Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne che ricade oggi, 25 novembre, si ricordano le vittime di femminicidi, di stupri, di tutto ciò che avviene ai danni di una donna in quanto tale. Da due anni, a Palazzo Chigi, siede Giorgia Meloni, una donna, la quale ha scalato da sola i vertici del suo partito e della Nazione. L’esempio più fulgido e virtuoso che oggi una donna ce la può fare, senza togliere che le cose devono migliorare: troppe violenze e, al contempo, troppe disparità. Non sono concepibili differenze salariali tra sessi, ad esempio. Non è concepibile che una donna sia costretta a scegliere tra carriera professionale e famiglia. Ma l’esempio di Giorgia Meloni è quello da cui partire: si può fare, anche perché adesso al governo c’è una donna che, checché se ne dica, lavora anche per le donne. Un dato su tutti: l’occupazione femminile ha raggiunto il suo livello massimo di sempre. E se è ciò a determinare la differenza tra una leadership femmina e una femminista (i più attenti avranno notato una citazione), allora ben venga, perché sono risultati come questi a interessare alle donne. Ci sono poi gli incentivi per l’assunzione a tempo indeterminato, l’aumento dell’assegno unico universale e la sua eliminazione dal computo ai fini Isee, l’ampliamento dei centri anti-violenza, la strutturalità del reddito di libertà. Tanti piccoli risultati concreti, pragmatici. Più di una semplice schwa messa al posto giusto.
Bisogna andare al concreto
A certe femministe, però, la Meloni non va giù e protestano. Protestano per le loro cause, e tra queste rientra anche l’idea di avere una donna così autorevole e libera che non dice ciò che vorrebbero le fosse imposto. Le femministe, in piazza negli ultimi giorni, hanno manifestato per l’aborto. Quella pratica che Giorgia Meloni non ha mai dichiarato di voler eliminare, malgrado ci sia stato chi ha basato la sua intera campagna elettorale su questo tema. Loro, le femministe, lo vogliono allargare, buttando in caciara anni di lotte indipendenti asservendosi all’imperante (a sinistra) ideologia woke. L’ideologia che, a dire il vero, anche molte femministe, quelle meno ideologizzate, contrastano, perché hanno capito che mettere sullo stesso livello di partenza tutti i generi, veri e presunti, si rischia di appiattire le differenze tutelate dalla stessa Costituzione e sfavorire il sesso che, in natura, è il più debole, quello femminile appunto.
Poi le femministe protestano per le donne in Palestina, lotta sacrosanta, sbagliando però bersaglio: se la prendono con Israele, e non con Hamas, che legge il Corano nella sua forma più integralista e rende le donne ancora assoggettate al volere del maschio. Sbagliano bersaglio perché sono ideologicamente schierate: non vanno verso il bene, ma verso ciò che vogliono sia il bene. Se la prendono adesso anche con il ministro Valditara, reo di aver detto la verità: il patriarcato non esiste più da decenni. E se è vero – anzi, è verissimo – che qualcosa nella società non va, è vero soprattutto che il colpevole di ancora troppi femmicidi non è da individuarsi nel patriarcato. Fattori sociali, vizi, importazione di culture che sposano ancora a pieno – queste sì – il patriarcato. Il messaggio di Valditara fu chiaro: bisogna andare al concreto per combattere la violenza di genere, e non più soltanto limitarsi a una battaglia meramente ideologica contro un nemico che non esiste più. Altrimenti si finisce per combattere contro i mulini al vento.
Chi riconosce i risultati di Meloni
Il punto è che la battaglia per le donne non può essere ideologica. Ci sono femministe che, pur schierandosi a sinistra, combattono ad esempio gli eccessi della teoria gender, che penalizza le donne. Ci sono femministe che, pur avendo alle spalle una conclamata carriera di impegno per le donne a trecentosessanta gradi, lodano il lavoro di Giorgia Meloni a favore del sesso femminile: “Un settore in cui la Meloni ha conquistato sostenitori esitanti è quello degli attivisti per i diritti delle donne, i quali erano inizialmente respinti dalla sua visione del mondo di destra radicale. In particolare io: come ricercatrice e attivista femminista, mi trovo a malincuore impressionata dalla posizione e dalle politiche di Giorgia Meloni sui temi dei diritti delle donne”, ha scritto Rachel Rosario Sanchez, nota femminista, giornalista e attivista. Sul Telegraph, arrivò il suo encomio per la premier italiana: “Giorgia Meloni sta facendo molto di più per le donne rispetto ai suoi avversari woke”.