La Sala Cristoforo Colombo ad Atreju era stracolma durante il panel “Separazione delle carriere: una riforma che l’Italia attende da trent’anni. La via italiana per una giustizia giusta, più efficiente e più efficace”. Anche in questo caso il dibattito è stato accesissimo e ha visto sfidarsi il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, il presidente della commissione Affari costituzionali, Alberto Balboni, il professore di diritto costituzionale, Mario Esposito, e il magistrato Valerio De Gioia.
“La separazione delle carriere è connaturata a una riforma che è stata fatta più di trent’anni fa. Nel processo accusatorio, in tutti i Paesi dove è stato creato, le carriere sono separate perché il giudice è terzo e imparziale”, ha detto Nordio. Ma la questione più pressante è quella dell’indipendenza del pubblico ministero, che Nordio assicura “avrà la stessa indipendenza e la stessa autonomia dell’organo giudicante. Questo è scritto proprio nella riforma costituzionale”. Dunque, è “bizzarro”, quasi “offensivo” “pensare che sia una riforma punitiva”. Centro nevralgico della questione anche la creazione di un secondo Csm che affiancherà il primo: “L’Alta corte disciplinare era stata ipotizzata già trent’anni fa dalla bicamerale che allora era presieduta dall’onorevole D’Alema – ha detto Nordio – “proprio per dare una garanzia di indipendenza assoluta della magistratura rispetto a se stessa. La magistratura è e deve essere indipendente rispetto al potere politico, ma deve essere indipendente anche rispetto a se stessa”. Tuttavia, “questo non sempre avviene proprio perché oggi la sezione disciplinare del CSM è costituita da persone che vengono elette dagli stessi magistrati”. In questo modo, viene a crearsi “un vincolo tra elettore ed eletto che dà una percezione di non parzialità”.
Santalucia, dal canto suo, ha espresso titubanza, sostenendo che la riforma della separazione delle magistrature porterebbe a un indebolimento: “Il pubblico ministero, che è la magistratura che ha il potere più invasivo dell’azione penale, si ritroverà secondo questo testo ad avere un suo Consiglio superiore in cui avrà la maggioranza. A noi fa paura – ha detto – un pubblico ministero ingigantito eccessivamente, patologicamente. Nessuno, neppure il Ministro di Giustizia, può ipotecare il futuro e quando alteriamo un equilibrio che c’è già, stiamo andando incontro a un pericolo”. La risposta del Guardasigilli non si è fatta attendere: “Nell’Alta corte giudicante – ha detto – viene attuata proprio quella che si chiama la ‘cultura della giurisdizione’ che unisce tecnici del diritto, avvocati, professori universitari, pubblici ministeri, giudici”. In più, Nordio sottolinea che “la parte togata è sorteggiata, quindi spezza il legame delle correnti tra elettore ed eletto”. A sostegno di questa tesi, arriva anche la presa di posizione di Di Gioia: “Ho letto il disegno di legge costituzionale e di meccanismi che possano portare a un assorbimento del pm all’esecutivo non c’è traccia”.
Durissime, invece, le parole di Sallusti: “La giustizia così non funziona” ha esordito il direttore del Giornale. “Va cambiata e i magistrati dicono: ‘vabbè, ma la cambiamo noi’. Ma fare risanare un’azienda al consiglio di amministrazione che l’ha portata al fallimento mi sembrerebbe un po’ curioso…”. Sallusti ha sollevato la questione secondo cui alcuni giudici si sono opposti all’istituzione di una giornata in ricordo delle vittime della giustizia e di intitolarla a Enzo Tortora: “Vuol dire che non c’è la credibilità, l’autorevolezza per dire ‘ragazzi, ci pensiamo noi’. Perché se non si riconosce dopo trent’anni che Enzo Tortora è stata la pagina più nera della magistratura italiana e se non ci si vergogna che gli autori di quell’omicidio sono stati tutti promossi e hanno fatto una grande carriera, non funziona così”. La sala si è alzata in piedi per applaudire al ricordo di Giovanni Falcone, a cui lo stesso Sallusti avrebbe voluto intitolare la riforma: “Il primo a invocare la separazione delle carriere come fondamentale per la giustizia italiana è stato Giovanni Falcone. Giovanni Falcone che adesso, post mortem, è diventato l’eroe per la magistratura, ma anche il vessillo di una parte della magistratura e della sinistra politica quando – è storia – Giovanni Falcone prima di essere ucciso dalla mafia è stato ucciso dal CSM e dalla sinistra. Giovanni Falcone – ha aggiunto – era sostanzialmente comunista: non faceva politica attiva ma il suo punto di riferimento si chiamava Berlinguer. Se metto a confronto il verbale” del processo con cui Falcone è stato processato davanti al Csm e “il fatto che in una sala conservatrice di destra, al nome Giovanni Falcone ci si alza in piedi e si applaude, c’è qualcosa che non va, dottore” ha detto a Santalucia.