La Meloni avverte Conte: no altre cessioni di sovranità.

Un conto – a differenza della collezione “horror” offerta dalla sinistra con i governi di centrodestra negli ultimi decenni – è sostenere senza se e senza ma l’interesse nazionale dell’Italia nel mondo. Ben altro conto è permettere a Giuseppe Conte di far rientrare l’asse franco-tedesco e il Mes dal “portone” travestiti da Recovery fund.

A due giorni dalla conclusione del Consiglio europeo che ha approvato il piano di sostegno per far fronte all’emergenza Covid il messaggio giunto da Giorgia Meloni a palazzo Chigi è netto: «Non voglio vivere in un’Italia a sovranità limitata, in cui si decide a Bruxelles, Amsterdam o Berlino, cosa dobbiamo fare noi con le pensioni o il lavoro degli italiani». La leader di Fratelli d’Italia lo ha ribadito senza mezzi giorni proprio alla luce dell’atteggiamento patriottico e responsabile dimostrato (e riconosciuto) da lei e dal suo partito nelle ore in cui il premier era impegnato nella delicata trattativa con i fratelli-coltelli dell’Ue.

Il punto, come è evidente una volta scemata rapidamente la grancassa dei peana da parte dei media mainstream e dei partiti della maggioranza sul vertice fiume fra i 27 capi di governo Ue, è che il compromesso raggiunto dal premier italiano non solo non è soddisfacente ma nasconde delle grandi insidie che devono essere stanate immediatamente: «Ancora prima del Consiglio Europeo avevamo messo in guardia Conte sulle condizionalità del Recovery Fund», ha circoscritto Meloni.

Non è un problema di soldi – anche se le cifre che i sovranisti volevano sul tavolo erano decisamente più alte – ma di tempi di erogazione e di indirizzo di questi fondi: «Il rischio molto concreto è che per riuscire a spenderli si debba passare troppo tempo a convincere tedeschi e olandesi o persino a farci dire da loro cosa dobbiamo fare con le nostre pensioni». E un domani – vedi la condizionalità nebulosa che riguarda il rispetto dello Stato di diritto – «magari, anche con i clandestini che ci lasciano. Sarebbe l’ennesima cessione di sovranità e sarebbe, per noi, inaccettabile».

Dopo l’informativa di Giuseppe Conte alla Camera è stato Francesco Lollobridida a tracciare i confini che Conte non può assolutamente attraversare. «Noi – ha precisato rivolgendosi a Conte il capogruppo a Montecitorio – abbiamo guardato ogni cosa con l’interesse del patriottismo. Ora lei vanta un risultato straordinario, con tutti i suoi menestrelli. Tutti uniti, quelli che vogliono il Mes e quelli che non lo vogliono, quelli che la sostengono e quelli che non vedono l’ora di levarsela di torno».

Finito il rumore delle trombe, adesso è venuto il momento di mettere in campo le decisioni: «Se parlerete di altro, di un aumento della pressione fiscale, di ritoccare in peggio il nostro sistema pensionistico, di patrimoniale, ci avrete come fieri avversari».

Del resto il vizio indicato è ab origine: «Non abbiamo sostenuto il Conte uno e il Conte due: il nostro giudizio resta lo stesso, lei non è stato eletto dal popolo».

Insomma, come è stato sottolineato abbondantemente dai massimi dirigenti di FdI, aver dato atto a Conte dell’impegno profuso nel cercare un risultato soddisfacente per risollevare l’Italia (anche nei tavoli europei) non significa di certo condonare i grossolani errori del premier che hanno accompagnato la vigilia e che si sono tradotti inevitabilmente nelle conclusioni: «Ritengo abbia fatto degli errori nell’impostazione della trattativa – ha osservato ancora Meloni –, quando ha dato per buoni i 500 miliardi di sussidi proposti da Merkel e Macron salvo poi dirsi disponibile a una loro diminuzione in cambio di zero condizionalità».

Si sa bene com’è andata: dal “super freno a mano” (caro a Rutte, con il quale lui e soci «avranno buon gioco a bloccare le riforme italiane che non dovessero piacergli»), alle euro-tasse con cui si finanzierà il fondo fino alle “raccomandazioni” dell’agenda di Bruxelles, «è finita con meno sussidi e più condizionalità».

A questo punto – in attesa che il nodo Regionali e il voto sul Mes rivelino ancora più chiaramente l’effettiva minoranza giallo-fucsia nel Paese –, compito preciso di Conte e del suo governo è seguire fin da subito con scrupolo il primo comandamento di FdI: difendere la sovranità italiana dal rischio (concreto) del commissariamento.

In caso contrario, grazie anche al voto delle Regionali e all’onda d’urto delle promesse mancate di Conte durante l’emergenza, potrebbe subentrare l’occasione decisiva per Meloni & co: «Andare presto alle elezioni per prenderci noi questa responsabilità».

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