Oggi 25 aprile, festa della Liberazione dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista. In questo giorno del 1945 non finì la guerra, ma iniziò la ritirata degli eserciti repubblichino e nazista dalle città di Milano e Torino verso Nord, avendo gli Alleati sfondato la Linea Gotica. Una festa che, quindi, dovrebbe appartenere alla memoria di tutti gli italiani per la sua rilevanza civile: la fine di una dittatura e l’inizio di un iter che ha portato alla Repubblica e alla democrazia, dovrebbero essere festeggiati da tutti. Soprattutto perché alla vittoria presero parte civili, donne e uomini, di diverso orientamento politico. Ma è sempre stato difficile trovare l’unità sperata sotto il simbolo del 25 aprile, una data che ancora oggi divide e fa discutere. Per colpa di certa politica.
Propaganda sovietica
Per colpa, probabilmente, soprattutto di quella Guerra fredda che divise il mondo a metà. E così anche l’Italia. Non geograficamente ma ideologicamente: divisa tra chi sosteneva il mondo occidentale e chi l’Unione sovietica, per via di una propaganda che per anni ha cercato di accaparrarsi i meriti della vittoria militare. Si sa, la storia la scrivono i vincitori e l’Italia, nei primi anni del secondo dopoguerra, si ritrovò subito divisa tra i due fuochi: tra il mondo del Piano Marshall al quale aderì e quello comunista, ospitando al suo interno il più grande partito comunista di tutto l’Occidente. Quel Pci che per decenni fece capo a Stalin e al suo pensiero totalitarista. Forse, è proprio “merito” della propaganda dei comunisti stalinisti se ancora oggi gli italiani faticano a riconoscersi nel 25 aprile. Non per attaccamento a un fascismo che non esiste più da ottanta anni, ma perché c’è chi ancora tenta di dipingere totalmente di rosso una festa nazionale. Sulla scia di quella propaganda comunista che travolse anche l’Italia a causa dei finanziamenti dall’URSS di cui il Pci beneficiava.
Una minoranza che si impose
Repubblicani, socialisti, liberali, cattolici, comunisti: tutte le “vecchie” ideologie che scesero in campo, alla meglio, con l’intento di sconfiggere le truppe naziste. Gruppi di civili, che tra loro erano tutti rispettivamente minoranze degli altri, che volevano liberare la propria terra dagli occupanti stranieri. Una concezione patriottica di Nazione, che però non appartenne a tutti gli attori in campo: in nome della propria ideologica, c’era chi non aspirava alla libertà, ma alla sostituzione della dittatura fascista con un’altra: quella sovietica. Un concetto, questo, per nulla patriottico, che presumeva un netto assoggettamento a una potenza straniera, Mosca. Da un lato chi lottava per la libertà, dall’altro chi invece voleva la dittatura. Per fortuna una minoranza, alla quale fu tuttavia concesso di veder compiuta quella velleità di affermarsi, propria dei (pre)potenti. Perché pur essendo stata minoranza, in ambito politico come in quello militare, i sovietici in Italia riscrissero la storia, accaparrandosi, i partigiani rossi, i meriti della Liberazione. Tutto fu molto più facile, ovviamente, quando le truppe alleate sfondarono la Linea Gotica e ristabilirono l’ordine democratico in tutto lo Stivale. Quando, insomma, finalmente si poteva dire la propria, concedendo la parola anche a chi avrebbe voluto negarla agli altri.
Liberazione americana
Ma c’è una storia della propaganda e una storia della verità. “Io sostengo – ha detto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, intervistato da La Repubblica– che la Liberazione è frutto del sacrificio dei tanti giovani americani, inglesi, polacchi e francesi morti nella campagna d’Italia. In Europa, la lotta al nazifascismo la fecero due uomini di destra, il conservatore Winston Churchill e il generale Charles De Gaulle”. Ed è dunque chiaro: la libertà è un concetto di destra e non può appartenere a chi non solo voleva instaurare la sua dittatura, ma tentò, con ottimi risultati, di egemonizzare il dibattito pubblico, riscrivendo la storia. Quella Liberazione tinta di rosso non ha colore, ed è merito, militarmente, delle truppe alleate, dei giovani soldati che persero la vita lontani da casa per riconsegnarci la libertà. “Il 19 settembre 2019, il Parlamento europeo – ha aggiunto Sangiuliano – approvò una risoluzione con 535 voti a favore nella quale si enuncia, a chiare lettere, una netta condanna tanto del nazismo quanto del comunismo. Dunque, l’Europa nasce come risposta alle due barbarie. L’antifascismo è sicuramente un valore, l’ho detto più volte. Ma lo è allo stesso modo anche l’anticomunismo”. E allora Liberazione sia. Sì, ma dalle dittature: perché non ce n’è una di serie A e un’altra di serie B. Tutte vogliono negare le libertà, vogliono egemonizzare il dibattito politico e vogliono riscrivere la storia. E “non mi venite a dire che in Italia non c’è stata una dittatura comunista. Il Pci fu guidato da Palmiro Togliatti che fu uno dei principali esponenti del Comintern appena sotto Stalin. L’Italia non ha avuto una dittatura comunista ma ha avuto un partito comunista profondamente stalinista. Solo alla metà degli anni Settanta, a fatica, Enrico Berlinguer (a cui va dato merito) iniziò a prendere le distanze da Mosca”.
