uniti. Anche l’incontro dell’Alto Commissario per la Politica Estera Federica Mogherini con il Ministro degli esteri iraniano Jalad Zarif pare non abbia influito positivamente sulla percezione delle grandi aziende europee, come dimostra la decisione della Total, che ha già fatto sapere di essere intenzionata a ritirarsi dal mercato iraniano per non contravvenire nelle ritorsioni Usa. Il crollo del progetto Pars Sud, gestito proprio dal colosso francese, sarebbe una grande sconfitta per il Presidente Rouhani che ha legato la buona riuscita di questa azione strategica alla credibilità del patto sul nucleare stesso. Le sanzioni di secondo livello, quelle che potrebbero essere imposte dagli americani alle aziende che non rispetteranno il diktat di Washington e continueranno a commerciare con l’Iran, preoccupano quindi quasi più della tenuta dell’accordo stesso. L’Unione economica euroasiatica (Russia, Armenia, Kirghizistan, Bielorussia e Kazakistan) nei giorni scorsi ha regalato un po’ di ossigeno alle trattative, ponendo le basi per un accordo provvisorio che definisca una zona di libero scambio con l’Iran.

Intanto, Teheran non le manda certo a dire e fa sapere che continuerà a rispettare il JCPOA solo se gli Stati europei – con Russia e Cina – saranno in grado di garantire un giro d’affari di almeno 20 miliardi all’anno.
Una decisione, quella di Trump, decisamente discutibile che allontana sempre più l’Europa dalla potenza d’oltreoceano, rompendo gli schemi geopolitici che hanno fatto da base alle relazioni internazionali negli ultimi 70 anni ed aprendo a scenari incerti.

Nel dibattito europeo, l’Italia, ancora priva di un nuovo governo – ad ormai quasi tre mesi dalle elezioni – che possa legittimamente prendere delle posizioni, risulta non pervenuta; considerate le necessità del mercato nazionale, in termini di import e di export, e la posizione geografica che ci colloca al centro del Mediterraneo, e quindi ad un passo da Siria, Libia, Israele, l’atteggiamento degli USA risulta certamente svantaggioso per il nostro Paese, che più di altri ha risentito in questi anni della guerra in Medio Oriente, delle sanzioni alla Russia, dell’ondata di immigrati irregolari (e potenziali terroristi) arrivati senza sosta sulle nostre coste. Fortunatamente però, per una volta, l’Ue sembra aver compreso il proprio ruolo nello scacchiere internazionale perchè, come dicevano i Romani, Fortunam suam quisque parat.

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