Il burkini francese, l’aborto sempre più “libero” nella Spagna socialista, il pronunciamento della Corte Costituzionale italiana sul cognome “liquido”, non più paterno e forse neanche materno: il nostro dibattito politico sui “diritti delle donne” è sempre meno avvincente, sempre più ostaggio di un femminismo vecchio e rivendicativo. Si esulta per le conquiste, vere e presunte, si contestano le discriminazioni, reali e immaginarie, alla ricerca di un difficili equilibrio tra l’intimità degli affetti e il giusto riconoscimento nella sfera pubblica e nel mondo del lavoro. Sempre pronte a infierire sul maschio occidentale, tanto più se cristiano e sessualmente senza dubbi, le nostre “madri superiori” della parità, fanno invece scena muta sulla storia di Deborah Samuel, la studentessa cristiana lapidata e bruciata viva dagli integralisti islamici, la scorsa settimana, in Nigeria.
Il delitto ha suscitato lo sdegno di tutte le autorità religiose locali, cristiane e musulmane, dal sultano Saad Abubakar a monsignor Mathew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, il territorio teatro dell’abominio. Scioccato dall’accaduto, il prelato cattolico ha invocato giustizia per “un atto criminale, disumano e che non ha niente a che vedere con la religione”.
E noi, al calduccio dei nostri diritti, che diciamo? Ogni anno in Nigeria, donne e cristiani vanno via come le ciliegie. La falce jihadista miete migliaia di vittime. Secondo l’ultimo rapporto di Intersociety, osservatorio sulle libertà civili e sullo stato di diritto in Nigeria, citato dalla rivista “Il Timone”, da gennaio 2021 a marzo 2022, oltre 6000 sono i stati i morti registrati in tutto il Paese africano, dei quali solo 900 nel primo trimestre di quest’anno. Tra questi, molti sono stati i sacerdoti e i religiosi. Circa 3.800 sono stati i rapimenti, nell’ambito di assalti e incursioni che hanno portato alla distruzione di circa 420 chiese e altri centri cristiani.
Sono numeri inquietanti, raccolti e monitorati attraverso il contatto diretto con le vittime e i testimoni oculari, il monitoraggio dei media, le interviste alle fonti protette e l’analisi comparata dei dati diffusi dalle istituzioni locali e internazionali. La conclusione che se ne trae è molto semplice: la Nigeria è “il Paese più ostile al mondo a praticare la libertà di fede o la libertà di culto e il più grande nemico della fede cristiana e dei suoi fedeli o membri nel mondo.”
Oltre al martirio dei cristiani e alla persecuzione religiosa, in Nigeria anche il femminicidio è all’ordine del giorno. Nel nord della Nigeria, e in maniera crescente anche al sud, per le donne cristiane la situazione continua a essere terribile. Le incursioni dei gruppi estremisti quali Boko Haram e ISWAP, l’Islamic State West Africa Province, terrorizzano regolarmente le comunità cristiane. Donne e ragazze sono stuprate, costrette allo sfruttamento sessuale, prese in ostaggio e uccise. Le donne sono trattate come esseri inferiori rispetto agli uomini, specialmente nelle zone rurali, il che rende le donne cristiane doppiamente vulnerabili, in quanto cristiane e in quanto donne.
Deborah Samuel, giovane studentessa iscritta al corso di economia dello ShehuShagari College of Education dello Stato di Sokoto, era una di loro. Accusata di aver nominato invano il Profeta in una qualsiasi chat studentesca, è stata avvicinata dai compagni musulmani che, trascinatala fuori dalla scuola dove aveva cercato rifugio, dopo averla lapidata, hanno dato fuoco al suo corpo.
La morale della storia è ancora una volta molto semplice. Oltre l’Occidente, i diritti umani sono impossibili. La libertà di culto e religione sono quasi ovunque impraticabili e la donna non gode della pari dignità riconosciuta dai nostri ordinamenti, dalla nostra cultura, dal nostro senso comune. L’umanesimo delle culture classiche, il logos greco e il diritto romano, insieme alla Bibbia, fanno la differenza. Nonostante i costanti ed enormi “tradimenti” che da sempre ne accompagnano la storia, il mondo occidentale può gonfiare il petto: la libertà religiosa e la vera emancipazione femminile trovano nella fede biblica e nella sua tradizione culturale il proprio fondamento universale.