Quanto peso abbiamo oggi i social sull’informazione è sotto gli occhi di tutti e non può che preoccupare soprattutto se non c’è niente di davvero sostanziale che possa mettere freni al fake news, o semplicemente alle fughe di notizie riservate, che possono arrivare a compromettere anche l’economia o la sicurezza di uno Stato. Eppure, a un anno dallo scandalo di Cambridge Analytica e a oltre due anni dalle false notizie sulle elezioni presidenziali negli USA, chiunque lavori o anche solo sia interessato al settore dell’informazione non può che continuare ad essere preoccupato sull’andamento delle cose.
La situazione è fin troppo evidente: l’ambiente multimediale è totalmente non regolamentato e in mano a una manciata di grandi gruppi americani che hanno avuto uno sviluppo così improvviso e veloce che nemmeno la loro classe dirigente riesce più a governarlo. In realtà, il problema è proprio questo. Per quanto si tenti di trovare regole che non siano facilmente bypassabili, sembra quasi di stringere l’acqua tra le dita: fai, ma non riesci a trattenere la continua perdita, anche quando le notizie dovrebbero rimanere riservate, o la loro divulgazione non è nell’interesse comune ma solo un attentato alla privacy di qualcuno.
Così, anche Mark Zuckerberg, il creatore e amministratore delegato di Facebook, in visita la scorsa settimana in Europa, si è trovato a sostenere e persino ad abbracciare l’idea della regolamentazione. Alla luce del suo nuovo amore per questo concetto, però, è una sorpresa che sia in difficoltà in Gran Bretagna, dove gli è stato ordinato di apparire di fronte al parlamento per rispondere in merito ad alcune questioni , senza che finora si sia presentato. E’ pur vero che il parlamento inglese in questo momento è “in altre faccende affaccendato”, vedi le complicazioni Brexit, ma sarà interessante vedere Zuckerberg alle prese con la Camera dei Comuni nel caso accadesse, a spiegare lui come difendere la privacy sul suo network che in materia già tanti danni ha fatto. In compenso, bisogna dare atto al Golden boy dei social per aver fatto qualcosa che altri prima di lui non avevano azzardato. Ha scritto un editoriale sul Washington Post delineando le quattro aree di Internet che dovrebbero essere regolamentate. Le sue prime due sono “contenuto dannoso” e “pubblicità elettorale”.
Del resto, ci pare corretto che questa crociata contro le fake e le notizie deleterie parta proprio da Zuckerberg, visto che il suo Facebook è stato all’avanguardia nella creazione di modi in cui sia possibile generare contenuti dannosi e inviarli facilmente a chiunque nel mondo, e ha dato origine a intere nuove categorie di ingerenze elettorali. Chiedere la regolamentazione governativa del “contenuto dannoso” è una proposta interessante in termini di costituzione americana, che non consente al Congresso di approvare alcuna legge che interferisca con la volontà espressa dal primo emendamento (che garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e di stampa, il diritto di riunirsi pacificamente; e il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti.). Diverso il discorso per l’Europa, dove certe limitazioni già esistono e si sta lavorando sulle altre. Forse Zuckerberg pensa che così la strada sia più agevole anche nel suo Paese.
Quello a cui stiamo assistendo, sia da parte di Facebook che da Google è un’epica riscossa sul piano delle pubbliche relazioni per diventare proprio loro paladini della regolamentazione, evitando così l’imposizione di regole che danneggerebbero troppo i loro profitti operativi. Tutto sommato, se ci riuscissero, potrebbe anche andare.