Gli odierni antifascisti
Questi i motivi per i quali risulta difficile per tutti gli italiani dirsi antifascisti, un termine ancora oggi monopolizzato e marchiato dal colore politico di una sola fazione. Come bene ha scritto Alessandro Sallusti dalle colonne de Il Giornale, “io non mi dichiaro antifascista perché non posso fare parte dello stesso club che” odia il pensiero altrui, violenta i poliziotti, solidarizza con Hamas, vuole la vittoria di Putin in Ucraina e non accetta il voto democratico che ha eletto il primo Presidente donna della storia italiana. “Io con questa marmaglia illiberale non voglio averci nulla a che fare”.
I due commentatori che mi hanno preceduto meriterebbero di veder scolpito nel marmo in tutti i monumenti e lapidi alla Resistenza le parole che hanno scritto. Forse, leggendole ad ogni piè sospinto, anche i più beceri sinistrocratici antitaliani magari capirebbero che il 25 aprile non è ‘rosso’ ma TRICOLORE, cioè VERDEBIANCOROSSO.
In particolare trovo molto interessante la proposta di Alessandro: »mettiamo nella Costituzione italiana, nell’ambito di norme non transitorie ma permanenti, che è vietata l’organizzazione, sotto qualsiasi forma, di partiti che professino la dittatura come forma di governo e la violenza come strumento di lotta politica«. Certi cervelli ‘atrofizzati’ continuerebbero a fare e dire le solite loro cazzate, ma almeno si potrebbero perseguire quanti ancora non si professano “anticomunisti”.
Sono orgogliosamente MELONIANO, non fascista.
Quando ero ragazzo ho vissuto di persona la dicotomía in seno alla mia famiglia tra chi era comunista, filo sovietico e festeggiava ogni anno il 25 aprile, cioè il mio nonno materno, e chi invece era nostalgico del Ventennio, filo franchista e malediva ogni anno il 25 aprile, cioè il mio nonno paterno.
Ovviamente loro due avevano vissuto in pieno quella fase della storia, su due posizioni opposte, avendo due visioni del mondo divergenti e a seguito di esperienze di vita agli antipodi una dall’altra.
Mio nonno materno aveva partecipato alle occupazioni delle terre del 1919-20, non aveva mai digerito il governo Mussolini e addirittura aveva simulato con successo una malattia grave pur di non essere mandato a combattere in Russia, la terra dei suoi sogni.
Il mio nonno paterno, aveva combattuto in prima linea sul Piave, aveva occupato Fiume con D’Annunzio, era andato come volontario a Málaga in sostegno della Spagna Nazionalista nel 1937 (anche se, in verità, era rimasto scioccato dalle efferatezze sia dei Repubblicani ma anche di quelle dei Nazionalisti… Talmente scioccato che aveva persino paura a raccontare ciò che aveva visto).
Ma loro due non esistono più dagli anni 80, così come la maggioranza di coloro che hanno vissuto quel periodo.
Tutti coloro che sono nati dagli anni 50 fino oggi non hanno nessun motivo ne appiglio per rivangare le cose e le modalità di quei tempi.
Parlano solo per sentito dire e conoscono solo la versione dei fatti propinata da chi ha scritto i libri di storia dal dopoguerra in avanti.
Caro Andrea, la parte che cerca più di altri di appropriarsi della celebrazione della Liberazione, cioè i comunisti ed i loro eredi, è proprio quella che, come tu dici, non voleva la realizzazione di un paese libero ma della dittatura comunista sotto il tallone dell’URSS.
Che lo si dica, una volta per tutte!
Non esiste un pericolo fascista in Italia. Dirsi antifascisti è inutile, è come dirsi anti borbonici.
Il fascismo è morto 80 anni fa, ed è la solita propaganda della sinistra accusare di fascismo chiunque dissenta dai loro dogmi.
Cosa credono, di coprire il loro vuoto politico e mentale continuando a suonare le trombette dell’antifascismo? Del defunto regime fascista non me ne importa niente, come alla stragrande magioranza degli italiani. Certo in un Paese di 60 milioni di abitanti si trova di tutto, oltre ai sedicenti fascisti ci sono i terrapiattisti, i sostenitori delle strisce chimiche e così via.
Ma la politica è un’altra cosa.
Una modesta proposta: le disposizioni transitorie e finali della Costituzione italiana, al comma XII stabiliscono che “XII – E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.”.
Sante parole. Ma a che serve?
Perchè non mettiamo nella Costituzione italiana, nell’ambito di norme non transitorie ma permanenti, che è vietata l’organizzazione, sotto qualsiasi forma, di partiti che professino la dittatura come forma di governo e la violenza come strumento di lotta politica?
Chissà se in nostri sedicenti antifascisti sarebbero d’accordo.
Con affetto
Alessandro