La Brexit si complica ancora: la May naviga in acque difficili

149 sono i voti contrari all’ennesima proposta sulla Brexit condotta da Theresa May e Unione Europea. Mesi dopo la situazione è sempre la stessa: stiamo assistendo ancora una volta ad un braccio di ferro fra le richieste dei brexiteers e le concessioni da parte dell’Ue. Nessuno dei due protagonisti sembra voler cedere.

Siamo arrivati a pochi passi dalla data dell’uscita ufficiale del Regno Unito dall’Unione, stabilita per il 29 marzo, e purtroppo i nodi irrisolti sono ancora molti e di grande complessità.

Primo fra tutti il tema del backstop. Tale concetto merita di essere esplicato in maniera più ampia: con il termine  “backstop” si intende una assicurazione che garantisca che il confine tra l’Irlanda del Nord ( che fa parte del Regno Unito) e la Repubblica di Irlanda rimanga aperto. In sostanza, fino a quando non si giungerà ad un’effettiva intesa commerciale, l’Irlanda del Nord continuerebbe ad orbitare nel mercato unico, mentre il resto del Regno Unito si troverebbe fuori, trovandosi a far parte dell’unione doganale. Tale ipotesi non è contemplata però in alcun modo, nonostante le rassicurazioni di Bruxelles, poiché il governo britannico afferma che una situazione del genere minaccerebbe l’integrità del territorio; ciò che è stato proposto dalla parte anglosassone è il mantenimento (nel caso in cui non si giungesse ad un accordo adeguato) dell’intero territorio britannico nel mercato unico. Come si può ben immaginare, all’Unione Europea questa soluzione non piace affatto.

Un altro tema scottante è quello del no-deal (che , a proposito, sarà oggetto di votazione stasera a Westminster) per cui si presenterebbe, oggi più concretamente che mai, la possibilità di un’uscita della Gran Bretagna dal circolo dei 27 senza alcun tipo di accordo. Tale ipotesi però comporta degli svantaggi economici ingenti per entrambe le parti in gioco.

Ultimo scenario possibile sarebbe infine quello di un rinvio della Brexit, che porterebbe ad una serie di conseguenze di non facile interpretazione e soluzione.
Innanzitutto, rimandare l’uscita del paese britannico dalla realtà europea significherebbe mettere in discussione la legittimità delle prossime elezioni di maggio. In questo caso quale sarebbe l’atteggiamento da assumere? Sarebbe opportuno far partecipare anche i candidati britannici o estrometterli sin da ora alla formazione del Parlamento europeo? E’ evidente che tale situazione non farebbe che accrescere problematiche che già ora presentano grosse problematiche.

Infine, ma non di secondaria importanza, è il fatto che posticipare la data della Brexit vorrebbe dire in sostanza venire meno alla volontà che il popolo inglese ha espresso nel giugno di quasi tre anni fa; verrebbe dunque meno quel rapporto di fiducia instauratosi sin dal principio tra governanti e un popolo che si è affidato totalmente e ciecamente a chi guida il proprio Paese.

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